E’ meno conosciuta e diffusa della malattia di Alzheimer (AD) sporadica, ma la malattia di Alzheimer familiare (eFAD), malattia genetica rara che ricalca i sintomi della demenza senile, può avere un importante impatto sulla vita e sulla salute di molte persone.
Ed è proprio per indagare le cause dell’eFAD che la Fondazione Cariplo e la Fondazione Telethon hanno assegnato, nell’ambito del bando congiunto 2021 per la ricerca di base sulle malattie genetiche rare, un finanziamento alla ricerca al progetto biennale dal titolo “Ruolo degli enzimi S–aciltransferasi (zDHHC) nella malattia di Alzheimer con trasmissione familiare autosomica dominante ad esordio precoce”, elaborato dal gruppo di ricerca guidato da Salvatore Fusco, professore associato di Fisiologia, del Dipartimento di Neuroscienze della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica diretto dal professor Claudio Grassi.
Complessivamente, sono stati finanziati a livello nazionale 24 progetti di ricerca di base per un totale di 5,7 milioni di euro, due dei quali nella Regione Lazio.
Obiettivo del bando congiunto è la comprensione di aspetti genetici e meccanismi molecolari oggi ancora sconosciuti o scarsamente compresi. Sebbene il genoma umano sia stato sequenziato completamente, di numerose proteine non è ancora ben nota la funzione e l’interazione con molecole e farmaci. Questa porzione di genoma ancora inesplorata potrebbe contribuire a chiarire nuovi meccanismi fisiologici e patologici e potrebbe condurre alla scoperta di nuovi percorsi terapeutici. Il bando sostiene la ricerca di base in questo ambito, ispirandosi a un’iniziativa del National Institutes of Health (NIH) focalizzata sullo studio di quelle parti del nostro patrimonio genetico che, ad oggi, restano oscure, ma dovrebbero essere “illuminate”.
La malattia di Alzheimer familiare insorge più precocemente rispetto alla forma sporadica maggiormente diffusa: il progetto di ricerca del Dipartimento di Neuroscienze intende investigare il ruolo di una famiglia di geni nell’insorgenza e nella progressione della patologia.
CattolicaNews ha incontrato i professori Grassi e Fusco (al centro nella foto, insieme al team di ricerca) per comprendere e spiegare il valore e gli sviluppi del progetto.
Professor Fusco, perché questo progetto di ricerca è così importante e qual è il suo obiettivo?
“La malattia di Alzheimer familiare (eFAD) è una malattia genetica in cui la neurodegenerazione insorge precocemente in seguito all’accumulo nel cervello di proteine sinapto-tossiche quali la beta amiloide. Tuttavia, i meccanismi molecolari alla base dello sviluppo di questa patologia non sono ancora completamente noti. Ancora più importante, l'eFAD è incurabile e le famiglie con eFAD difficilmente vengono incluse negli studi clinici e nelle sperimentazioni di nuovi farmaci. Il nostro progetto mira ad investigare il ruolo di una famiglia di geni, gli enzimi zDHHC, nel danno sinaptico alla base della eFAD”
La malattia di Alzheimer familiare (eFAD) non è conosciuta come la malattia di Alzheimer (AD): quali sono i sintomi e la diffusione fra la popolazione?
“Il sintomo principale è il medesimo della demenza senile, ossia la perdita progressiva delle capacità cognitive (memoria a breve termine, orientamento nel tempo e nello spazio, linguaggio, ecc.). Alla stregua dell’Alzheimer sporadico, anche la malattia di Alzheimer familiare ha un impatto terrificante non solo sulla persona che ne è affetta ma anche sul contesto familiare e sociale a cui essa appartiene. La eFAD è classificata come una malattia rara, ha una incidenza di circa 6 casi ogni 100 mila abitanti, si sviluppa prima dei 65 anni ed ha in genere un decorso più rapido ed aggressivo rispetto alla forma sporadica.”
Come si svolgeranno, in particolare, gli esperimenti di questo nuovo progetto di ricerca nell’ambito della vostra équipe?
“Focalizzeremo la nostra attenzione su un modello sperimentale geneticamente modificato di eFAD che riproduce le alterazioni anatomo-patologiche e cognitive riscontrate nella malattia di Alzheimer familiare. Grazie a tecniche di DNA ricombinante analizzeremo il ruolo specifico degli enzimi zDHHC nello sviluppo del danno sinaptico, della neurodegenerazione e del declino cognitivo alla base di questa patologia e speriamo di identificare nuovi bersagli molecolari per il trattamento di questo tipo di demenza”.
Al Professor Grassi chiediamo di illustrarci il valore di questo progetto nell’ambito del lavoro di ricerca del Dipartimento di Neuroscienze: “Tra le attività scientifiche del nostro Dipartimento, che coprono uno spettro assai ampio di patologie di interesse neurologico e psichiatrico, un posto di primo piano spetta senza dubbio alle ricerche sulle malattie neurodegenerative. I risultati di questi studi sono stati pubblicati su prestigiose riviste scientifiche ed hanno consentito di attrarre importanti finanziamenti da parte di Enti internazionali (Alzheimer’s Association, TJU, Fresco Institute for Parkinson’s disease, etc.) e nazionali (Ministero della Salute, Ministero dell’Università e della Ricerca, etc.). Il finanziamento assegnato al Prof. Fusco da Fondazione Cariplo e Fondazione Telethon si inserisce, quindi, in un settore di ricerca già molto attivo nel nostro Dipartimento e contribuirà a rafforzarlo ulteriormente.
Professor Grassi, qual è il futuro della ricerca nel campo delle Neuroscienze, nell’Università Cattolica e, in generale, riguardo all’impatto sul mondo della sanità pubblica e sulla vita delle persone?
“Le Neuroscienze rappresentano uno dei poli di eccellenza della nostra Facoltà e del nostro Policlinico, come documentato, peraltro, dal fatto che le Neuroscienze costituiscono una delle tematiche di accreditamento quale IRCCS della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli. Nel settore delle Neuroscienze abbiamo avviato, inoltre, di recente un ambizioso progetto di collaborazione con la Thomas Jefferson University di Filadelfia che porterà, a breve, alla creazione di un Centro internazionale di ricerca sperimentale e clinica in Neuroscienze, gestito da un team italo-americano di ricercatori dei due Atenei coinvolti. Ovviamente, la nostra aspettativa è che l’eccellenza in ambito scientifico abbia una ricaduta diretta sulla cura dei pazienti che, in ambito neuro-psichiatrico, soffrono di malattie per le quali, ad oggi, spesso non sono ancora disponibili trattamenti efficaci”.