C’è un mondo fuori di sé. E, contrariamente alle aspettative, non è così semplice accorgersene. A maggior ragione in un tempo difficile come quello che stiamo vivendo, tutti presi dalle nostre fatiche, dai nostri problemi, alzare lo sguardo verso il prossimo non è un gesto spontaneo.
Il volontariato è una dimensione che aiuta a cambiare la prospettiva. Se ne è parlato nel webinar “Be present - Volontariato al centro. Servizio: il mondo fuori di sé” organizzato dal Centro pastorale dell’Ateneo in occasione dell’apertura dello sportello Be present nel campus milanese, rivolto agli studenti di tutte le facoltà, e che si estenderà in futuro alle altre sedi.
Cogliendo la sfida dell’ultima enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’ateneo, ha sottolineato che «la fratellanza è la cifra del nostro essere umani perché siamo tutti figli di Dio, e il volontariato ci consente di risalire alle origini del nostro essere. Il volontariato non è solo “fare qualcosa” e esprimere la bontà nella nostra vita, ma ci porta al cuore della nostra vita perché la nostra vita è un dono».
In università il volontariato ha una connotazione particolare perché si è nel luogo della formazione integrale della persona, si sperimenta l’accompagnamento spirituale e professionale dentro un più ampio disegno che comprende la dimensione umana e spirituale. «Capire da dove veniamo, chi siamo e cosa siamo chiamati a fare sono domande che accompagnano scelte come quelle del volontariato» ha continuato monsignor Giuliodori che ha poi messo l’accento sull’importanza del “prendersi cura” dell’altro, un gesto articolato, non solo epidermico, «un saper organizzare un cambiamento di prospettiva, strutturare una cura perchè il fratello stia bene».
Tutto questo ha un’incidenza significativa anche dal punto di visto culturale e sociopolitico. «Ecco perchè l’Università Cattolica dedica uno spazio importante al volontariato come codice interpretativo della realtà nella misura in cui lo studio reso possibile dal dono dell’intelligenza, diventa il contributo che siamo chiamati a dare ai fratelli, lo strumento per curare le ferite della società. E per fare questo ci vogliono esperienze, quali sono il Charity Program per la solidarietà internazionale, o il Mission Exposure insieme con il Pime».
Dopo aver introdotto l’intervento dell’assistente generale, il moderatore Matteo Brognoli dell’Ufficio educazione alla Mondialità del Pime e collaboratore del Centro Pastorale, ha dato la parola al direttore della Caritas ambrosiana Luciano Gualzetti che ha raccontato su cosa si basa il volontariato da loro promosso. «Bisognerebbe parlare di “volontariati”, non di volontariato perché questa è un’azione che si può fare sul pianerottolo di casa, in missione, in una mensa, in ambito culturale o ambientale, dovunque si parli della realizzazione dei beni comuni, cioè dove ci si interessa di ciò che fa star bene gli altri e se stessi».
Gualzetti ha introdotto così il servizio che la Caritas rivolge innanzitutto agli ultimi, quelli che nessuno vede, quelli che danno fastidio, quelli che incontriamo per strada e davanti ai quali distogliamo lo sguardo sentendoci a disagio. È proprio lì che Gesù ha operato, abbassandosi a incontrare gli ultimi per guarirli nel corpo e nello spirito e insegnandoci che la vita è vera se la si condivide e se si ama.
Ma dentro questa verità, c’è un inganno che può colpire la solidarietà. «Sulla scia dello slogan “prima gli italiani”, qualcuno pensa di aiutare mettendo dei confini oltre i quali gli altri non sono degni. La Fratelli tutti dice che tutti, di qualsiasi provenienza, religione, razza… hanno la dignità di figli di Dio che non è negoziabile».
È compito della comunità rimuovere le cause di impoverimento, violenza, ingiustizia indipendentemente da chi ci troviamo di fronte. Quando non agiamo è perché non vogliamo vedere.
Ma c’è un altro tranello sottile e insidioso nell’attività di volontariato: il rischio dell’assistenzialismo. Gualzetti ha ben chiarito che occorre aiutare le persone in difficoltà offrendo gli strumenti necessari e uscire dalla difficoltà e a realizzare se stessi, non permettendo al volontariato di diventare un’ancora di salvezza imprescindibile. Durante il tempo dell’emergenza «abbiamo incontrato per la prima volta persone che non riescono a dar da mangiare ai propri figli, o a farli andare a scuola. Il fattor comune è un problema di diritti, per noi scontati, di tutela e accompagnamento. Abbiamo aiutato queste persone ad accedere alle misure del reddito di cittadinanza, istituito fondi per i disoccupati e li abbiamo sostenuti nella ricerca attiva del lavoro».
Si sente spesso dire dopo un’esperienza di volontariato “più che dare ho ricevuto”. Cosa significa per uno studente imparare a ricevere? Con questa domanda Brognoli ha passato il testimone alla docente di Psicologia sociale e Psicologia di comunità in Università Cattolica, Elena Marta che ha sottolineato tre punti fondamentali. Innanzitutto il volontariato «consente di imparare più di quanto si offre, mette alla prova le proprie capacità ma ha ricadute anche nelle comunità territoriali perché rilancia i legami sociali, aiuta le persone ad avere consapevolezza di ciò che hanno e delle condizioni in cui gli altri vivono e così a rendersi conto di ciò che gli altri possono insegnare».
Chi dona che cosa a chi? I volontari spesso hanno riconosciuto il senso della vita proprio attraverso la cura di persone che sono fragili, vedendone l’unicità e la bellezza.
Inoltre il volontariato aiuta le persone a ricostruire la fiducia. In questo momento in cui si fa fatica a costruire legami fiduciari è molto importante la reciprocità che sfugge alla logica mercantile e si inserisce nella logica del dono. «C’è sempre un’eccedenza nel dare e ricevere, che dà vita alla comunità».
Infine il volontariato è parte in causa nella costruzione della cittadinanza attiva e della giustizia sociale. «E i giovani sono affascianti dalla percezione di poter riequilibrare situazioni impari a livello sociale e di poter contribuire a costruire un mondo dove la giustizia sia perseguita - ha specificato Marta -. Be present è importante perché offre la possibilità di capire che un buon professionista è una persona portatrice di valori, è lievito nei contesti del lavoro e del tempo libero. Ed essere volontario vuole dire portare questi valori in tutti i contesti per costruire comunità più solidali».