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Be present, tempo: donarlo, non perderlo

26 gennaio 2021

Be present, tempo: donarlo, non perderlo

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Il tempo in cui viviamo è inesorabile. Non si ferma davanti a niente: «possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso» dice Tolkien nel suo Signore degli Anelli. Il tema della libertà davanti al proprio tempo è stato il filo rosso del terzo incontro di “Be Present, volontariato al centro”, il ciclo di incontri organizzato dal Centro Pastorale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore sull’esperienza del volontariato: uno dei modi più significativi con cui il nostro tempo possiamo “donarlo per non perderlo”, come recitava il titolo dell’incontro. Il webinar è stato moderato da Matteo Brognoli, educatore dell’ufficio Mondialità del Pontificio Istituto Missioni Estere e collaboratore del Centro Pastorale dell’ateneo.

Per Silvano Petrosino, professore di Filosofia Teoretica in Cattolica, davanti all’inarrestabile scorrere dei secondi ci sono due posizioni: divertirsi, senza pensare a studiare e prepararsi poiché “non c’è tempo”, oppure proprio perché “non c’è tempo” affrettarsi per costruire, fare qualcosa di buono. «Quasi sempre la prima modalità sfocia nella violenza, perché non posso rispettare i tempi degli altri, della natura e delle cose -sottolinea Petrosino-, mentre se scelgo la seconda modalità capisco che devo affrettarmi a fare il bene». Per il professore il bivio della vita è tra la scelta di identificare la propria esistenza con il raggiungimento del successo e la coscienza che il successo come lo intende la società di oggi spesso non coincide con il compimento della propria vita: «Possiamo diventare primari, ricchi, importanti ma perderci come esseri umani» conferma il docente.

C’è anche chi perde la dimensione del tempo come dono, o che questa concezione non l’ha mai avuta. È davanti a esperienze come queste che si trova ogni giorno Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano e fondatore della comunità di accoglienza per adolescenti Kayròs. «Tanti ragazzi, quando finiscono in cella sono come rassegnati a lasciarsi vivere -afferma-, è il concetto greco di kronos. Un eterno ritorno che estromette la libertà personale. La mia comunità invece l’ho chiamata Kaiyròs, cioè momento supremo: qui il tempo è un dono che richiama in gioco la propria responsabilità. Ognuno davanti alla coscienza decide se consegnarsi al nulla o impegnarsi e cambiare».

Il passaggio tra kronos e kayròs per Don Burgio dipende da come si accompagnano questi ragazzi: «Se aiutati a capire che il tempo può essere una progettualità per la propria vita anche il concetto di trasgressione può diventare occasione di cambiamento. Essa a volte è un modo maldestro degli adolescenti per dire che vogliono avere il loro tempo e rivendicarlo. Per un cambiamento a questi ragazzi non basta solo la giustizia, che deve fare il suo corso, ma serve il perdono».

I concetti di libertà e perdono sono tipici della civiltà cristiana, mentre per l’Asia non sono scontati. Padre Mario Ghezzi, direttore del centro PIME di Milano, è stato missionario per 17 anni in Cambogia: «Per noi il tempo è lineare, mentre lì è circolare. Noi diamo un valore preciso al tempo, sappiamo che stiamo viaggiando verso una meta precisa, cioè il ritorno di Cristo mentre lì il tempo è senza inizio e fine. È un circolo infinito di reincarnazioni regolato dal Karma: se oggi uno si ritrova povero è perché la sua vita precedente è stata negativa e sta pagando per essa. Non c’è possibilità di cambiare, se non nella prossima vita. Il massimo a cui puntare è il Nirvana: uno stato perfetto di felicità che consiste nell’annullamento di passioni e desideri, un annientamento totale dell’individuo». Questa concezione del tempo genera una diffusa apatia e passività di fronte alle cose, anche se può anche consentire più spazio per relazioni e gusto della vita.

Insomma: culture, religioni e condizioni sociali diverse danno interpretazioni diverse del tempo, ma cosa può far scattare la scelta della responsabilità di fronte alle proprie vite? «Verificando se la strada che abbiamo voluto percorrere rende davvero contenti -risponde Petrosino-. Ma servono serietà e sincerità verso noi stessi: il più grande torto che possiamo farci è “autoilluderci” pur di non cambiare».

Per Don Burgio il punto fondamentale è ritrovare le domande perdute: «Cristo con i discepoli di Emmaus non si pose come uno che la sapeva lunga, ma ha camminato a fianco a loro per far sì che sorgesse in loro una domanda. In carcere ci sono dei ragazzi famosi per la loro musica Trap. È un genere che io odio ma che ascolto per provare a entrare in contatto con loro, per accompagnarli e far suscitare in loro domande che ridiano significato al loro tempo». Il cambio di passo secondo Padre Ghezzi si ottiene con l’esperienza diretta: «In Cambogia le cose prima si fanno e poi capiscono. Quando proponevo ai ragazzi delle attività di caritativa essi non rispondevano mai. In quel paese se si fa qualcosa è sempre per un ritorno di qualche tipo. Solo quando li ho portati con me a visitare poveri e indigenti loro hanno capito che potevano portarsi a casa qualcosa di più preziosi di quattro spiccioli: l’incontro con l’altro. È mettendosi in gioco che si può scoprire che donando il tempo si può guadagnarlo anziché perderlo».

Un articolo di

Michele Nardi

Michele Nardi

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