L’obiettivo della sua ricerca è fornire un contributo affinché le piante possano resistere, adattandosi, allo stress che subiscono a causa del cambiamento climatico. Biancamaria Senizza, 29 anni, ha frequentato al campus piacentino dell’Università Cattolica il corso in Scienze e tecnologie alimentari, dopodiché ha proseguito il suo percorso alla Scuola di Dottorato per il Sistema Agroalimentare Agrisystem.
«Abbiamo fatto uno studio su piante arabidopsis, comunemente dette “Arabella” - dice Senizza - e abbiamo applicato alla pianta due tipi diversi di stress: da caldo e da siccità, valutando anche la combinazione dei due». La ricercatrice spiega infatti che i due fattori di stress compaiono spesso singolarmente negli studi scientifici, ma anche che, una volta combinati, meglio rappresentano le reali condizioni in campo, tanto più oggi che l'incidenza della siccità e delle alte temperature ha un impatto sempre maggiore. Nello studio è infatti rimarcato più volte il concetto di interazione dello stress, per il quale la combinazione di calore e siccità non è la semplice sommatoria dei singoli stress, ma produce un effetto unico, risultato di un'interazione multilivello che coinvolge metaboliti specializzati e un complesso rimodellamento dei fitormoni.
«Si è utilizzata come pianta modello l’Arabella - continua Senizza - perché piccola e perché cresce velocemente. Caratteristiche che la rendono comoda per essere analizzata al fine di valutare gli effetti che gli stress hanno sul metabolismo della pianta. A Piacenza abbiamo analizzato ad esempio il metabolismo secondario, che riguarda la produzione di metaboliti, che variano a seconda delle condizioni a cui è sottoposta la pianta, a differenza dei metaboliti primari come carboidrati e proteine».
Durante la sua ricerca di dottorato, Senizza è stata anche al centro di ricerca Zalf, a Munchenberg, vicino a Berlino, presso l’ente tedesco coinvolto nello studio, dove ha approfondito l’uso di biostimolanti, nello specifico Trichoderma spp. Si tratta di un biostimolante che potrebbe essere efficace e rispettoso dell'ambiente per aumentare la produzione agricola e massimizzare l'efficienza nell'uso delle risorse, riducendo al minimo gli effetti ambientali sull'ecosistema. È quanto emerge dalla ricerca, coordinata dalla Facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali dell’Università Cattolica, svolta in collaborazione con il centro di ricerca tedesco, uno studio a cui si è dedicata anche la ricercatrice piacentina.
«I biostimolanti sono sostanze alternative ai fertilizzanti chimici - afferma - sono di origine naturale e consentono di aiutare la pianta nel contrastare gli stress. Possono supportarla nel ciclo di crescita e rappresentano qualcosa di meno impattante sul clima».
I risultati evidenziano come l’utilizzo di biostimolanti potrebbe essere un modo efficace ed ecologico per una produzione di cibo più sostenibile, in linea con le direttive imposte dalla Comunità Europea.