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Carlo Maria Martini, l’uomo della parola in presa diretta con la città

09 maggio 2022

Carlo Maria Martini, l’uomo della parola in presa diretta con la città

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Parola, dialogo, intermediazione sono i termini chiave dell’operato del cardinal Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002. Quei concetti che hanno permeato la sua riflessione in anni difficili a Milano, il periodo del terrorismo e di Mani Pulite, l’uscita dalla Guerra fredda e l’avvento della globalizzazione. Un luogo e un tempo di fermento in cui il Cardinale ha lasciato una traccia indelebile. 

Un ritratto ricco, profondo, sfaccettato è emerso dai molteplici interventi di storici e testimoni durante il convegno “Carlo Maria Martini: un vescovo e la sua città. Nel decennale della morte” - e a vent’anni dalla fine del suo episcopato - che si è svolto il 9 maggio nell’aula Pio XI dell’Università Cattolica a Milano alla presenza di molte personalità istituzionali e diversi storici e testimoni. 

Nella Curia milanese tra i ritratti di tutti vescovi della città quello del cardinal Martini lo ritrae «in toga nera da gesuita che osserva con uno sguardo che è un’indagine penetrante dello spettatore ma è al tempo stesso la proiezione di una evidente domanda interiore». Con queste parole il rettore dell’Ateneo Franco Anelli ha chiuso il suo saluto di apertura del convegno dove ha ricordato la laurea honoris causa che l’Ateneo ha conferito al Cardinale nel 2002 in Scienze dell’educazione a sottolineare il valore da lui attribuito all’educazione come il trarre fuori la conoscenza da sé e dall’altro in un dialogo fatto di domande e risposte reciproche, «un dialogo con la Scrittura, con la Parola che implichi un esercizio intellettuale severo e complesso».

Proprio quel dialogo è la cifra che l’ha caratterizzato anche secondo il sindaco Giuseppe Sala intervenuto al convegno. «Il dialogo è fatica, impegno, volontà di mettere insieme. Lo spirito illuminato della ragione è ciò che ha portato il cardinal Martini ad essere un punto di riferimento importante anche per i non credenti». Il suo contributo culturale e spirituale, il suo rapportarsi agli emarginati e ai poveri, «la sua capacità unica di guardare oltre e individuare le ombre nella società e ha spinto Milano verso l’ideale di una città-comunità basata sulla solidarietà e sulla possibilità di risolvere i problemi insieme» - ha continuato. Il sindaco ha ricordato che grazie a lui esiste oggi la Giornata della Memoria e che intestargli una via nel cuore di Milano, insanguinato all’epoca del terrorismo, è un segno di grande speranza di fronte al male. 

Parole attualissime ancora oggi di fronte alla guerra. «La risposta al conflitto, tanto più se armato, è nell’intermediazione, quasi in senso fisico, tra coloro che si stanno combattendo, fino ad uccidersi. È una scelta spirituale ma anche un’indicazione concreta, che vale per il credente e per il non credente. Anche in questo caso, il suo magistero è stato profondamente religioso ma anche fortemente civile» - ha dichiarato Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea dell’Università Cattolica. La soluzione ultima si trova sempre nella Parola di Dio e la preghiera è il luogo dove il credente può raccogliersi scegliendo di stare da una parte senza odiare l’altra. Solo così si potrà diventare, per usare le parole di Papa Francesco, “artigiani di pace”. 

L’incisività della proposta pastorale del cardinal Martini è stata ben delineata dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini che si è interrogato sulle motivazioni che portano le persone ancora oggi a citare il Cardinale e a riconoscerlo come un punto di riferimento storico. La risposta monsignor Delpini l’ha trovata innanzitutto in tre aspetti: «la sua persona, il consenso e il ruolo hanno interagito così profondamente facendo sì che diventasse una persona autorevole, sino a rendere incisiva anche la sua azione pastorale». A questo si aggiunge la cifra qualificante il suo magistero. «È innegabile riconoscere quanto si concentri continuamente e si alimenti del tema della Scrittura e della Parola di Dio - ha spiegato monsignor Delpini -. In particolare, ha accordato molta fiducia alla parola parlata e ha accentuato il linguaggio dell’insegnamento. Infatti, ha dato vita alla Scuola della Parola come proposta per la formazione dei giovani, e alla Cattedra dei non credenti per dialogare con personalità della cultura contemporanea, credenti e non credenti, sulle sfide del presente».

È evidente l’attitudine “progressista” del Cardinale, «aperta verso le problematiche e le sfide contemporanee come rivelano alcune attenzioni che confermano la sua sapiente lettura del mondo contemporaneo - ha concluso l’arcivescovo -: la sinodalità come metodo e come pratica; l’evoluzione di Milano verso una società plurale, multi-etnica, multi-religiosa, multi- culturale; la destinazione prioritaria alla singola persona».

A ripercorrere storicamente la vita e l’operato del cardinal Martini è stato Andrea Riccardi, storico e presidente Società Dante Alighieri. Fin da ragazzo il filo rosso della sua vita è stata la Bibbia, «una storia di familiarità con le Scritture, con momenti di crisi e “notti oscure”» ha commentato Riccardi che ha poi tracciato il percorso svolto dal Cardinale a partire dal Concilio, «evento di radicale cambiamento». Martini ha abitato tre città: Roma, Milano, Gerusalemme. Come ha sottolineato anche Carlo Casalone, presidente Fondazione Martini, per Martini la città è un luogo in cui si intrecciano simboli e pratiche interpretati con lo sfondo della Bibbia. «Milano è stata la sua vera città - ha aggiunto Riccardi -. Qui ha avuto una responsabilità pastorale, presa sul serio fino in fondo, ma anche un gran compito di governo e di crescente leadership spirituale in anni difficili, dal terrorismo alla corruzione, alla depressione della città. Non posso non ricordarle (anche perché manifestano la appassionata conoscenza della città): la violenza politica, sociale e la guerra; la solitudine (grande comprensione della condizione degli anziani, dei carcerati, degli ammalati e degli stranieri); la corruzione (la droga, la pornografia, il denaro). Esprimeva anche un ottimismo: “L’uomo, alla fine, non è individuo; è prossimo all’altro uomo; è chiamato ad essere fratello”».

A raccontare il Carlo Maria Martini teologo è stato Pierangelo Sequeri, già preside dell’Istituto Giovanni Paolo II: «Se la teologia si mette alla scuola della Parola di Dio allora rende merito alla predicazione. Questa è stata l’intuizione di Martini». Per Martini la teologia ha avuto il compito di aiutare il credente a pensare perché se pensa all’uomo che riflette sulla propria vita, pensa all’interlocutore reale della Parola di Dio. «La teologia deve tornare a leggere la Bibbia come l’agire di Dio nella storia. Così il canone biblico della Parola si può apprezzare quando viene assunto come matrice di pensiero della teologia, della storia della salvezza e della creazione». 

La seconda parte della mattinata dedicata al cardinal Martini ha guardato all’uomo ecumenico, al pastore aperto al dialogo con le altre religioni e confessioni e agli ultimi. La società multietnica e le difficoltà di integrazione fanno sì che gli immigrati stranieri siano considerati “i più poveri tra i poveri”. È il pensiero di Martini, illustrato da Giorgio Del Zanna, docente di Storia contemporanea dell’Università Cattolica: «Nella seconda metà degli anni ’90, mentre a Milano il dibattito sull’immigrazione vira tutto sul tema della sicurezza - specialmente dopo il grande afflusso di immigrati albanesi fuggiti dalla grave crisi che investì il paese balcanico nel ’97 - Martini insiste sull’“ordinarietà della pastorale dell’accoglienza”. È convinto del “protagonismo degli immigrati” nella società e invita ad “affrontare la situazione con spirito profetico». Per dare un segnale concreto, il Giovedì Santo del 1989 lava i piedi ad un gruppo di migranti.

Un modo per “farsi prossimo”, secondo lo stile pastorale evidenziato nella relazione di don Danilo Bessi, dottore di ricerca dell’Università Cattolica: «Per l’arcivescovo non può esserci alcuna separazione tra fede, culto, opere di carità, né tra fede e senso di umanità». Pertanto «la Chiesa sognata dal cardinal Martini non è una istituzione che eroga dei servizi sociali, ma una comunione di persone, resa incandescente dall’amore dei poveri, dove tutti sono accolti e amati. Una comunità capace di vivere l’amicizia verso tutti a partire dagli ultimi». 

Le riflessioni e l’impegno concreto su questi temi vedono un risvolto più ampio nell’attività del cardinal Martini nel ruolo di presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee ricoperto dal 1986 al 1993. Un incarico che gli consentì di coltivare rapporti di amicizia con i vescovi europei e di stabilire un dialogo fattivo con le chiese ortodosse, dando profili di concretezza all’impegno ecumenico, come ha rilevato Francesca Perugi, dottore di ricerca dell’Università Cattolica: «Verso le chiese ortodosse prive di mezzi e di strumenti, Martini pensava che spettasse ai fratelli cattolici occidentali fornire loro aiuti di ogni genere». In quest’ottica tenne un canale di dialogo aperto anche quando tra Vaticano e Patriarcato vi furono momenti di crisi e di chiusura, grazie alla stima e all’autorevolezza di cui godeva. 

Ricordi e testimonianze sui temi della cultura, della povertà, della giustizia, dell’ecumenismo del cardinal Martini sono emersi durante la tavola rotonda che ha concluso il convegno. Sull’importanza di riprendere i temi trattati da Martini si è pronunciato Marco Garzonio, presidente della Fondazione Ambrosianeum, secondo il quale «il cardinale ha iniziato dei percorsi e ha lanciato opportunità da raccogliere per declinarle sull’oggi». Del resto, la sua presenza era ben radicata nella vita della città, come ha affermato Silvia Giacomoni, che aveva seguito l’arcivescovo per conto del quotidiano Repubblica». Episodi di un Martini inedito, che visita a sorpresa luoghi di cura e conduce con sé i sacerdoti in luoghi di preghiera, guidando personalmente l’auto, sono stati raccontati da don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità, opera-segno voluta dal cardinal Martini nella periferia della città per occuparsi delle situazioni di fragilità ma anche per alimentare una cultura dell’accoglienza: «Da Martini ho imparato la gioia di essere prete, ho visto la sua passione per la società civile e l’impegno a vivere la gratuità a partire dagli ultimi».

Sull’impulso e i consigli per vivere un cammino di dialogo secondo il metodo della giustizia riparativa tra vittime e rei per capirsi e dialogare, ha portato la sua testimonianza Claudia Mazzucato, docente di Diritto penale all’Università Cattolica, che ha raccontato gli incontri con il cardinale in cui «ha consegnato un metodo (vedere la dignità umana in ogni persona), un mezzo (l’essere guscio di noce sull’oceano, con i rischi delle tempeste derivanti dall’andare incontro agli altri), una meta (Gerusalemme, il posto dove si va senza sapere cosa accadrà, è il luogo di una origine comune che va trovata al di là della violenza)».

A chiudere gli interventi don Gianfranco Bottoni, che aveva collaborato nelle attività ecumeniche della diocesi durante l’episcopato di Martini, ha offerto un sintetico ritratto del cardinale: «In lui c’era la trasparenza di una persona senza difesa, attenta a comunicare e non priva di sottile umorismo in cui la libertà evangelica si coniugava con l’intelligenza critica».
Tante suggestioni sono state offerte sul vescovo e la sua città, nella speranza che, come diceva il cardinale, la città non sia solo il luogo nel quale abitare ma dove imparare a vivere.
 

Un articolo di

Emanuela Gazzotti e Agostino Picicco

Emanuela Gazzotti e Agostino Picicco

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