Le due autrici del volume Psicologia dell’adozione e dell’affido familiare, edito da Vita e Pensiero con la prefazione di Eugenia Scabini, anticipano le tematiche che saranno oggetto del convegno di mercoledì 7 giugno nella Sala Negri da Oleggio in largo Gemelli alle ore 17. A discutere con loro saranno Maria Carla Gatto, presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano, Roberta Osculati, vicepresidente del Consiglio comunale di Milano, Giancarlo Tamanza, docente di Psicologia clinica dell’Università Cattolica, Giulia Cagnolati del Centro per le famiglie del Comune di Piacenza, con la moderazione del direttore del Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia, Camillo Regalia.
C’è un diritto fondamentale della persona che non può essere disatteso se non a costo di una deumanizzazione e di un avvilimento dell’essere umano: il diritto ad essere figli, generati, curati, amati ed educati, inseriti nel mondo e nella storia familiare e sociale entro cui si nasce. Per questo, uno dei più grandi segni di civiltà di una società è la capacità e la volontà di prendersi cura dei propri figli, di proteggere le nuove generazioni ed una delle più grandi vergogne è il non poterlo o non volerlo fare. Adozione e affido rappresentano due forme antiche e specifiche di intervento per i minori e ancora oggi rispondono ai bisogni di un’infanzia sempre a rischio di trascuratezza e talvolta di abbandono da parte del mondo adulto.
Si tratta di forme distinte e specifiche di intervento per la tutela dei minori, che tradizionalmente la letteratura scientifica, la giurisprudenza e anche i servizi sociali tendono a trattare separatamente ma che non di rado si intrecciano nella ampia variabilità delle storie familiari e sono attraversati da elementi trasversali e da sfide comuni. Rispondono innanzitutto al bisogno di tutti i bambini in quanto “figli” di attingere a quella risorsa che è la ‘famiglia’, insostituibile per crescere e poter sviluppare a pieno la propria identità, a maggior ragione quando il diritto di diventare ‘persona’ appare seriamente minacciato.
Inoltre, si tratta di forme di genitorialità e di filiazione che non possono che essere pensate nell’intersezione tra famiglia e sociale. Le famiglie, infatti, si assumono un compito socialmente rilevante, quello di accogliere un bambino che viene da altrove (e spesso da un'altra etnia e cultura) “in quanto figlio” (nell’adozione) e “come se fosse figlio” (nell’affido). Questo stretto intreccio tra familiare e sociale implica una responsabilità del sociale stesso e richiede che la comunità si attivi responsabilmente nell’accompagnare e sostenere queste famiglie e dare supporto a ciascun attore coinvolto.