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Etiopia, paese dalle mille incognite

27 settembre 2022

Etiopia, paese dalle mille incognite

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È di pochi giorni la notizia di nuovi scontri e altrettanti morti nel Tigrai, grande regione storica collocata nella parte settentrionale dell’Etiopia ai confini con l’Eritrea. Quest’ultima, che sin da quando è scoppiato il conflitto civile nel novembre 2020 ha combattuto a fianco dell’Etiopia contro i ribelli tigrini, ha da poche ore mobilitato tutti i riservisti dell’esercito da impiegare sul fronte. La mobilitazione, già notificata nelle città di Keren e Tessenei, non escluderebbe nessuno e anzi assicura conseguenze molto severe qualora non venga data risposta.

Secondo l’Addis Standard l’attacco avvenuto in Tigrai nella mattinata dello scorso 30 agosto sarebbe stato a sorpresa e a danno di molti civili. L’offensiva viene ricondotta alla milizia paramilitare Fano che si lega propriamente all’etnia amhara, di cui Abiy Ahmed, Primo ministro dell’Etiopia, ne è il rappresentante più significato. Tuttavia, non è la prima volta che la milizia Fano sferza un attacco in questa regione: ne sono un esempio gli attacchi dello scorso maggio e ottobre 2021 nelle zone meridionali del Tigrai, che hanno portato non solo all’uccisione di diversi civili ma anche all’espropriazione e al conseguente sfollamento.

Quello che sembra essere un ennesimo scontro tra il Tplf, il Fronte Popolare di Liberazione del Popolo Tigrino, e lo stato dell’Etiopia in realtà racchiude in sé diverse incognite: non solo è un attacco del potere centrale etiope verso una zona che è sempre stata sinonimo di scontri etno-regionali e instabilità socio-politica ma risulterebbe essere anche una pericolosissima ipotesi di allargamento del conflitto su scala internazionale, inglobando così il cosiddetto Grande Corno d’Africa, quindi il Sudan, l’Eritrea, il Kenya e la Somalia.
 
Nel corso dei decenni l’instabilità della regione tigrina è risultata quasi una costante: qui scoppiò nel 1895 la Guerra di Abissinia, combattuta tra Italia ed Etiopia, e nel 1935 il Tigrai fu il primo territorio invaso dal Fascio durante la Guerra d’Etiopia; nel 1998 il villaggio tigrino di Badammé fu la causa della violenta guerra fra Eritrea ed Etiopia, conclusasi solo nel 2002 con la risoluzione delle Nazioni Unite che assegnava diverse aree controverse proprio all’Eritrea. Inoltre, nel corso del 2020, gli scontri tra governo centrale e Tplf sono andati peggiorando: se il governo centrale imputa al Tplf il massacro di civili a Mai Kadra, il Tplf ne nega la responsabilità riconducendolo proprio a Fano, organizzazione paramilitare e filogovernativa del governo centrale. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni cerca da diverso tempo di richiamare l’attenzione sul numero di sfollati in questa area, che sarebbero stati milioni nel corso dei decenni e che potrebbe ancora aumentare, con possibili ricadute anche in Kenya. Quel che è certo è che il conflitto si sta allargando: un aereo militare proveniente dal Sudan, e carico di armi destinate al Tigrai, sarebbe stato abbattuto e di certo non si può ignorare la possibile partecipazione al conflitto di una forza esterna.

L’Etiopia ha compiuto in epoca contemporanea passi importanti verso la democrazia e verso i diritti, con esempi di convivenza religiosa ed etnica: sebbene lo stato di Abiy Ahmed aspiri all’accentramento, sulla falsa riga di quello voluto da Menelik II a fine 800, la visione politica del governo etiope, dopo la rivoluzione del Derg del 1974, si è spesso mossa verso una decentralizzazione del potere che potesse valorizzare realmente i gruppi etnici e accompagnarli nel processo di autodeterminazione. Una posizione, quest’ultima, condivisa sia dai Tigrini che dagli Oromo, il maggiore gruppo etnico dell’Etiopia e che potrebbe portare, anche senza l’aiuto diplomatico o di potenze estere, a una possibile risoluzione del conflitto, riconfermando così l’Etiopia come stato guida all’interno del Corno d’Africa.

 

 

Photo by Saw Wunna on Unsplash

Un articolo di

Mattia Fumagalli

Mattia Fumagalli

Dottorando in Istituzioni e Politiche

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