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«Giocate più a scacchi e meno alla playstation»

17 dicembre 2020

«Giocate più a scacchi e meno alla playstation»

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La fortunata serie “La regina degli scacchi”, tra le più viste negli ultimi tempi sul piccolo schermo, ha avuto il grande merito di mettere sotto i riflettori un gioco affascinante eppure molto complesso se non si conoscono mosse e contromosse. Ma quanta matematica, o quanta informatica, c’è dietro e dentro una partita di scacchi? Per chi non è esperto o non conosce affatto il gioco, sicuramente la risposta sarà “molta” o addirittura “moltissima”. La situazione invece è più controversa di quel che si crede, anche se a mio parere la risposta finale è “parecchia, ma non in forma banale”. Di certo si può dire - oltre all’inevitabile “giocate più a scacchi e meno alla playstation” - che Matematica, Informatica e Scacchi siano ormai un “trinomio” indissolubile... pardon, non scomponibile. Cerchiamo di vedere perché.

Gli scacchi si giocano con 16 pezzi per giocatore, di varia natura e dei quali uno è il Re, su una scacchiera 8 x 8. Lo scopo del gioco è provocare la “caduta” del Re avversario minacciando tutte le caselle nelle quali potrebbe muoversi, compresa quella che occupa (il cosiddetto “scacco matto”). Per realizzare questo scopo, ma anche per proteggere il proprio Re, ciascun giocatore sfrutta i propri altri pezzi, che sono dotati di una sorta di “superpoteri” con i quali sono in grado di minacciare delle caselle e muoversi più o meno liberamente, a seconda della tipologia, sulla scacchiera.

Una partita tipica comincia con delle mosse - la cosiddetta “apertura” - che sono state ben classificate e denominate, e che è meglio conoscere se non si vuole rischiare di perdere sistematicamente contro chi invece le ha studiate. Ecco quindi un primo aggancio con la Matematica: bisogna studiare.

La cosa veramente interessante è che nel prosieguo del gioco le reciproche “minacce” tra i vari pezzi aumentano di numero in maniera impressionante, e in questa fase (il cosiddetto “mediogioco”) i giocatori umani devono usare un altro strumento, meno matematico e più basato sull’esperienza. A un certo momento si scatena una sequenza di prese (i pezzi che si “mangiano”) e solo chi ha visto più lontano le conseguenze di queste mosse arriverà al finale con una situazione di vantaggio. Vi sono anche varianti quali i cosiddetti “sacrifici” (cioè offerte all’avversario di prendere un pezzo ma allo scopo di guadagnare una posizione più favorevole degli altri pezzi), oppure astuzie che fanno pensare a un errore dell’avversario mentre danno origine a una contromossa ben più “letale”.

In questa fase è cruciale avere una visione quanto più profonda del cosiddetto “albero delle mosse”, che non è nient’altro che la sequenza delle possibili mosse e di tutte le loro possibili conseguenze, il che rende ben presto quasi impossibile per un essere umano controllarle oltre un certo livello: a questo punto un computer con una memoria dedicata può fare meglio (e di fatto ormai fa sempre meglio). Si stima che il numero delle mosse di una partita di scacchi sia 10^31, che vuol dire 10 seguito da 31 zeri, un numero inimmaginabile e persino superiore al debito pubblico italiano. Anche se un computer effettuasse un miliardo di miliardi di operazioni al secondo (attuale record di velocità), servirebbe ancora un milione di anni per esaminare tutto un albero (così si chiama la struttura delle mosse e delle possibili conseguenze, contromosse ecc.) di una partita a scacchi. Ecco perché qui la pura analisi logica lascia il passo all’esperienza e alla fantasia di gioco (supponendo, ovviamente di avere un avversario umano: da anni ormai i più potenti computer giocano fra loro perché sono diventati imbattibili). Chi ha esperienza può vedere “a occhio” che una certa configurazione porta a un vantaggio futuro senza dover far passare meccanicamente tutte le mosse e le loro possibili contromosse. Chi invece vuole programmare, deve inventare delle strategie per “tagliare” l’albero delle mosse senza perdere alternative valide, una tecnica molto utile anche in altri problemi complessi, come ad esempio la ricerca del percorso di lunghezza minima che serva tante stazioni di consegna (Amazon ne sa qualcosa).

Ma torniamo agli scacchi. Alla fine, dopo l’inevitabile “mattanza” dei pezzi si arriva al cosiddetto “finale”, con pochi pezzi rimasti: a questo punto la Matematica rientra in gioco perché in certi casi è possibile prevedere, se nessuno commette errori, l’esito finale di una certa configurazione (vittoria o pareggio). Si tratta però di un esame a posteriori, che può suggerire a un giocatore di abbandonare, facendo “capitolare” il Re, sapendo che l’avversario non commetterà errori.

Indubbiamente, quindi, dato che il gioco ha delle regole codificate e possiede molta complessità, assomiglia molto alla Matematica, con un’importante eccezione. In Matematica, infatti, spesso, è possibile inventarsi delle proprie regole - ovviamente non alternative a quelle già note, non si tratta di dire che 2 per 3 fa 5 - e definizioni e scoprire che le strutture così ottenute presentano analogie con altre e spesso si rivelano utili in campi lontanissimi e impensati (la cosiddetta serendipity). Negli scacchi c’è spazio per la fantasia, specie nel mediogioco, ma in maniera decisamente più “legata”, probabilmente perché all’interno di una competizione. Un matematico, se gioca a scacchi, in generale raggiunge un buon punteggio, ma raramente i più forti giocatori di scacchi sono stati matematici, probabilmente perché a livelli elevati il gioco diventa un impegno a tempo pieno, decisamente più simile a un’attività sportiva che alla speculazione intellettuale. Vi sono ovviamente studi matematici sugli scacchi, all’interno della cosiddetta teoria dei giochi, ma non c’entrano con la partita giocata.

Di fatto chi ha un interesse per gli scacchi molto probabilmente lo ha o può svilupparlo anche per la Matematica, e in questo va incoraggiato, perché la deduzione logica è comune a entrambi. La Matematica però è enormemente più vasta, essendo un accumulo di conoscenze vere che continua a ritmo sempre più veloce da almeno tremila anni, e che copre campi sempre più ampi vista la libertà di creare nuove reazioni e collegamenti. La partita a scacchi ha invece un suo universo interno, altrettanto affascinante, nel quale le capacità intellettuali si affiancano a quelle psicologiche e caratteriali, non ultime quelle legate alla difficoltà dell’accettare la competizione.

 

Un articolo di

Alfredo Marzocchi

Alfredo Marzocchi

Docente di Fisica matematica all’Università Cattolica di Brescia

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