Si chiamano young carers e sono le ragazze e i ragazzi, in alcuni casi anche bambini, che si prendono cura assiduamente di un altro familiare come un genitore, un fratello o una sorella, una nonna o un nonno. Il carico di responsabilità decisamente elevato che solitamente viene affidato ad un adulto ricade sulle spalle di adolescenti e preadolescenti con una serie di conseguenze sul piano psicologico e sociale.
Si tratta di un fenomeno invisibile e difficile da indagare che spesso viene intercettato nel momento in cui i ragazzi, a causa del loro carico di cura si trovano loro stessi in una situazione problematica, rischiando sia dal punto di vista della loro stessa salute sia compromettendo il percorso scolastico/professionale.
Alcuni sociologi dell’Università Cattolica, guidati da Donatella Bramanti e Letizia Bosoni, hanno condotto la ricerca “Giovani caregivers: la sfida della cura tra le generazioni”, dando voce ai racconti e alle esperienze di questi giovanissimi.
Il contesto italiano secondo i dati Istat 2020 evidenzia che sono 391.000 i bambini e i giovani adulti (15-24 anni) con compiti di cura e assistenza, corrispondenti al 6,6% dell'intera popolazione (dato raddoppiato dal 2015). Nello studio qualitativo dei sociologi sono stati intervistati 14 caregivers, ventenni e trentenni, soprattutto donne, che si prendono cura o si sono presi cura assiduamente (poiché nel tempo si sono progressivamente emancipati da questo ruolo) di familiari stretti, in particolare genitori con malattia psichiatrica o neurologica degenerativa, fratelli o sorelle con disabilità e anche nonni anziani non autosufficienti.
La ricerca, che sarà presentata lunedì 30 ottobre in largo Gemelli (aula 242 alle ore 15.30), si è svolta in collaborazione con alcune realtà di Terzo settore che hanno facilitato l’accesso al campo, e ha esplorato i percorsi di transizione alla vita adulta per comprendere i fattori di rischio e protettivi.
«Questi ragazzi hanno la percezione di essere diversi dai loro coetanei per la diversità dei problemi che vivono e poiché tengono nascoste queste fatiche non riescono nemmeno a esplicitare domande di aiuto - ha dichiarato Bramanti -. Quando a scuola non ci si accorge della situazione, subentra la percezione di essere soli ad affrontare tutto il carico e ne conseguono problemi di rendimento scolastico fino ad arrivare in alcuni casi all’abbandono dello studio o alla sua completa marginalizzazione. Nei casi che abbiamo intercettato c’è una situazione di invisibilità e gli attori sociali che potrebbero essere più sensibili (servizi sociali e scuola) non sono stati sufficienti» - ha concluso Bramanti.
A livello sociale il problema è che il sistema di welfare non viene attivato. Spesso gli adulti non sono in grado di avviare richieste di aiuto, oppure, come nei casi di problematiche psichiatriche, i servizi sono attivi ma il loro intervento non è sufficiente a supportare i caregiver e ad alleviare il peso a volte insostenibile in termini materiali e psicologici. L’esperienza di questi giovani risulta, pertanto, fortemente impegnativa, faticosa, stressante e totalizzante.
I nuclei familiari intervistati sono molto ristretti e coincidono con la famiglia nucleare, ovvero uno o entrambi i genitori ed eventualmente qualche fratello o sorella. La rete famigliare è pressoché assente, o limitata a un paio di parenti, e questo si traduce in un forte senso di isolamento. Si tratta, quindi di famiglie in grave difficoltà anche a chiedere aiuto.
I giovani e giovani adulti intervistati mostrano una grande resilienza, hanno saputo resistere in questa situazione e hanno gestito il passaggio alla vita adulta, non senza rischi. Quasi tutti sono riusciti, nonostante le difficoltà, a concludere gli studi, stanno portando avanti la propria carriera universitaria o professionale con tenacia e con voglia di realizzarsi. Qualcuno ha riferito di essere cresciuto troppo in fretta. Tuttavia, si riconoscono le risorse e le competenze che questa esperienza ha consentito di apprendere, risorse che vanno oltre la dimensione narcisistica individuale (la cura come importante dote della persona) e che vanno oltre la dimensione generazionale (prendersi cura dell'altro in generale).
Grazie a un Progetto di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) vinto di recente, la professoressa Bramanti nei prossimi due anni potrà ampliare la ricerca sui giovani caregiver.
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