NEWS | Santa Sede

Giubileo 2025, la speranza non delude

15 maggio 2024

Giubileo 2025, la speranza non delude

Condividi su:

Celebrato per la prima volta nel 1300, il giubileo comporta una rottura del normale scorrere del tempo: è quell’anno in cui ciascun fedele ha la possibilità di un perdono completo dai peccati, offerto dalla Chiesa in cambio di un percorso di penitenza personale. Presupposto per ottenerlo è il pellegrinaggio a Roma, unito alla visita delle principali basiliche. Concepito da Bonifacio VIII come evento unico ed eccezionale, funzionale alla sua pretesa di potere pieno sul mondo, il giubileo fu poi trasformato in usanza, ripetuta con un ritmo via via più ravvicinato. La celebrazione del secondo avvenne nel 1350: quasi una risonanza del giubileo ebraico proclamato nel Levitico (cap. 25), con la sua promessa cinquantennale di ridistribuzione della terra (perché la terra è di Dio), di cancellazione dei debiti, di liberazione dei prigionieri. Istanze, queste, riprese ora da papa Francesco, subito dopo la sua richiesta di pace. Nel XV secolo la distanza fra un giubileo e l’altro fu poi ridotta a venticinque anni. Ai giubilei ordinari si sono infine affiancati quelli straordinari, l’ultimo indetto per iniziativa dello stesso Francesco, “in quel clima generale di speranza percepito tangibile in tutto il mondo” segnato dalla sua recente elezione, come scrisse allora il generale dei gesuiti, Adolfo Nicolás. Fu il giubileo della Misericordia (2015), convocato all’insegna del versetto di Luca (6,36): “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”.

Ogni giubileo presenta accenti propri. Quello appena annunciato nasce sotto il segno della speranza. Il titolo della bolla di indizione è infatti Spes non confundit (“la speranza non delude”). L’espressione è presa dalla Lettera ai Romani, da un passo (cap. 5) che racchiude i capisaldi della teologia paolina: la giustificazione per mezzo della fede; l’accesso per fede alla condizione di grazia, che rende possibile il resistere nella perseveranza alle sofferenze; la fiducia nella speranza, che non inganna, “perché l’amore di Dio si è già riversato nei nostri cuori mediante lo Spirito santo che ci è stato dato”.

La “speranza che non delude” è quella che permette di guardare con fiducia al tempo in cui si vive e a quello che viene. “Il tempo è il messaggero di Dio”, aveva scritto Francesco nella Esortazione apostolica Evangelii gaudium: “Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci”. Concetti ribaditi in una celebre intervista alla “Civiltà cattolica” in cui avvertiva che “noi (nel senso di: noi cristiani) dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa”.

In passato Francesco ha più volte affermato il primato del tempo sullo spazio, del futuro sul presente. Spes non confundit lo ribadisce, ma rileva anche la preoccupante perdita del senso di entrambi. “Nell’epoca di Internet lo spazio e il tempo sono soppiantati dal qui e ora”. Esperienza comune: la memoria del passato si volatilizza nel sovrapporsi di immagini prive di profondità e di ricordi subito sfocati, l’attesa del futuro si dissolve prima ancora che possa prendere forma di progetto. Pare venuto meno non solamente il regime cristiano di storicità, che per secoli seppe articolare in modo inedito e originale passato, presente e futuro. Sono le scelte personali a mancare di prospettive autentiche, mancano energie, entusiasmo, disponibilità al cambiamento. I percorsi di ricerca si smarriscono, le passioni si incupiscono, i legami personali e comunitari si allentano, i mondi vitali si disgregano.

Se la spinta della speranza viene mano, la vita si ferma. Allontanandosi dal linguaggio antico che prometteva perdono in cambio di penitenza, Spes non confundit lascia sullo sfondo la problematica penitenziale ed esorta invece a interpretare i “segni dei tempi”, a prima vista così oscuri, come segni di speranza. Il pellegrinaggio giubilare può diventare così metafora ed esperienza intensa di una trasformazione possibile, che ritrova le ragioni profonde della vita “nel silenzio, nella fatica, nell’essenzialità”.

“Corriamo verso il futuro”, assicurava Bernardo di Clairvaux parlando dell’esperienza sua e dei primi compagni cistercensi. Ma dove trovare oggi la via di una speranza che non illuda? Il papa rinvia a Paolo, che - sempre nel medesimo passo della Lettera ai Romani (il testo biblico più citato in questa lettera) - indica nella pazienza un fondamento della speranza cristiana. Per il credente (ma non solo per lui) pazienza e speranza rappresentano una coppia inscindibile, in cui un termine sostiene l’altro e ne dà ragione. Per dire la pazienza, Paolo usa il termine greco hypomoné, che vuol dire “stare sotto” un peso. Non però nel senso dell’essere sottomessi o sottomesse a un signore, a un compagno, a un fardello di obblighi, ma del sottostare alla Parola e alla Promessa di futuro. Senza lasciarsi abbattere dalle avversità più minacciose e dalle violenze insostenibili (Paolo parla di “tribolazioni”). Questa pazienza non si contrappone all’impazienza, alla fretta di fare e di ottenere, ma alla rassegnazione. Ravviva la speranza anche negli uomini e nelle donne che umanamente non avrebbero più ragione di sperare.

Un articolo di

Gian Luca Potestà

Gian Luca Potestà

Docente di Storia della Teologia - Università Cattolica

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti