L’acqua è un bene essenziale nonché necessario per la sopravvivenza. Questa frase la sentiamo ripetere sempre e ne siamo consapevoli di come questo elemento sia imprescindibile durante la nostra giornata, iniziando da un bel caffè la mattina fino al più comune gesto di lavarsi la mani.
Ma se non ci fosse così tanta acqua da soddisfare i nostri bisogni? Se lo chiede Federica Costantino, studentessa al quarto anno del dottorato in Science che ha svolto la sua attività scientifica tra l’Istituto Italiano di Tecnologia a Genova e il laboratorio I-Lamp di Brescia ed attualmente si trova al Radation Reseach Lab, a Notre Dame (USA).
«Considerando la crescita della popolazione mondiale, si stima che nel 2050 la domanda dell’uso di acqua aumenterà del 55%. Ed attualmente sembra difficile riuscire a soddisfare tale fabbisogno perché la maggior parte dell’acqua sul nostro pianeta risulta contaminata sia da cause naturali che umana.
Sono diversi gli inquinanti che compromettono la qualità dell’acqua destinata al consumo umano; quelli derivati dai trattamenti industriali quali coloranti, metalli pesanti oppure da uso di concimi e fertilizzanti in ambito agricolo, ma anche l’uso quotidiano di prodotti per la cura della persona, per la detergenza ed infine i farmaci, solo per citarne alcuni.
Per troppo tempo l'acqua è stata data per scontata fino a quando l'aumento dell'inquinamento e la diminuzione delle forniture di acqua potabile hanno delineato la necessità di proteggere le nostre riserve idriche e sviluppare tecnologie per purificare l'acqua, al fine di evitare effetti collaterali e conseguenze per la salute umana e per l'ambiente. Tuttavia, gli attuali metodi di trattamento dell'acqua per garantire acqua pulita non saranno in grado di soddisfare le esigenze della crescente popolazione. Ad esempio, l'assorbimento o la coagulazione si limitano a concentrare gli inquinanti presenti trasferendoli ad altre fasi, non essendo completamente eliminati o distrutti. Ecco perché si rende necessaria lo sviluppo di nuovi metodi avanzati per la decontaminazione delle acque. Che vengono chiamati Processi Ossidativi avanzanti, in inglese AOP’s (Advanced Oxidative Process)».
Ed è proprio in questo contesto che si inserisce il progetto di ricerca del dottorato di Federica, che mira ad ottenere una combinazione tra nanotecnologia e luce.
«Dal mondo “nano” riesco a sintetizzare le nanoparticelle direttamente dentro ad una matrice polimerica, i Nanocompositi; quando questi vengono esposti alla luce si attivano e sono in grado di interagire e degradare le specie che contaminano l’acqua. Tutto questo meccanismo descritto in una parola è la fotocatalisi. Nel mio progetto ho studiato con attenzione la degradazione di due coloranti molto utilizzati nell’industria tessile e conciaria; utilizzando per questo scopo un polimero derivato dalla cellulosa funzionalizzato con nanoparticelle, ad esempio di cerio e platino, le cui dimensioni variamo dai 3-5 nm. Si sono ottenuti risultati promettenti, considerando anche la possibilità di avere dei materiali maneggevoli, non tossici e che possono anche essere riutilizzati nuovamente dopo il loro uso.
Questa classe innovativa di materiali viene chiamata smart, utilizzando l’inglesismo, sono per l’appunto materiali intelligenti che riescono a sfruttare direttamente le risorse naturali (la luce solare) per funzionare».
Federica in questo periodo si trova negli Usa, alla University of Notre Dame: «Qui sto studiando come utilizzare l’acqua come fuel, ovvero tramite la scissione delle molecole di acqua ottenere direttamente H2 (idrogeno) che può essere utilizzato come combustibile al posto degli attuali combustibili fossili. Sono ancora nella fase iniziale di questo progetto, ma spero di ottenere dei risultati promettenti che possano aprire una nuova via per la produzione e l’utilizzo di energia verde e non inquinanti».