Letto da generazioni di studenti, I promessi sposi è un romanzo avvincente grazie alla galleria di personaggi e situazioni, presentati talvolta anche in modo ironico, con i loro caratteri e le debolezze umane che è possibile trovare, al di là della vicenda particolare, in ogni tempo e luogo: basti pensare alla confusione normativa, al ruolo dei potenti, alla condizione del popolo. Ma perché l’opera manzoniana, la cui attualità è stata riscoperta durante la pandemia, è così vicina alla nostra epoca? Ne parliamo con il professor Pierantonio Frare, docente di Letteratura italiana in Università Cattolica e direttore scientifico della Scuola estiva internazionale in studi manzoniani che, in programma dal 14 al 16 luglio in modalità on line, consentirà a docenti universitari e studiosi di raccogliere riflessioni e contributi sulle ultime ricerche dell’opera manzoniana.
Professor Frare, perché il romanzo storico I promessi sposi è ancora attuale? «Poiché non tutto il male vien per nuocere, anche nella pandemia ci sono stati aspetti positivi: ciascuno di noi, se appena amplia il proprio sguardo, ne può trovare qualcuno. Uno di questi, e sia pur minimo, è stata la riscoperta dell’attualità de I Promessi sposi. Perché si parla di peste, certo; ma chi, in questa occasione, ha letto il romanzo per la prima volta, o lo ha riletto, si è subito reso conto che I promessi sposi parlano di noi, del nostro tempo, perché toccano aspetti della vita dell’uomo, e della vita dell’uomo in società, che sono, se non perenni, certamente duraturi. Partiamo dal primo capitolo, forse uno dei più noiosi, o difficili, con quella infilata di grida riportate nel loro linguaggio originale. C’è un problema, quello della prepotenza dei bravi, cioè della delinquenza organizzata al servizio di un potente. Come si tenta di risolverlo? Con una grida dietro l’altra, stesa in un linguaggio sempre più minaccioso e con l’aumento esorbitante delle pene. Naturalmente, ogni nuova grida rende meno efficace la precedente, che tuttavia rimane in vigore; poiché i bravi non si estinguono a colpi di grida, allora occorrono pene sempre più gravi. Sono due fenomeni che i giuristi chiamano nomorrea e sanzionorrea: cioè, l’eccesso di leggi e l’eccesso di pene. Si pretende di combattere il male moltiplicando le leggi e aumentando in modo esorbitante le pene: come se la gente diventasse buona per legge. Non sono forse due dei mali che affliggono la nostra società, il moltiplicarsi di leggi spesso in conflitto tra di loro e l’aumento esorbitante delle pene minacciate al reo?»
Ci faccia qualche altro esempio…. «Nel capitolo V, fra Cristoforo si reca al palazzotto di don Rodrigo, dove è in corso un pranzo. Tra gli invitati, chi troviamo? L’avvocato Azzecca-garbugli, al quale Renzo si era rivolto perché lo assistesse nella causa contro don Rodrigo; e il Podestà, cioè l’autorità che avrebbe dovuto rendere giustizia a Renzo. Questa riunione punta il dito contro la confidenza con cui alcuni esponenti delle istituzioni abdicano al proprio ruolo, creando una sorta di società occulta che opera in modo opaco per ottenere vantaggi reciproci, a scapito della società per il cui bene dovrebbe operare. Comportamenti antichi e sempre nuovi: alcuni anni fa, due giudici della Corte Costituzionale furono a pranzo a casa dell’allora Presidente del Consiglio: non potevano, non dovevano, tanto più che erano chiamati a decidere su questioni che lo riguardavano. Manzoni denuncia con forza questo malcostume, mostrandocelo in atto. Manzoni descrive il pranzo e gli invitati con il preciso scopo di aprire gli occhi al lettore, di aiutarlo a riconoscere le forme subdole e occulte di esercizio del potere e quindi di evitare di diventarne complice. La lezione è ancora e sempre attuale: per fortuna, tante persone oneste la mettono in pratica ogni giorno.
Un elemento di attualità del romanzo riguarda la peste in relazione alla pandemia del Covid 19. «Certamente il collegamento risulta immediato. Quel che vale la pena di notare è il modo in cui Manzoni esamina le cause non tanto della peste, quanto della sua diffusione. In questo, credo, sta la straordinaria modernità dei capitoli 31 e 32. Egli dimostra che c’è un concorso di colpe: le massime autorità, come il governatore di Milano, hanno altro a cui pensare (la guerra!); i corpi intermedi (il Senato, il Tribunale della sanità) prendono provvedimenti sbagliati, in ritardo, si fidano di pseudo esperti, in buona sostanza perché non vogliono che ci sia la peste. Ma - e qui sta il grande acume analitico e morale di Manzoni - non è solo colpa dei governanti: il popolo stesso, i cittadini non credono agli allarmi dei medici; non obbediscono agli ordini di denunciare i casi di peste; di isolare i malati. Credo che ognuno di noi possa facilmente rintracciare gli stessi comportamenti nelle vicende della pandemia, dai no-vax ai negazionisti agli ostacoli posti al tracciamento, al rifiuto di usare la mascherina o di tenere le distanze».
Perché si studia ancora il romanzo di Alessandro Manzoni (qualcuno, anche autorevole, provocatoriamente ne voleva abolire per legge la lettura a scuola)? «Potrei cavarmela con una semplice frase, che però sintetizza con efficacia, credo, tutte le ragioni che si potrebbero addurre: perché dice bene cose buone. La lingua è di una modernità straordinaria, specialmente nei dialoghi; e questa lingua è al servizio di una visione del mondo che esorta non alla rassegnazione, come superficialmente viene detto, ma alla speranza. Certo, quando non c’è alcun rimedio, occorre rassegnarsi; ma quando i rimedi ci sono, occorre operare: Renzo e Lucia non si rassegnano alla prepotenza di don Rodrigo, ma lottano, per quanto è in loro; e l’amore di Renzo per Lucia supera mille ostacoli, persino il voto. I promessi sposi sono un invito a quella che oggi si chiamerebbe cittadinanza attiva».
Allora va bene confrontarsi ancora con tale testo. «Sì perché I promessi sposi sono ancora un libro vivo, fondamentale per il nostro presente e quindi per i nostri ragazzi, e molti insegnanti lo sanno. In quale altro romanzo il lettore è messo di fronte a temi come il libero arbitrio e il determinismo, la giustizia e l’ingiustizia, il potere e la servitù, l’opulenza di pochi e la miseria di molti, la fede e l’incredulità, la vita e la morte, l’amore e l’odio, la fedeltà e il tradimento, la vendetta e il perdono? E tutto questo in un linguaggio che provoca lo sdegno, ma mai la rabbia o il nichilismo, entrambe forze distruttive; che mostra che il mondo così com’è («così andava il mondo nel secolo decimosettimo…») non va bene, ma che non per questo bisogna perdere la speranza di farlo andare meglio e a questo dobbiamo dedicarci con tutte le nostre forze, pur sapendo che ciò non garantirà il pieno successo dell’impresa, che in ultima analisi dipende dalla volontà di Dio».
Manzoni è solo I promessi sposi o altre sue opere letterarie meritano di essere riscoperte? «Sarebbe facile dire che tutte le opere di Manzoni meritano di essere lette. Ne indico solo tre: innanzitutto, la Storia della Colonna infame, che costituisce il completamento de I promessi sposi, tutta centrata com’è sul grande tema della responsabilità personale; poi Il cinque maggio, che credo molti conoscano già, straordinaria rilettura della vicenda di Napoleone, e di tanti altri grandi uomini che pure hanno insanguinato la terra; infine, il Saggio comparativo sulla Rivoluzione francese e la Rivoluzione italiana, opera storica rimasta incompiuta che è una formidabile riflessione delle storture da cui la prima è nata, che sono la causa dei massacri che ha alimentato».