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Il contratto di maternità surrogata tra mercato e dono

22 novembre 2024

Il contratto di maternità surrogata tra mercato e dono

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Gli affetti non si mercificano e non possono essere oggetto di contratto: è questo, in sintesi, il messaggio principale emerso durante il convegno “Profili etici e giuridici della maternità surrogata. Il figlio del contratto?”, organizzato il 20 novembre a cura del Centro di ricerca sulla filosofia della persona Adriano Bausola (CRIFIPAB) e del Centro di Ateneo di Bioetica e Scienze della vita, riflettendo su una pratica che non tocca solo il campo del diritto ma anche quello della medicina, della filosofia e della bioetica.

L’inquadramento filosofico, con particolare riguardo ai profili etici, è stato affrontato da Alessio Musio, docente di Filosofia morale in Università Cattolica, il quale ha subito evidenziato che essere figli nell’epoca della tecnologia vuol dire che si può essere figli di una stipula contrattuale prescindendo dall’unione carnale dei corpi. Questo accade grazie alla maternità surrogata, la pratica per cui una donna porta a termine una gravidanza e il successivo parto, consegnando il neonato a dei “genitori sociali” che in vari modi hanno contribuito alla sua generazione. «Nessuno di noi è voluto in quanto tale, i nostri genitori hanno voluto un figlio, e poi siamo arrivati noi, motivo per cui il figlio lo possiamo considerare un “imprevisto” inteso come soggetto e non come evento, perché non si sa prima come sarà, dato che la persona umana è unica, irripetibile e imprevedibile. Il contratto, allora, nasce come rimedio alla imprevedibilità». 

A sostegno della maternità surrogata si considera che il passaggio dal fenomeno biologico alla contrattualità crea una posizione paritaria tra uomo e donna. Inoltre – al fine di non incorrere nel reato di vendita di minore e nella cessione dei diritti parentali – la retribuzione data alla madre in surroga viene imputata a rimborso dei servizi resi durante la gestazione. Tutto ciò, ha proseguito il professor Musio, viola la dignità della persona e i diritti umani causando una nuova forma di sfruttamento, inganno e raggiro della donna, peggiore della tratta femminile e della prostituzione. «Il nascere per contratto rimuove la casualità dell’essere figli: così si diventa proprietari di un figlio e non creatori. Per questo la generazione si chiama procreazione e il generato è un nuovo essere umano titolare di valore e dignità». 
 

 

Accanto al problema morale si pone il problema giuridico, che è stato affrontato da Luisa De Renzis, sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica dove coordina il gruppo di lavoro sulla maternità surrogata. Al fine di inquadrare la complessità di tale fenomeno, ha fatto rilevare che questa pratica vede attorno al bambino la presenza di almeno sei figure di adulti che potrebbero chiedere lo status di genitori: la madre genetica donatrice di ovuli, la madre surrogata (che poi scomparirà dalla vita del neonato), la madre committente, il padre donatore, il padre richiedente, il coniuge della madre surrogata, oltre ad altre figure che ruotano attorno alle intese contrattualizzate come medici, avvocati, agenzie di supporto. 

In tutto ciò il bambino diviene merce di scambio e oggetto della prestazione del contratto. La donna che offre il proprio grembo diventa uno strumento riproduttivo con una finalità a prima vista buona ma è il volto della madre che poi scompare. Questo è progressismo o si torna ad una arretratezza culturale che sotto le mentite spoglie del progetto medico propone solo un contratto a titolo oneroso? Siamo nel campo di un modello di altruismo o nella contrattualistica pura? Un contratto commerciale con tante clausole è eticamente accettabile per donne e bambini, e assicura una tutela avanzata delle relazioni umane, se si considera che tutte queste clausole hanno l’obiettivo di eliminare ogni diritto genitoriale sul bambino, cosa non consentita dalla nostra legislazione?

A tali domande ha proposto risposte la dottoressa De Renzis, esaminando le varie clausole contrattuali (tanto puntuali anche nel dettagliare lo stile di vita e relativi controlli nel periodo di gestazione), i risvolti civilistici delle stesse e la ricca giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale. E’ emerso il venire meno della libertà di autodeterminazione della mamma surrogata, che mortifica la libertà di autodeterminazione della donna, l’eliminazione della responsabilità delle agenzie di supporto, da cui emerge che il neonato è inteso come un prodotto inserito in una filiera commerciale, esatta antitesi della vita intesa come dono.

L’esame delle sentenze delle Corti rileva una unanime concordanza nell’intendere la maternità surrogata una pratica che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane (si pensi ai sei adulti attorno alla figura del neonato frutto di maternità surrogata).

Molto sentita e appassionata la conclusione della dottoressa De Renzis: «Il volto di una madre non può mai scomparire nella mente e nell’anima del bambino. La dignità umana è inviolabile. Con questa pratica si vanificano le lotte sull’uguaglianza dei sessi, si entra in una logica del “do ut des” che non appartiene alla logica della famiglia. Da donna, prima che da magistrato, affermo che i figli non sono nostri, ogni desiderio umano non può essere un diritto umano inviolabile, non sempre ciò che nasce dal desiderio è in grado di generare esperienze libere ed autentiche».

Un articolo di

Agostino Picicco

Agostino Picicco

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