Gli affetti non si mercificano e non possono essere oggetto di contratto: è questo, in sintesi, il messaggio principale emerso durante il convegno “Profili etici e giuridici della maternità surrogata. Il figlio del contratto?”, organizzato il 20 novembre a cura del Centro di ricerca sulla filosofia della persona Adriano Bausola (CRIFIPAB) e del Centro di Ateneo di Bioetica e Scienze della vita, riflettendo su una pratica che non tocca solo il campo del diritto ma anche quello della medicina, della filosofia e della bioetica.
L’inquadramento filosofico, con particolare riguardo ai profili etici, è stato affrontato da Alessio Musio, docente di Filosofia morale in Università Cattolica, il quale ha subito evidenziato che essere figli nell’epoca della tecnologia vuol dire che si può essere figli di una stipula contrattuale prescindendo dall’unione carnale dei corpi. Questo accade grazie alla maternità surrogata, la pratica per cui una donna porta a termine una gravidanza e il successivo parto, consegnando il neonato a dei “genitori sociali” che in vari modi hanno contribuito alla sua generazione. «Nessuno di noi è voluto in quanto tale, i nostri genitori hanno voluto un figlio, e poi siamo arrivati noi, motivo per cui il figlio lo possiamo considerare un “imprevisto” inteso come soggetto e non come evento, perché non si sa prima come sarà, dato che la persona umana è unica, irripetibile e imprevedibile. Il contratto, allora, nasce come rimedio alla imprevedibilità».
A sostegno della maternità surrogata si considera che il passaggio dal fenomeno biologico alla contrattualità crea una posizione paritaria tra uomo e donna. Inoltre – al fine di non incorrere nel reato di vendita di minore e nella cessione dei diritti parentali – la retribuzione data alla madre in surroga viene imputata a rimborso dei servizi resi durante la gestazione. Tutto ciò, ha proseguito il professor Musio, viola la dignità della persona e i diritti umani causando una nuova forma di sfruttamento, inganno e raggiro della donna, peggiore della tratta femminile e della prostituzione. «Il nascere per contratto rimuove la casualità dell’essere figli: così si diventa proprietari di un figlio e non creatori. Per questo la generazione si chiama procreazione e il generato è un nuovo essere umano titolare di valore e dignità».