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Il Festival di Sanremo ai tempi del Covid-19

11 marzo 2021

Il Festival di Sanremo ai tempi del Covid-19

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È passato abbondantemente un anno da quell’ultima occasione di festa fatta di sorridenti e spensierati assembramenti prima che il bandito virus dilagasse nelle nostre vite: case, strade, famiglie e ospedali. Si è preso tutto. Dopo Sanremo appunto. L’iconica 70esima edizione della kermesse canora ha fatto da spartiacque. Ha segnato un prima e un dopo. E, forse per questo, l’immaginario collettivo invocava un “Festival della rinascita”.

Quello che si è appena concluso, però, è stato più che altro il “Festival delle sfide”. Doveva essere coraggioso solo per la scelta del cast - composto quasi interamente da quella che viene definita “la nuova generazione musicale” fatta di rap, trap, indie e indie-rock - e invece ha mostrato la sua audacia anche per tutto il resto. Un resto fatto di consuetudini stravolte, mascherine doppie e triple, tamponi a gogò, plexiglas e diffidenza nei confronti del collega, amico o sconosciuto che sta in parte.

Le dita erano incrociatissime e gli animi romantici sognavano il miracolo. Niente da fare. Sanremo 2021 - su cui è calato il sipario nella notte (fonda) tra sabato 6 e domenica 7 marzo – non è riuscito nell’intento agognato. Non c’è da cercare colpe col lanternino, né da scadere in constatazioni banali. L’Amadeus e Fiorello bis è stato comunque – anzi a maggior ragione - un Festival storico, indimenticabile, a tratti incredibile che ha fatto i conti (eccome se li ha fatti) con il tiranno invisibile.

Una corsa a ostacoli quella fatta quest’anno dagli addetti ai lavori che, spesso e a più riprese, hanno dovuto raddrizzare il tiro. Qualche esempio? La positività di un collaboratore di Irama ha messo il cantante a rischio squalifica (così avrebbero voluto le 75 pagine di regolamento stilate prima che il carrozzone prendesse il via). Il buonsenso ha prevalso e per cinque sere è andata in onda la sua prova generale (sempre sia benedetta). Ancora. La presenza di Simona Ventura a Sanremo creava non poche aspettative ma niente da fare. Anche qui ci ha messo lo zampino il virus dei virus: SuperSimo è risultata positiva a poche ore dal grande ritorno.

Ingombranti anche l’assenza del pubblico in sala e quella degli ospiti internazionali che sono pesate come macigni sugli ascolti, non stellari, ma che hanno tenuto botta, migliorando serata dopo serata. Per dire, la finale ha ottenuto quasi 11 milioni di telespettatori con una share media del 53.5%. Non bastasse, il momento della proclamazione della vittoria dei Maneskin ha fatto toccare a Raiuno il 78.2% di share alle due e mezzo (di notte, non di pomeriggio).

Alla vigilia del Festivalone nessuno avrebbe immaginato che la mancata e immediata interazione con la platea dell’Ariston potesse avere un valore così inestimabile. Men che meno si poteva mettere in conto che l’allure dei nomi altisonanti potesse far svanire quel senso di trepidante attesa che solo star di un certo calibro possono creare. Senza nulla togliere a chi ha presenziato nonostante tutti i nonostante: da Matilda De Angelis a Serena Rossi, passando per Barbara Palombelli ed Elodie. Solo per citarne alcune. Sì, c’era Zlatan Ibrahimovic. E pure Achille Lauro. Ma non sono riusciti a fare la differenza.

Col senno di poi si poteva far meglio? Verrebbe da dire che sia già tanto quello che è stato fatto. Così tanto da portare nelle casse della tv di Stato 38 milioni di euro di pubblicità. Così tanto da aver regalato agli italiani cinque giorni di distrazione e leggerezza che non fanno calare decessi e contagi ma nutrono la speranza di tornare a vivere. Speranza che ognuno di noi, un anno dopo, sente il bisogno di custodire.

Un articolo di

Antonella Luppoli

Antonella Luppoli

Giornalista e Ufficio Stampa. Alumna di Scienze Politiche e Sociali

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