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Il futuro sostenibile della filiera corta

26 aprile 2021

Il futuro sostenibile della filiera corta

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La filiera corta, l’annullamento dello spazio che divide chi produce e chi consuma, è il tema centrale sul quale lavora Mirta Alessandrini, avvocato di 27 anni, che oggi insegna e fa ricerca in Olanda, a Wageningen, e che ha appena conseguito il Phd all’Università Cattolica del Sacro Cuore dopo avere concluso la Scuola di dottorato per il sistema agroalimentare Agrisystem con la tesi di dottorato dal titolo “Small Farmers and the Short Food Supply Chain. The CAP and the Californian Alternative Food Movements as a source of potential insights”, una ricerca nata per proseguire sulla strada intrapresa  all’università, ma anche per qualcosa di più intimo.

«Se penso ai luoghi dove sono cresciuta, attorno a Macerata, posso dire di essere legata alle piccole realtà italiane collinari e di campagna» dice Alessandrini. Da qui l’idea di occuparsi della filiera corta agroalimentare. «Quella che prevede un rapporto diretto o quasi fra consumatore e produttore - spiega - come i gruppi di acquisto solidale (Gas), i mercati contadini e locali, la vendita diretta nella fattoria, dove il consumatore si reca direttamente ad acquistare».

Qual è stato l’obiettivo della ricerca?
«Intendevo capire se gli interventi normativi fatti sino ad ora a livello europeo fossero finalizzati a supportare questo modello di filiera o, al contrario, finissero con l’inibirlo».

E cosa ne ha tratto?
«Che la filiera corta non sempre è sinonimo di sostenibilità, benché spesso sia così».

Mi spiega meglio?
«Occorre prima fare una premessa sul termine sostenibilità».

Prego.
«Alla voce “sostenibilità” finisce oggigiorno un po’ di tutto, ecco perché si sta cercando un nuovo termine da applicare a questo concetto. La sostenibilità deve essere intesa in termini ambientali, ma anche economici e sociali».

E come entra nella sua tesi questo discorso?
«La mia ricerca ha un risvolto sociale, dal momento che in Europa e specialmente in Italia i piccoli produttori rappresentano la grande maggioranza del comparto, benché restino spesso invisibili. Il problema più evidente è che le normative ci sono, i fondi sono stanziati, ma i piccoli agricoltori hanno difficoltà a ottenerli perché non hanno le competenze né economiche né legali per accedervi. A riguardo, burocrazia e trasparenza divengono così un fattore rilevante».

Come ha inciso l’epidemia di Covid-19 su questa filiera?
«Credo abbia dato l’opportunità di ripensare alla narrativa che gira intorno all’agricoltura e al concetto di consumo alimentare. L’aspetto positivo è che abbiamo compreso che viviamo in un mondo nel quale occorre fare i conti con tante cose diverse. Il modo in cui noi ci approcciamo al sistema agroalimentare può influire sull’impatto ambientale».

Quello di cui parla non è però un ritorno al passato, vero?
«Assolutamente, è un connubio tra innovazione e tradizione. Si tratta di unire la tecnologia alle piccole realtà, spalancando a queste ultime nuovi orizzonti. Dietro, è chiaro, ci deve essere una volontà della politica tradotta in azioni per sostenerle».

Cosa l’ha spinta a scegliere la scuola Agrisystem per questo suo progetto?
«Volendo dedicarmi al settore agroalimentare, la Cattolica era una delle poche università in Italia che offriva questa possibilità. Ho fatto domanda e sono stata selezionata».

Ha rappresentato un valore aggiunto?
«Grazie ad Agrisystem ho vissuto in California lo scorso anno come visiting Phd. Parte della mia tesi è infatti rivolta a una comparazione fra i due sistemi: europeo e californiano. Per quanto concerne le filiere corte agroalimentari la California è molto attiva, le filiere sono gestite in maniera diversa da come accade nel nostro continente. Volevo quindi capire se confrontando modelli così differenti ci fossero elementi positivi da traslare nel sistema europeo per facilitare l’attività dei piccoli agricoltori».

Ora ha il Phd in tasca, ma il suo futuro dove lo vede?
«Il mio grande sogno sarebbe quello di lavorare in Commissione Europea, unendo le mie due esperienze: quella accademica a quella legale». 

Un articolo di

Filippo Lezoli

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