NEWS | Medicina

«Il paziente ha bisogno di un contatto fisico»

11 febbraio 2023

«Il paziente ha bisogno di un contatto fisico»

Condividi su:

«Il paziente ha bisogno di essere toccato. Bisogna toccare i pazienti, stabilire un rapporto fisico, non mediato. La mano del medico che tocca il paziente suggella il contratto implicito di cura: “Farò il possibile per ascoltare il tuo disagio, il tuo dolore ed alleviare come posso la tua sofferenza”. Dopo di ciò ben venga la medicina tecnologica con la sua straordinaria potenza di diagnosi e di terapie». 

Il significato di essere medico, il valore di esercitare la professione medica ma soprattutto quale deve essere la relazione tra medico e paziente, che deve sussistere alla base di ogni terapia e cura, è racchiusa in queste parole del dottor Massimo Fantoni - Direttore UOC Emergenze infettive e Covid-19, Coordinatore Antibiotic Stewardship Team della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e docente presso la Facoltà di Medicina e chirurgia dell'Università Cattolica - che proprio alla luce della sua lunga esperienza e di quanto vissuto in prima linea durante la crisi sanitaria da Coronavirus afferma come «l’esperienza sul campo mi ha fatto osservare che la situazione di distacco e isolamento, dovuta alla pandemia, era particolarmente penosa per i pazienti più anziani. Ora che le restrizioni si sono allentate, direi che si sta tornando lentamente a recuperare quella normalità di relazioni tra curanti, paziente e familiari che è elemento fondamentale di cura, senza il quale ogni impegno rischia di essere molto meno efficace nell’alleviare la sofferenza che si accompagna alla malattia». Lo abbiamo intervistato in occasione della Giornata mondiale del malato, che si celebra sabato 11 febbraio.

A fronte della recente pandemia che, come ogni patologia infettiva, ha portato il malato all’isolamento, alla solitudine, alla lontananza tra luogo di cura e famigliari quanto ha inciso e impattato la crisi sanitaria sulla figura del malato, sulla condizione del paziente?
«Noi infettivologi siamo abituati affrontare, nella pratica assistenziale, sia i disagi e le sofferenze legate alla malattia, sia la sofferenza aggiuntiva che spesso è provocata dall’isolamento per ragioni di sicurezza. Durante la pandemia di Covid-19, soprattutto nel primo anno, e in modo speciale nei primi mesi, questa somma di sofferenze si è accentuata e moltiplicata. Infatti, le difficoltà di diagnosi e terapia di una malattia nuova, unite a una prognosi spesso assai severa, davano ai curanti non di rado un senso di apprensione e ai pazienti di vera e propria angoscia. La necessità di adottare criteri rigidissimi di isolamento per i pazienti e di utilizzo dei dispositivi di protezione per gli operatori hanno accentuato in moltissimi casi questo senso di angoscia e di separazione forzata tra curanti e malati».

La personalizzazione delle cure è un obiettivo prioritario della medicina contemporanea. La “medicina personalizzata” è in particolare una delle mission caratterizzanti della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS. Si declina in cure su misura terapie mirate ma riguarda anche – oltre l’area della terapia – quella della prevenzione e della diagnosi.Ritiene che la “medicina personalizzata” conduca a un malato “diverso”, nel senso di un paziente che ha una interazione più attiva e una motivazione maggiore nella cura?
«Penso che la medicina personalizzata - soprattutto nella sua declinazione di terapie oncologiche ritagliate in modo “sartoriale” su specifici bersagli molecolari presenti sulle cellule tumorali - sia uno dei più affascinanti progressi della medicina contemporanea. Credo che oltre allo straordinario valore tecnico di questo approccio, si tratti di una grande opportunità che i curanti dovrebbero cogliere per qualificare ancora meglio la relazione curante. Infatti, informare un paziente che quella specifica cura è in qualche modo costruita su misura per la sua malattia ritengo dia un grande senso di attenzione e di vicinanza».

L’approccio della medicina personalizzata permette inoltre di prevenire le malattie, riconoscerle precocemente, consentendo interventi terapeutici più tempestivi ed efficaci. Permette pertanto di conciliare appropriatezza di cura, vantaggi in termini di qualità di vita e sicuramente risparmio economico per il servizio sanitario. Navarro Valls, ex direttore della Sala Stampa vaticana, una volta disse che "La malattia è un problema umano. Una società si misura per quello che fa quando un suo cittadino si ammala”. Professor Fantoni, alla luce di questa affermazione, in che società ci ritroviamo e stiamo vivendo?
«In Europa e in Italia noi siamo abituati a un’offerta assistenziale di alta qualità e accessibile a tutti i cittadini. La sostenibilità di sistemi sanitari come il nostro è un tema di grande rilevanza sul piano socio-economico. In Italia l’incidenza della spesa sanitaria sul PIL è ampiamente inferiore ai principali Paesi europei, mettendo spesso in difficoltà tutto il sistema. Questa è anche una delle ragioni per cui aumentano la domanda e l’offerta di prestazioni sanitarie in regime privato, che inevitabilmente penalizza i cittadini più svantaggiati. Inoltre, quel federalismo sanitario per cui le Regioni sono sostanzialmente autonome nella gestione della Sanità, mostra tutti i suoi limiti quando osserviamo strutture sanitarie pubbliche con standard qualitativi elevati e altre gravemente deficitarie. In estrema sintesi, penso che l’accesso universale ai servizi sanitari sia uno dei pilastri di civiltà e di solidarietà che dovremo sempre difendere. La pandemia di COVID-19 è stato uno stress-test straordinario in cui il sistema ha sostanzialmente retto. Credo altresì che la strada per rendere tutto più equo e più efficiente sia ancora molto lunga».

Un articolo di

Graziana Gabbianelli

Graziana Gabbianelli

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti