In principio fu Leonardo da Vinci, il creativo per antonomasia, dotato di idee fin troppo dirompenti per la sua epoca. Ma sempre, nella storia, originalità, efficacia, coraggio sono stati i tratti distintivi all’origine della creatività. E oggi? Nell’era di internet, alle prese con capacità illimitate di navigazione e immani quantità di informazioni, dovremmo essere tutti più creativi. Ma non è così. Ha preso le mosse da questo interrogativo il webinar “Come la tecnologia trasforma la creatività?”, terzo e ultimo appuntamento dell’iniziativa “Dall’uomo alla tecnologia” promosso mercoledì 11 aprile dallo Humane Technology Lab, diretto da Giuseppe Riva, e realizzato in media partnership con Rai Cultura.
Facciamo un passo indietro. «Che cos’è la creatività», ha chiesto la giornalista di Radio InBlu2000 Chiara Placenti ai due interlocutori del dibattito Giovanni Emanuele Corazza, presidente della Fondazione Marconi e docente di Creativity and Innovation all’Università di Bologna, e Andrea Gaggioli, docente di Psicologia generale all’Università Cattolica. «È considerata una delle abilità fondamentali del XXI secolo», quindi «non è una opzione, riservata a pochi grandi geni ma è democratica, una opportunità permessa a tutti», ha risposto il professor Corazza. Secondo cui sono due gli ingredienti fondamentali per riconoscere l’esistenza del fenomeno creatività che coinvolge persone, idee, prodotti, ambienti, situazioni. Il primo è l’«originalità». Ora qualcosa per essere originale deve essere nuova, sorprendente, autentica. Tutto questo però non basta. Serve anche un secondo ingrediente: l’efficacia. Nell’attività artistica s’identifica con l’estetica, la possibilità che l’opera possa piacere secondo certi canoni estetici. Nella scienza, per esempio, è legata alla capacità esplicativa di una nuova teoria; nella tecnologia, invece, dipende dalle prestazioni. In sostanza, «un’idea creativa è sia nuova sia sorprendente ma anche utile, adatta, capace di portarci avanti». Il riconoscimento di originalità ed efficacia non è contestuale alla nascita delle idee - soprattutto di quelle dirompenti - ma avviene molto tempo dopo. «L’esempio paradigmatico rimane Leonardo da Vinci, la cui stragrande maggioranza di idee ha visto la luce secoli dopo la sua epoca. Nonostante tutto è andato avanti, non si è fermato». Dunque, «per avere successo creativo bisogna crederci ed essere persistenti».
Va abbandonata, però, quella «visione molto romantica» che «attribuisce all’individuo e alla sua personalità le caratteristiche principali del potenziale creativo», ha obiettato il professor Gaggioli. «La creatività ha una dimensione sociale» e «senza nulla togliere al genio individuale di Leonardo da Vinci dobbiamo ricordare che lui stesso fu centro e motore di una grande comunità di creativi». Inoltre, «chi studia la creatività deve distinguere tra due tipologie di attività creativa, la “big creativity” e la “little creativity”», ha aggiunto il professor Gaggioli. Nell’ultimo caso il riferimento sono le «piccole invenzioni del quotidiano». La “big c”, invece, riguarda i «contesti professionali» e si manifesta attraverso «eventi culturali paradigmatici», «idee» e «visioni universalmente riconosciute» in grado di cambiare il modo di pensare. Gli esempi in campo scientifico sono molteplici: la teoria di Darwin, la relatività di Einstein.
Insomma, siamo tutti potenziali creativi. E allora come riconoscerci tali? «È fuor di dubbio che un bambino di 2 e 3 anni è estremamente creativo». Anche se tutti, chi più chi meno, siamo dotati di un «talento naturale» e di una «esperienza» che poi «dà un modello», a questa capacità creativa, permettendo di «esprimerla» o «bloccarla». Per quale motivo può rimanere latente? Innanzitutto «c’è un blocco percettivo» dovuto al fatto che «se guardiamo la realtà sempre dallo stesso punto di vista impediamo alla nostra mente di acquisire quella freschezza e quella flessibilità che ci permetterebbe di vedere una soluzione altrimenti invisibile». Ma c’è pure un «blocco epistemologico». Se la conoscenza è un ingrediente fondamentale per il processo creativo, nello stesso tempo, può trattenere la creatività nelle «buche di potenziale formate dai concetti condivisi» impedendo di credere che ci siano alternative a quanto sia stato già scoperto o inventato. Il terzo blocco è quello emozionale, cioè «la paura di dire qualcosa di veramente originale». Questo perché «più l’idea che esprimiamo è creativa, maggiore sarà la resistenza che essa incontrerà nel mondo esterno». Per cui «dobbiamo essere pronti a resistere alle eventuali critiche» e «alla possibilità di un “fallimento”, di una «inconcludenza creativa». Ma talvolta ammettere il fallimento fa paura, soprattutto nelle aziende.
La paura, dunque, è la principale nemica della creatività. Questo perché, ha detto il professor Gaggioli, «le emozioni negative, come confermano gli studi dell’americana Barbara Fredrickson, producono sulla percezione e sulla cognizione un effetto tunnel». Invece, «le emozioni positive come gioia, curiosità, meraviglia tendono ad espandere il nostro repertorio di pensiero e azione» innescando comportamenti esplorativi che «aiutano a costruire risorse e competenze a lungo termine». Da questo punto di vista sono «alleate della creatività». Come lo sono anche il «coraggio» e l’«autostima» alla base di quel «lavoro di persuasione sociale» cruciale per portare avanti nel momento in cui l’«idea rompe gli schemi usuali».
Ma veniamo al punto nodale: come si relazionano tecnologia e creatività? La prima, ha chiarito il professor Corazza «dando accesso quasi illimitato e persino eccessivo alle sorgenti di informazione può aiutare la seconda a generare nuove forme di espressione, consentendo a tutti di diventare creativi». In sintesi, «tutti possiamo creare contenuti web, audio, musicali». Ci sono però anche effetti negativi. In primis, lo «spam attentivo» che minaccia costantemente la calma e la riflessione necessarie per l’incubazione di una nuova idea. Non solo. «La libertà di accedere a tante informazioni è in realtà mediata dai motori di ricerca» che, orientando le risposte, determinano una «chiusura del cono delle possibilità travestita da presunta libertà di navigazione in tutto il mondo».
È quella che il docente di Psicologia generale della Cattolica ha definito «minaccia dell’incapsulamento cognitivo» visto che «gli algoritmi restringono la nostra possibilità di esplorazione del possibile non solo perché ci forniscono opzioni predefinite ma ci danno soluzioni precostituite che riducono le nostre capacità espressive». A questa limitazione della libertà espressiva si aggiunge un’altra minaccia. «Il vero pericolo è una presenza di eccessiva standardizzazione» della creatività. Un esempio? Basta dare un’occhiata ai profili dei social network: sono tutti identici e con la medesima architettura. Nello stesso tempo «in rete operano meccanismi che tendono ad automatizzare il processo creativo», come conferma il forte ricorso a mush-up, aggregatori, procedure guidate. E se questo, da un lato, abilita persone senza competenze a costruire una propria presenza on line, dall’altro, implica un prezzo da pagare: la riduzione in modo significativo delle «possibilità di espressione creativa».