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Internazionalizzazione, i dieci anni del Chei

15 settembre 2021

Internazionalizzazione, i dieci anni del Chei

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Un think tank per diffondere la cultura dell’internazionalizzazione nel sistema universitario nazionale. Il Centre for Higher Education Internationalisation (CHEI) è nato dieci anni fa in Università Cattolica ispirandosi ai principi dell’apertura, del dialogo, del multiculturalismo. Per celebrare il decennale della sua fondazione, che cade nel Centenario dell’Ateneo, giovedì 16 e venerdì 17 settembre si terrà in modalità ibrida la due giorni di incontri e webinar “Celebrating 10 years of CHEI”.

«L’internazionalizzazione per il sistema universitario è inevitabile per la sua la sopravvivenza», afferma il direttore del CHEI Amanda Murphy, professore ordinario di Lingua inglese nella facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che prova a fare un bilancio dei dieci anni di attività del Centro. «Ma in qualche modo è temuta o detestata. Come togliere quel fastidio che si sente di fronte a una parola astratta e difficile anche da pronunciare? Da una parte, è ovvio che il sistema universitario deve aprirsi e adattarsi a un mondo in cui le distanze si accorciano e in cui le persone hanno alle spalle background sempre più diversi. Dall’altra, il problema vero è che l’internazionalizzazione ci chiede di cambiare. Capire come quel cambiamento non toglie la mia identità ma può essere valore aggiunto per il docente, nella ricerca, nel modo di fare didattica e di preparare gli studenti per il loro futuro umano e lavorativo, ma anche per gli amministrativi che devono creare un luogo solido, accogliente e stimolante. E, infine, per lo studente, pieno di speranze e curiosità: ecco tutto questo è una sfida non da poco».

Eppure, a livello mondiale assistiamo a un’inversione di tendenza più incline alla chiusura e all’innalzamento di barriere. La Brexit ne è un esempio. «In questi anni alla costante e crescente globalizzazione, che ha ispirato la nascita del CHEI, è subentrata una introversione nazionale dettata anche dal clima di insicurezza internazionale dove sembra più sicuro affermare politiche domestiche. Il nostro Centro invece sostiene quanto l’apertura internazionale dell’offerta formativa sia necessariamente parte integrante del sistema universitario: i flussi migratori degli studenti sono destinati a crescere, il mercato del lavoro meramente nazionale è sempre più piccolo, pertanto, l’università deve capire come non perdere la propria identità aprendosi all’accoglienza quotidiana di studenti internazionali e preparandoli a un mondo variegato, plurilingue e multiculturale. Un sistema formativo che non comprende una visione del genere non è adeguato al mondo attuale. E se nel Medioevo, quando le università sono nate uno dei loro tratti distintivi era l’apertura universale, ora si tratta di recuperarla mentre innoviamo la nostra visione e i nostri metodi di didattica e di ricerca».

Come se non bastasse il Covid ha ulteriormente complicato la situazione. «La pandemia ha messo a nudo le debolezze di un sistema formativo che non è flessibile. In Italia, soprattutto, siamo strangolati dalle regole, dalle rigidità disciplinari, dai sistemi di valutazione antiquati. Abbiamo dovuto aggiornare metodi di didattica, grazie alla tecnologia che può aprire la formazione al mondo, senza il bisogno di prendere l’aereo. Indubbiamente la pandemia ci ha già cambiati come visione: dobbiamo capire come adattarci a un mondo ibrido in cui la formazione dovrà sempre più includere una parte asincrona e a distanza. Come rompere quel senso di lontananza o di statico, di non avvenimento, che rende il processo della formazione noiosa? Come ingaggiare l’altro in un processo di apprendimento collaborativo nonostante lo schermo che ci separa? In giro per il mondo ci sono esempi virtuosi. Si tratta di sperimentare e farli nostri, in un clima di collaborazione. Ho l’impressione che siamo ancora agli inizi di questo processo di cambiamento».

Intanto, però, il CHEI dal 2011 a oggi è cresciuto in termini di rapporti e collaborazioni internazionali. «Sin dalla sua istituzione è inserito in una grande rete internazionale di expertise ad alto livello. I membri dell’Academic Board provengono dagli Stati Uniti, dall’Australia e da diversi paesi europei e sono stati scelti tra chi è considerato leader in diversi temi importanti nell’internazionalizzazione, tra cui la “comprehensive internationalisation”, la “internationalisation at home”, la “internationalisation of the curriculum”. Inoltre, di recente c’è stato un diversificarsi dei rapporti internazionali dovuto alla mobilità dei membri del Board. Per fare qualche esempio, Francisco Marmolejo è andato prima in India e poi in Qatar, Betty Leask, si è spostata dall’Università di Latrobe a Melbourne al Boston College negli Stati Uniti: tutti spostamenti che hanno influito positivamente sulla vita del Centro».

Anche la formazione è centrale… «Nel corso degli anni c’è stato un ampliamento e una maggiore articolazione dell’offerta formativa rappresentata dal programma dottorale CHEI, realizzato insieme alle scuole dottorali di Scienze della Formazione, di cui è responsabile la professoressa Antonella Marchetti, e di Scienze Linguistiche e letterature straniere, con referente la professoressa Anna Bonola succeduta al professor Dante Liano. Sviluppato soprattutto insieme a Fiona Hunter, Associate Director del CHEI, il programma attira studenti quasi esclusivamente internazionali di tutte le parti del mondo, dall’Israele all’Indonesia, dall’Olanda alla Spagna, con una rappresentanza sempre costante di americani e australiani. Sempre in ambito formativo si sono consolidate le collaborazioni con altre strutture dell’Ateneo che hanno portato sia all’organizzazione di seminari di formazione con il Centro Studi e Ricerche sulle Politiche della Formazione (CeRiForm), diretto dalla professoressa Renata Viganò, sia a interventi a convegni nazionali realizzati dalla Società italiana di pedagogia (SIPED) grazie alla già presidente Simonetta Polenghi, docente in Cattolica e membro dell’Academic Board. Attualmente con il Centro di Ateneo per la solidarietà internazionale (CeSI), diretto dal professor Marco Caselli, stiamo lavorando a un progetto sull’accoglienza di studenti internazionali nell’Ateneo».

Quali sono allora gli obiettivi prioritari per il futuro? «Il CHEI vorrebbe continuare a essere un interlocutore che apre dibattiti nei processi di formazione, di gestione e di ricerca nel tentativo di trovare e creare quel bene comune che è al cuore dell’educazione e che serve alla società: interessa tutti, provenienti da tutte le culture, sia come università sia come esseri umani».                      



“Celebrating 10 years of CHEI”, dedicato ai global trends e alle future sfide del fenomeno dell’internazionalizzazione, si apre giovedì 16 settembre, alle ore 11.00, con “The CHEI story”, una conversazione a più voci con gli interventi dei fondatori e dell’attuale CHEI Academic board per ripercorrere la storia del Centro, a partire dalle origini della sua istituzione agli obiettivi finora raggiunti. Ne discuteranno: John Hudzik, Michigan State University e chair del CHEI Academic Board, Hans de Wit, emerito Boston College e già direttore CHEI, Fiona Hunter, Associate Director del CHEI, e Christopher Ziguras, futuro chair del CHEI Academic Board.

Nella sessione pomeridiana, alle ore 15.00, durante l’incontro “Implications of a changing world for CHEI” esponenti del CHEI Academic Board, insieme a studenti ed ex allievi esploreranno l’agenda strategica futura per l'internazionalizzazione dell’istruzione superiore.

Spazio alle esperienze degli studenti. Venerdì 17 settembre, alle ore 11.00, nell’ambito dell’evento “The CHEI experience” occhi puntati sulle opportunità offerte dal CHEI: allievi e alumni porteranno le loro testimonianze tra motivazioni e aspettative. Alle ore 15.00, invece, sarà la volta di “Impact of the CHEI experience on personal and professional lives”, dove l’attenzione si concentrerà sull’importanza di intraprendere un dottorato di ricerca presso CHEI e di come questo possa influire sul percorso professionale.

Un articolo di

Katia Biondi

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