NEWS | Open Week

Italia e Pnrr un'occasione da non sprecare

18 giugno 2021

Italia e Pnrr un'occasione da non sprecare

Condividi su:

La fotografia dell’Italia del 2021 è quella di un Paese dalle criticità diffuse e reduce dalla pandemia, ma allo stesso tempo con una grande opportunità per disegnare un futuro diverso. Se ne è discusso nell’incontro “Innovazione, sostenibilità e PNRR. Nuove competenze per la ripresa”, tenutosi nel grande contenitore dell’Open Week Master & Postlaurea dell’Università Cattolica.

Il tema ha assunto tre declinazioni: la piccola e media impresa, il Terzo settore e la Pubblica Amministrazione. Prima, però, da Alessia Coeli, moderatrice dell’evento e responsabile area Formazione presso Altis Università Cattolica, è stato tracciato il quadro attuale di un Italia i cui numeri impongono una riflessione.

Nel 2020 il Pil è diminuito dell’8,9% rispetto al 6,2% dell’Unione, naturalmente per la pandemia, che però si è inserita in un tessuto già fragile. «Dal 1999 al 2019 - dice Coeli - il Pil è cresciuto del 7,9% rispetto al 30%, 32% e 43,6% rispettivamente di Germania, Francia e Spagna». In seguito l’Italia ha dovuto per prima fronteggiare il virus che ha portato, ad oggi, 127mila decessi e un lockdown generalizzato di cui ha fatto esperienza in anticipo sugli altri Paesi.

Le persone sotto la soglia di povertà sono in crescita da anni: erano il 3,3% nel 2005, il 7,7% nel 2019 e il 9,4% nel 2020. In aggiunta sono in crescita i giovani che non lavorano né sono inseriti in un programma di formazione e anche l’occupazione femminile segna il passo rispetto al resto dell’Unione. Il digital divide patito dal Paese non aiuta.

In questo scenario, aggravato dal ritardo della politica nel dare vita alle riforme, arriva l’opportunità del Next Generation Eu. «È il più grande piano definito dall’Unione Europea - dice Coeli - che rappresenta un cambiamento epocale, 750 miliardi di euro stanziati per rilanciare la crescita, gli investimenti e in generale la ripartenza che deve seguire la pandemia di Covid-19. All’Italia arriveranno 191 miliardi di euro».

Risorse che fanno parte del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza), ma quali ricadute possono avere sul sistema Italia? Fabio Antoldi, direttore scientifico dell’Executive Master in Sviluppo Strategico delle Pmi, è intervenuto sul tema precisando che «per comprendere l’importanza del piano occorre essere consapevoli del punto da cui si parte».

«L’Italia non cresce da 20 anni - dice Antoldi - il Global Competitive Index ci pone in 31esima posizione già nel 2018, stessa posizione che occupiamo riguardo all’innovazione, dietro a Cipro e alla Slovenia. Anche riguardo al grado di digitalizzazione siamo tra gli ultimi in Europa».

Indici che mostrano la sofferenza del sistema produttivo italiano. Il quale, precisa Antoldi, «è composto nel privato da 4milioni e 300mila imprese, il 95,1% delle quali ha meno di 10 addetti, mentre il 98,2% non raggiunge i 20 dipendenti. Un capitalismo pulviscolare ha una serie di limiti, fra cui incapacità di investire in strumenti per renderci competitivi».

I motivi risiedono, secondo alcuni studi, nell’incapacità di adeguarsi alla digitalizzazione e in un familismo che premia il legame parentale più della competenza.

Ecco allora che il PNRR, piano orientato al futuro, può agire su questi fattori, spiega Antoldi, prima di lasciare la parola a Luca Pesenti, associato di Sociologia generale dell’Università Cattolica e vicedirettore dell’Executive Master in Social Entrepreneurship. Pesenti ha sterzato sul Terzo settore.

«Un ambito che ha delle fragilità - dice - ad esempio nella gestione del personale, spesso volontario e anziano. Anche in questo campo occorre innovare». «Nel PNRR ci sono delle opportunità - afferma Pesenti - viene richiamato il grande tema della sperimentazione e della coprogettazione. Di sicuro, però, in futuro servirà una logica sempre più manageriale senza dimenticare il proprio orizzonte di senso».

La chiusura dell’incontro ha invece la voce di Elena Zuffada, direttrice scientifica dei Master in Management e Innovazione delle Pubbliche Amministrazioni. «Nella PA ci sono fattori determinati - spiega - uno di questi è la tecnologia, nella quale i servizi pubblici sono migliori rispetto al resto del Paese, ma la velocità con cui rispondiamo alle nuove esigenze è comunque inadeguata».

Quindi Zuffada parla di un ricambio generazionale necessario, anche perché i dipendenti della Pubblica Amministrazione hanno un’età media superiore ai 50 anni. «C’è difficoltà nell’attrarre i talenti - dice - anche le università possono giocare un ruolo importante facendo capire l’importanza del settore».

Un articolo di

Filippo Lezoli

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti