Se sulle carte geografiche Madrid è al centro della Spagna, per i madrileni la loro bella città è al centro del mondo ispanico. Villa e corte per secoli, la capitale ha una maestosità antica e ricca di storia, che solo Città del Messico o la riposata Lima possono vantare. Per questo motivo, nascere a Madrid implica un carattere forte, una presunzione gentile e garbata, un cosmopolitismo tradizionale e abitudinario, un carattere misuratamente focoso, un temperamento internazionale e casalingo, calorosamente distante. La tradizione comunale castigliana usa "tú" piuttosto che "usted" e riserva "vos" solo al re. È in questo contesto che Javier Marías nasce in una famiglia letteraria e benestante, sfiorata dalle conseguenze della guerra civile. Non è trascurabile che suo padre fosse Julián Marías, discepolo diretto di José Ortega y Gasset. A causa di divergenze con il regime di Franco, il padre filosofo lasciò la Spagna per stabilirsi negli Stati Uniti. Questa dolorosa circostanza ha permesso a Javier di ricevere un'educazione anglofona che lo ha segnato definitivamente.
Tornato a Madrid, si laurea all'Università Complutense con una tesi in Filologia inglese. Successivamente si trasferisce a Oxford come docente di letteratura spagnola e, in seguito, a Wellesley, nel Massachusetts, con lo stesso ruolo. I suoi viaggi nei Paesi di lingua inglese gli hanno permesso di acquisire non solo la padronanza della lingua, ma anche la passione per la letteratura e cultura. Marías è stato quindi un prestigioso traduttore di Thomas Hardy, Conrad, Sterne, Yeats e Stevenson. La sua tradizione letteraria di riferimento era innanzitutto quella anglosassone, e non a caso le sue opere abbondano di citazioni di autori di quella cultura.
A questo proposito sarebbe opportuno considerare che gli scrittori spagnoli hanno quasi sempre una forte tradizione con cui fare i conti: l’implacabile Siglo de Oro. Quevedo, Lope, Cervantes, Góngora vigilano dietro le spalle dei loro eredi. C'è un tono, un ritmo, un'atmosfera classica in tutta la Spagna: i suoi paesaggi e le sue città vivono nella letteratura e il lettore non può che evocare le frasi che hanno scolpito la sua idea di città: "Sevilla es una torre/ llena de arqueros finos" (García Lorca). Fino agli anni Settanta, anche gli straordinari membri della Generazione degli anni Cinquanta, con il loro rigoroso realismo, portavano con sé questo riferimento. Un rintocco di campana, Tiempo de silencio, di Luis Martín Santos, fu ascoltato dopo la morte di Franco. Gli autori spagnoli, guidati da Ignacio Aldecoa, iniziarono a trovare modelli in tutta la letteratura europea e nordamericana. Hanno lavorato con nuove forme espressive che andavano dal pastiche postmoderno all'invenzione di regioni apocrife, dalla mescolanza di tecniche letterarie al romanzo poliziesco, dalla liberazione del provincialismo alla ricerca di lettori europei, in particolare tedeschi. Così, autori come Eduardo Mendoza, Rosa Montero, Manuel Vázquez Montalbán, Almudena Grandes, Antonio Muñoz Molina, Alicia Giménez Bartlett e altri sono balzati sulla scena internazionale.
Tra questi, e non all'ultimo posto, c'è Javier Marías. Agli esordi, con Los dominios del lobo, era ancora considerato un giovane scrittore promettente, con le riserve che questa categoria contiene. Più consistente è stata la fama ottenuta con Todas las almas, che ha vinto il Premio Herralde nel 1980. In generale, questo premio è stato considerato una sorta di riconoscimento per il lancio internazionale di uno scrittore. Due romanzi lo hanno reso uno degli autori preferiti dal pubblico europeo: Corazón tan blanco e Mañana en la batalla piensa en mí. Da quel momento in poi, la sua carriera di scrittore di culto è andata avanti a gonfie vele. Contemporaneamente, pubblicava saggi e, soprattutto, era noto per la sua rubrica settimanale su El País della domenica, con articoli irriverenti, sarcastici e taglienti, in cui esercitava una critica feroce e ironica della società contemporanea.
Nei suoi romanzi, si può dire che Marías abbia compiuto un'audace operazione letteraria: un ritorno alle origini del genere. È noto che il romanzo moderno è nato in Spagna, con Don Chisciotte, e che una delle caratteristiche del romanzo tradizionale era quella di prendere l'aneddoto come pretesto per collegarsi a riflessioni talvolta moralistiche, talvolta filosofiche. Per questo, opere come Guzmán de Alfarache combinano avventure di buon gusto con pesanti considerazioni filosofico-morali. La rivoluzione moderna è portata avanti da Lazarillo, il cui gusto per l'aneddoto fa scomparire l'aspetto moraleggiante. Le Novelas ejemplares di Cervantes sono "esemplari" perché seguono l'esempio di Lazarillo e, naturalmente, dei romanzi italiani. Javier Marías, invece, a metà del XX secolo, torna alla commistione tra aneddoto e saggio. Le sue opere sono piene di numerose riflessioni e la sua arte consiste nel fatto che queste riflessioni non sono mai pesanti per il lettore. Anzi, raggiunge un equilibrio così perfetto che la lettura è coinvolgente e molto difficile da abbandonare.
Durante un'intervista, un giornalista gli dice che ha la reputazione di essere "scorbutico". Marías è un po' disarmato dall'osservazione, e si potrebbe venire in suo aiuto facendo notare che c'è un malinteso. Ciò che distingue Marías da alcuni scrittori, soprattutto in epoca contemporanea, è la sua intransigenza etica. L'intransigenza inizia con il lettore: Marías non sacrifica la trama o la prosa per rispondere alle richieste del mercato. Gli editori spesso suggeriscono temi, modi di scrivere, strategie per soddisfare i desideri dei lettori. Marías, invece, seleziona i suoi lettori, ne richiede l'attenzione e la dedizione: i suoi paragrafi sono lunghi, pieni di subordinate, in una limpida consecuzione logica che richiede di non perdere il filo del ragionamento. Tutto può essere attribuito a Marías, tranne la facilità. Si distingue per una solida irriverenza verso i vizi, la corruzione e gli affari del potere politico ed economico. Non ha mai accettato denaro dallo Stato e quindi ha rifiutato conferenze, viaggi, premi (l'ambito Cervantes) e vantaggi. Accettò di diventare membro dell'Accademia Reale della Lingua Spagnola solo dopo aver rifiutato un primo invito. È molto difficile per un artista, la cui attività riceve talvolta la sola ricompensa del prestigio, non accettare i tributi ufficiali. Tale intransigenza era figlia di un'etica rigorosa, basata sui principi della modernità liberale: uguaglianza, democrazia, libertà. Come si vede, tutto molto lontano dall'arte della politica. E molto vicino a ciò che uno scrittore dovrebbe essere: un rappresentante inamovibile della coscienza della società.
Una questione non secondaria e derivata dalla precedente è la concezione della letteratura come gesto artistico. Si dice che, nel Rinascimento, tutti i grandi artisti che conosciamo siano stati prima apprendisti nelle botteghe di rinomati maestri. Lì impararono, con umiltà, gli elementi fondamentali delle arti plastiche: per un lungo periodo furono artigiani e solo quando acquisirono la padronanza degli elementi fondamentali del loro mestiere, vennero considerati artisti. Marías era un artista in questo senso: prima la padronanza dell'artigianato letterario: originalità nei sostantivi e negli aggettivi, proprietà e padronanza della lingua, intelligenza vigile e lucida al servizio della scrittura; solo dopo, la libertà di cercare, nella sperimentazione e nell'indagine artistica, la piena espressione letteraria. Vale a dire, andare oltre la mera comunicazione o il puro interesse della trama per approfondire, nei personaggi, quelle sfumature e ambiguità tipiche dell'essere umano. I suoi personaggi sono prismatici, pieni di aspetti contraddittori e angosciosi, più domande che risposte. Lo stesso accade con il linguaggio: Marías sonda i meandri della lingua, per scoprire cosa si nasconde nelle parole che consideriamo banali e ripetute, a cui siamo abituati. Così facendo, cerca di svelare la realtà, di rendere la lettura un'esperienza di vita, con lampi di genio che illuminano la coscienza e mettono a nudo la società e le sue menzogne.