«L’affido è più di una soluzione temporanea: è un’opportunità per offrire un futuro migliore e, al contempo, per trasformare chi accoglie. Cambia la vita di un minore e arricchisce quella degli adulti». A volte basta la frase di una slide per creare la sintesi perfetta di una realtà. Ed è stato così venerdì 22 novembre in un’aula gremita da famiglie e operatori dell’Associazione Cometa di Como, ascoltando gli esiti della ricerca “Famiglie nella comunità: il modello di affido a Cometa”, realizzata da sociologi e psicologi del Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica.
Una maggiore autonomia dei ragazzi e la formazione di un’identità adulta consapevole e resiliente, un aumento o un mantenimento dell’affetto nel tempo dei genitori con i figli in affido, relazioni sociali più estese dei minori affidatari, sono le principali evidenze emerse dall’ampio lavoro di ricerca interdisciplinare sfociato nella pubblicazione cartacea Accogliere per educare: il modello di affido a Cometa, edita da EDUCatt e scaricabile anche gratuitamente online.
La fotografia descritta brevemente dal direttore del Centro di Ateneo Camillo Regalia, che ha introdotto l’incontro a due giorni dalla Giornata Internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza, dice di una realtà nata da due famiglie che nel 1986 hanno preso un bambino in affido e che oggi ha all’attivo oltre 400 minori e circa 80 famiglie seguite da vicino, tre scuole e diverse proposte educative. Un caso unico di community care basato su un sistema di supporto integrato nel quale le famiglie affidatarie giocano un ruolo attivo e consapevole nell’educazione dei minori in relazione con l’associazione, altre famiglie e un’équipe multidisciplinare di professionisti.
Alcune parole chiave sono emerse in ciascuno degli interventi: famiglia, cura, fiducia, legame, generatività, condivisione. Sì, perché l’affido è un ponte che unisce il minore alla famiglia di origine, a quella affidataria, agli insegnanti, agli educatori, agli amici.
«Da incontro a incontro, negli anni molte famiglie si sono rivolte a noi con il desiderio di aprirsi fino alla scelta di accogliere minori. Anche se stiamo attraversando una fragilità, la famiglia sarà il futuro del prossimo millennio per costruire un mondo dove buttare il proprio cuore oltre la cima» – ha affermato Mariagrazia Figini dell’Associazione Cometa –. Una sfida e una scommessa per garantire ai minori un futuro desiderabile, in particolare per quei bambini che hanno alle spalle un passato traumatico.
«Intervistando i care leavers, adulti che in passato sono stati minori in affido, è emerso che Cometa offre una protezione a quei ragazzi che hanno maggiori probabilità di avere esiti negativi in età adulta in termini di istruzione, occupazione e reddito» – ha specificato la professoressa Donatella Bramanti illustrando la prima parte della ricerca –. Una «coperta generosa» riconosciuta dagli stessi ragazzi come si legge in alcune testimonianze che partono da grandi difficoltà («Quando sono nato… avevo tre anni… mia mamma e mio papà non mi hanno più voluto in casa loro») e arrivano alla fiducia, cifra indiscutibile di questo percorso («Io voglio avere una vita bella, poi dove sono adesso mi vogliono bene e mi aiutano a crescere»).
11 giovani adulti tra i 23 e i 36 anni hanno accettato di partecipare all’intervista e hanno raccontato la loro storia di affido dagli 8 anni in poi fino a diventare adulti con una vita affettiva e lavorativa stabile. «Questi ragazzi hanno mostrato una resilienza individuale per superare i problemi con la consapevolezza che il punto critico era rappresentato dal fatto che «il problema ero io, ero io che remavo contro me stesso» – ha concluso Bramanti.
Un elemento chiave del successo educativo del modello Cometa è dato dal miglioramento delle relazioni tra i minori e le famiglie affidatarie espresso nei “diari digitali” compilati dalle famiglie affidatarie: il 91,8% dei genitori riporta un aumento o un mantenimento dell’affetto reciproco nel tempo con i figli in affido. Anche le relazioni sociali più estese rappresentano un importante indicatore di un approccio educativo orientato a sviluppare la socializzazione e l’integrazione dei giovani: il 73,4% delle famiglie segnala un incremento del numero di amici dei minori in affido, e il 72,4% dei figli in affido partecipa a gruppi rivolti a minori come attività sportive, di dopo scuola, associative o comunitarie.
Questa parte dello studio è stata illustrata dalla ricercatrice Sara Nanetti che ha evidenziato come «il diario digitale in quanto strumento narrativo con cui esprimere difficoltà e successi sia stato utile per approfondire diversi aspetti. Innanzitutto, la relazione con i genitori affidatari è descritta con la parola “affetto” descritto come «un abbraccio che protegge». Poi il rapporto con i pari, se all’inizio è spesso caratterizzato da chiusura e ritiro in solitudine, diventa a volte iper-reattività disfunzionale. Ma in generale, a piccoli passi, molti di questi ragazzi sono poi riusciti a costruire amicizie e legami profondi». Anche rispetto alla relazione con gli insegnanti si notano ambivalenze nei comportamenti dei minori. Si evince che «gli indicatori di successo sono il dialogo diretto tra insegnanti e genitori».
Infine, si è arrivati a parlare del rapporto con la famiglia d’origine. Ondina Greco, che ha utilizzato lo strumento grafico simbolico delle “doppie lune” per far emergere la rappresentazione soggettiva dei confini e delle appartenenze familiari, ha spiegato che «l’affido è costantemente dentro una contraddizione – ha detto la docente – perché la famiglia affidataria ha il compito di accogliere il figlio di altri come se fosse il proprio e la famiglia naturale è chiamata ad accettare che altri si prendano cura del proprio. L’unica possibilità è comprendere che l’affido è uno scenario meta-familiare che comprende due famiglie la cui connessione è vitale per lo sviluppo sano del bambino, mediato dai mediatori sociali e giuridici. Solo il 21,7% dei minori è riuscito a sviluppare un senso di appartenenza rivolto a entrambe le famiglie. Tuttavia, nonostante la situazione di apparente criticità, i giovani adulti ex affido di Cometa sembrano stare molto meglio.
Risultati ottimi e incoraggianti, confermati dalla percezione che esperti e genitori hanno dell’Associazione Cometa, come ha evidenziato l'assegnista di ricerca Giulia Lopez, quale luogo di sostegno integrato alle famiglie, ambiente educativo inclusivo, esempio di collaborazione e coordinamento tra i servizi, aiuto allo sviluppo personale e professionale dei giovani, promotore di accoglienza, di continuità nell’affido e senso di appartenenza. Almeno una criticità nel quadro praticamente perfetto? La richiesta di ampliare la recettività.
C’è un film d’animazione che calza a pennello nel racconto dell’affido e la professoressa Greco ne ha scelto una frase emblematica: «Ti chiedo di farmi tre promesse. Promettimi che non ti mangerai l'uovo…Promettimi che ne avrai cura finché non sarà nato il piccolo… e promettimi che gli insegnerai a volare» – disse la Gabbianella, prima di morire, al gatto Zorba.