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L’Europa, tra Corte di giustizia e identità nazionali

24 marzo 2023

L’Europa, tra Corte di giustizia e identità nazionali

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L’Unione europea è nata come un «progetto di cooperazione, fiducia reciproca, rispetto di leggi comuni». E soprattutto, come la Comunità economica europea e prima ancora quella del carbone e dell’acciaio, è nata «per pacificare un territorio che aveva vissuto per secoli guerre intestine». Un leitmotiv, quello della pace e della democrazia, che ha guidato tutte le adesioni alla Ue, come fa notare Lucia Serena Rossi, prima donna italiana a ricoprire dal 2018 il ruolo di giudice della Corte di giustizia dell’Unione europea. Basti pensare alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia, agli Stati della ex cortina di ferro che vi hanno aderito per girare pagina, anche se non tutti l’hanno realmente fatto. Per questo «siamo fiduciosi che il processo di integrazione alla fine riesca, in un futuro non troppo lontano, a riportare alcuni Paesi, con l’aiuto del diritto e della Corte di giustizia dell’Unione europea, lungo il binario della democrazia dei valori». Perché «l’Europa si è sempre misurata con crisi» e anche in questo momento, che la vede dopo settant’anni alle prese con una guerra, «sta trovando una sua unità».

È un’iniezione di fiducia nei confronti dell’Unione e dei suoi valori quella che arriva dalla lectio cathedrae magistralis della facoltà di Scienze politiche e sociali pronunciata venerdì 17 marzo dalla prima italiana giudice della Corte di giustizia dell’Unione europea nonché docente di Diritto dell’Unione europea all’Università di Bologna, dove per tanti anni ha presieduto la cattedra Jean Monnet. «Questa lectio continua una tradizione europeista e di attenzione al processo di costruzione europea che caratterizza l’identità della facoltà di Scienze politiche e sociali, e più in generale dell’Ateneo stesso», ha detto il preside Guido Stefano Merzoni, introducendo l’iniziativa con Andrea Santini, docente di Diritto dell’Unione europea in Cattolica. Un percorso di integrazione che si è sempre caratterizzato per l’alternanza tra fasi positive e di sviluppo accelerato e fasi critiche, a rischio di stasi. Tuttavia, ha continuato il preside Merzoni, «il consolidamento dell’identità istituzionale dell’Unione europea è una condizione ineludibile affinché l’Europa possa svolgere un ruolo significativo su scala globale sia per la tutela degli interessi strategici dei paesi europei sia per il contributo che i valori della tradizione europea possono dare al bene comune della comunità internazionale e allo sviluppo della pace».

Da questo punto di vista, ha ribadito Andrea Santini, la Corte di giustizia dell’Unione europea sta giocando un ruolo di non poco conto nel processo di costruzione europea attraverso le numerose sentenze sul rispetto dello stato di diritto sia a fronte di ricorsi per infrazione promossi dalla Commissione, sia a fronte di rinvii pregiudiziali, oltre che con le note “sentenze gemelle” del 16 febbraio 2022, in cui la Corte ha respinto i ricorsi presentati dall’Ungheria e dalla Polonia contro il regolamento sulla condizionalità legata al rispetto dello stato di diritto nell’accesso ai fondi europei.

L’identità europea è, difatti, il risultato di un «percorso a stratificazione» che, nel tempo, ha risentito dei periodi storici, dell’allargamento geografico, delle crisi. Una sorta di «arricchimento progressivo» cominciato con l’ingresso dei diritti fondamentali, affermati dalla Corte di giustizia negli anni Settanta, che via via si sono sviluppati nei Trattati fino ad arrivare oggi alla Carta dei diritti e all’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea che dà valore di diritto primario alla Carta stessa. In particolare, ha dichiarato la giudice Rossi, «con il Trattato di Lisbona si riprendono alcune formule introdotte dal Trattato di Amsterdam». Si tratta dell’articolo F che «metteva assieme il rispetto da parte dell’Unione dei principi di libertà e il riconoscimento che essa stessa si fonda sui principi di libertà, di democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri».


 

 

 

Ora, il Trattato di Lisbona ha approfondito tutti questi valori, dedicandovi norme separate: ai diritti dell’individuo con l’articolo 6, ai rapporti tra stati membri e Ue con l’articolo 4, ai valori dell’Unione con l’articolo 2. Quest’ultimo definito anche «norma fondamentale dell’Unione europea» in quanto accanto ai valori di cui si parlava nell’articolo F del Trattato di Amsterdam - rispetto della dignità umana, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto - se ne aggiungono altri più moderni, come quelli del pluralismo, della tolleranza, della parità dei generi. Del resto, è la stessa Corte di giustizia dell’Unione europea con le “sentenze gemelle” a indicare nei valori espressi dall’articolo 2 il «nocciolo» dell’identità dell’Unione, «condizione stessa della membership di uno Stato» che decide di aderirvi e vuole godere dei benefici di questa appartenenza.

Nonostante tutto c’è chi invoca l’identità nazionale, in nome di quell’articolo 4.2 che ne menziona il rispetto da parte dell’Unione. A tal proposito, ha avvertito la giudice Rossi, «riceviamo sempre più spesso rinvii pregiudiziali dalle corti costituzionali degli Stati membri, su cui la Corte di giustizia dell’Unione europea si è pronunciata diverse volte». Un esempio recente è offerto dalla Romania e da tre sentenze emesse nei suoi confronti, tra cui quella RS, molto interessante per tutti gli Stati poiché dice chiaramente che la corte costituzionale di un Paese, pur invocando la propria identità nazionale, non può dire che una norma dell’Unione vada disapplicata ma deve «dialogare con la Corte di giustizia». Insomma, non si tratta di svuotare la clausola sull’identità nazionale che va invece interpretata e letta alla luce di tutto l’articolo 4. Infatti il secondo comma non parla solo di identità nazionale degli stati membri ma anche del fatto che l’Unione rispetti l’uguaglianza davanti ai trattati, ovvero la legge è uguale per tutti e gli stati membri sono soggetti allo stesso modo alle regole dell’Unione.

La Corte di giustizia dell’Unione europea, dunque, prende sempre sul serio i rinvii pregiudiziali, non dice mai no a priori, anche a fronte di situazioni delicate in cui la clausola identitaria tocca questioni sensibili. Un modus operandi che, secondo la giudice Rossi, avviene comunque sempre in nome di un «bilanciamento basato sulla proporzionalità». In concreto, «spetta al giudice nazionale verificare, sulla base dei criteri indicati dalla Corte di giustizia, se la normativa di quello Stato rispetti o meno il principio di proporzionalità». E questo sempre in virtù di quei valori fondamentali scritti nero su bianco nell’articolo 2.

Esiste allora un’identità europea? Secondo la giudice Rossi è ancora una «tappa in fieri» e sicuramente non di natura solo «giuridica». Lo ha dimostrato bene la pandemia che ha portato nell’Unione l’affermazione di un forte principio di solidarietà sul fronte medico-sanitario ed economico-finanziario. Pertanto, nel processo europeo - che forse non è sbagliato paragonare a quello di fusione fredda - qualcosa si sta muovendo. Certo, lungo il tragitto, attraversato da spinte centrifughe, l’Unione ha perso il Regno Unito. Ma questo non vuol dire che l’Europa sia in crisi. Piuttosto chiediamoci qual è l’alternativa: «Esiste nel mondo un’area dove si viva meglio che nell’Unione europea?». 

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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