L’Unione europea è nata come un «progetto di cooperazione, fiducia reciproca, rispetto di leggi comuni». E soprattutto, come la Comunità economica europea e prima ancora quella del carbone e dell’acciaio, è nata «per pacificare un territorio che aveva vissuto per secoli guerre intestine». Un leitmotiv, quello della pace e della democrazia, che ha guidato tutte le adesioni alla Ue, come fa notare Lucia Serena Rossi, prima donna italiana a ricoprire dal 2018 il ruolo di giudice della Corte di giustizia dell’Unione europea. Basti pensare alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia, agli Stati della ex cortina di ferro che vi hanno aderito per girare pagina, anche se non tutti l’hanno realmente fatto. Per questo «siamo fiduciosi che il processo di integrazione alla fine riesca, in un futuro non troppo lontano, a riportare alcuni Paesi, con l’aiuto del diritto e della Corte di giustizia dell’Unione europea, lungo il binario della democrazia dei valori». Perché «l’Europa si è sempre misurata con crisi» e anche in questo momento, che la vede dopo settant’anni alle prese con una guerra, «sta trovando una sua unità».
È un’iniezione di fiducia nei confronti dell’Unione e dei suoi valori quella che arriva dalla lectio cathedrae magistralis della facoltà di Scienze politiche e sociali pronunciata venerdì 17 marzo dalla prima italiana giudice della Corte di giustizia dell’Unione europea nonché docente di Diritto dell’Unione europea all’Università di Bologna, dove per tanti anni ha presieduto la cattedra Jean Monnet. «Questa lectio continua una tradizione europeista e di attenzione al processo di costruzione europea che caratterizza l’identità della facoltà di Scienze politiche e sociali, e più in generale dell’Ateneo stesso», ha detto il preside Guido Stefano Merzoni, introducendo l’iniziativa con Andrea Santini, docente di Diritto dell’Unione europea in Cattolica. Un percorso di integrazione che si è sempre caratterizzato per l’alternanza tra fasi positive e di sviluppo accelerato e fasi critiche, a rischio di stasi. Tuttavia, ha continuato il preside Merzoni, «il consolidamento dell’identità istituzionale dell’Unione europea è una condizione ineludibile affinché l’Europa possa svolgere un ruolo significativo su scala globale sia per la tutela degli interessi strategici dei paesi europei sia per il contributo che i valori della tradizione europea possono dare al bene comune della comunità internazionale e allo sviluppo della pace».
Da questo punto di vista, ha ribadito Andrea Santini, la Corte di giustizia dell’Unione europea sta giocando un ruolo di non poco conto nel processo di costruzione europea attraverso le numerose sentenze sul rispetto dello stato di diritto sia a fronte di ricorsi per infrazione promossi dalla Commissione, sia a fronte di rinvii pregiudiziali, oltre che con le note “sentenze gemelle” del 16 febbraio 2022, in cui la Corte ha respinto i ricorsi presentati dall’Ungheria e dalla Polonia contro il regolamento sulla condizionalità legata al rispetto dello stato di diritto nell’accesso ai fondi europei.
L’identità europea è, difatti, il risultato di un «percorso a stratificazione» che, nel tempo, ha risentito dei periodi storici, dell’allargamento geografico, delle crisi. Una sorta di «arricchimento progressivo» cominciato con l’ingresso dei diritti fondamentali, affermati dalla Corte di giustizia negli anni Settanta, che via via si sono sviluppati nei Trattati fino ad arrivare oggi alla Carta dei diritti e all’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea che dà valore di diritto primario alla Carta stessa. In particolare, ha dichiarato la giudice Rossi, «con il Trattato di Lisbona si riprendono alcune formule introdotte dal Trattato di Amsterdam». Si tratta dell’articolo F che «metteva assieme il rispetto da parte dell’Unione dei principi di libertà e il riconoscimento che essa stessa si fonda sui principi di libertà, di democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri».