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L’identikit del buon imprenditore in un manuale di sei secoli fa

10 febbraio 2023

L’identikit del buon imprenditore in un manuale di sei secoli fa

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Capacità operative, correttezza nell’agire, passione per l’impresa, attenzione al benessere dei dipendenti. Sono i principi che dovrebbero contraddistinguere l’imprenditore del nostro tempo chiamato a rispondere alle sfide di un mondo complesso. Precetti che già nel 1458 Benedetto Cotrugli aveva indicato nel suo trattato dell’arte della mercatura, descrivendo il buon mercante “un uomo di azione ma anche di studio” e di norma dotato di “intelletto perspicace, sangue vivo e animo coraggioso”. È l’aver anticipato sei secoli prima alcuni principi che sono alla base della responsabilità sociale d’impresa a rendere particolarmente attuale il mercante rinascimentale, nato a Ragusa di Dalmazia (oggi Dubrovnik) e formatosi in legge e filosofia all’Università di Bologna. Un pioniere, dunque.

L’originalità della sua opera - a lungo dimenticata forse perché poco in linea con il comune sentire dell’epoca – è stata riproposta mercoledì 8 febbraio durante la presentazione della nuova edizione de “Il libro dell’arte di mercatura” di Benedetto Cotrugli, pubblicato da Guerini Next, a cura di Vera Ribaudo e contenente sia il testo originale in volgare sia la versione in italiano contemporaneo.

A rendere particolarmente attuale un testo del passato che possiamo definire un classico perché «suscita interrogativi utili a comprendere e interpretare il presente» è la «convergenza tra etica e utilitarismo», ha detto il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli, introducendo i lavori del dibattito. Allora come oggi quello che conta nel fare imprese è «una capacità operativa sorretta dalla consapevolezza della dimensione etica dell’agire».

Quattro i capitoli in cui si articola il libro -: il primo dedicato alle regole mercantili; il secondo alla religione; il terzo alle virtù morali; il quarto alla gestione della famiglia, arricchito dall’introduzione di Marco Vitale e dagli scritti di Carlo Carraro, Tiziana Lippiello, Fabio L. Sattin e il cui tema principale resta l’orgoglio dell’attività imprenditoriale. Ma non solo. C’è una forte assonanza tra i principi enunciati da Cotrugli con quelli della dottrina sociale della Chiesa. Ne è convinta Anna Maria Tarantola, presidente della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontefice, tra i promotori dell’iniziativa. «Mi ha particolarmente colpito l’intero capitolo dedicato all’osservanza della religione. Ne emerge la figura di un mercante competente, responsabile e che sa coniugare il perseguimento del suo giusto guadagno con la cura del benessere degli altri. Questa è esattamente la definizione del bene comune», ha detto Tarantola. Professionalità, interdisciplinarità, tematiche sostenibili, principi etici: sono tutti aspetti che ritornano nel volume e che in un certo senso richiamano alla mente anche alcune affermazioni di Papa Francesco.
 

 

 

 

Il riferimento di Anna Maria Tarantola è al discorso pronunciato dal Santo Padre all’Ilva di Genova il 27 maggio del 2017 dove descrive il “buon imprenditore” che non è uno “speculatore” ma colui che si caratterizza per “la creatività, l’amore per la propria impresa, la passione e l’orgoglio per l’opera delle mani e dell’intelligenza sua e dei lavoratori”. Insomma, quello che ci dice Cotrugli è completamente diverso dalla teoria della compartimentalizzazione insegnata per decenni dagli anglosassoni, e ormai regola diffusa. Invece, l’uomo è uno solo, non diviso in due parti diverse, e tale è l’imprenditore, chiamato a «operare in maniera unitaria».

Ecco perché Cotrugli non a torto è considerato il fondatore delle discipline economico-aziendali. Lo ha ricordato Fabio L. Sattin, presidente esecutivo e socio fondatore di Private Equity Partners SpA, che ha raccontato come il progetto di riscoprire il libro dell’arte della mercatura risale agli anni Novanta quando per la prima volta s’imbatté in una sua copia, curata dal professor Ugo Tucci dell’Università Ca’ Foscari. Un manuale, ha detto, che pur se rivolto ai mercanti del tempo, «appartiene alla nostra storia» in quanto anticipa l’approccio italiano di fare impresa, col tempo sostituito dal modello anglosassone. La pensa così anche Marco Vitale, fondatore e presidente Vitale-Zane & Co, che della nuova edizione ha scritto l’introduzione. Cotrugli è un «grande sistematore dello spirito d’impresa» ed «è l’espressione dell’alto livello culturale degli imprenditori italiani di quel secolo». Il suo trattato aiuta a riscoprire noi stessi e la «nostra grande scuola economica», prima di quella di Adam Smith. Ci tramanda, poi, un’idea di impresa basata su un principio antico, ma recuperato negli ultimi cinquant’anni, e cioè che l’attività imprenditoriale non deve danneggiare, non può fare esclusivamente l’interesse dell’azionista e deve farsi carico del bene comune.

 

 

E oggi come si declina questa concezione dell’impresa? Sollecitati dal vice direttore del Corriere della Sera Daniele Manca, operatori del mondo finanziario e industriale italiano hanno portato il loro punto di vista a partire dal proprio osservatorio. Come Claudia Parzani, presidente di Borsa Italiana SpA. Secondo la manager per fare correttamente impresa nel mondo complesso in cui ci muoviamo è fondamentale promuovere il dialogo tra pubblico e privato, accogliere il diverso, integrare gli altri. Da parte sua Massimo Tononi, presidente di Banco BPM, ha individuato nella trasparenza, nel pragmatismo e nell’onestà intellettuale i tre elementi necessari cui affidarsi per perseguire l’orientamento economico verso il paradigma della sostenibilità, evitando così forme di massimalismo ideologico. «Un’impresa deve stabilire quello che può fare: con coerenza e rigore deve monitorare, certificare e comunicare i risultati raggiunti altrimenti perde autorevolezza».


In altre parole, il mantra della sostenibilità non deve ridursi a un semplice slogan. Di fatti la vera sfida, ha fatto presente, Elena Zambon, presidente Zambon SpA, è cercare di «integrare etica e business», non più da considerare mondi separati. Dove integrare significa aiutare i manager a ragionare non solo sul breve periodo ma abituandoli a pensare al futuro. Di qui il ruolo centrale di una educazione all’imprenditorialità. Per questo motivo, ha rimarcato Annamaria Fellegara, preside della facoltà di Economia e Giurisprudenza del campus di Piacenza, «è importante lo scambio costante tra impresa e università». La soluzione, però, non può essere solo la formazione. «Dobbiamo cambiare i nostri stili di vita individuali e il nostro modo di stare al mondo. È una questione di giustizia e di equità sociale da cui discende il modo di fare impresa. Se facciamo queste due cose siamo sulla buona strada».

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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