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L’Iraq, da culla della civiltà a profezia della convivenza

18 febbraio 2022

L’Iraq, da culla della civiltà a profezia della convivenza

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È trascorso appena un anno dal viaggio di Papa Francesco in Iraq. E i primi frutti cominciano già a raccogliersi. Come testimonia il vescovo ausiliare caldeo di Baghdad monsignor Basilio Yaldo, osservatore diretto dei cambiamenti messi in moto da quella storica visita apostolica. «La mentalità dei musulmani nei confronti dei cristiani è molto cambiata». E c’è maggiore consapevolezza dell’importanza «che il territorio iracheno ha a livello sia regionale sia internazionale». Anche perché «la diversità religiosa che si trova in quelle aree» non ostacola «la pacifica convivenza fra tutte le componenti».

Monsignor Yaldo ha raccontato la ventata di novità portata da Papa Bergoglio nell’antica culla della Mesopotamia giovedì 17 febbraio in Università Cattolica per la presentazione del libro “Ritorno ad Abramo. In viaggio con Francesco alle radici della fratellanza” (Castelvecchi Editore). Una sorta di diario/reportage scritto da Luca Geronico, giornalista di Avvenire, che ha seguito quel viaggio e ha percorso, con pochi giorni di anticipo, lo stesso itinerario di Papa Francesco: Baghdad, Najaf, Ur, Mosul, Qaraqosh ed Erbil.

L’iniziativa, promossa dal Dipartimento di Scienze religiose dell’Ateneo, si inserisce in una «più ampia opera di attenzione e di studio che la facoltà di Lettere e filosofia ha avviato a seguito dello storico viaggio di papa Francesco e l’ha portata ad attivare il nuovo insegnamento “Cristianesimi d’Oriente”, affidato al professore Lorenzo Perrone», ha detto nei saluti istituzionali il preside Angelo Bianchi, prima di entrare nel vivo del dibattito introdotto da Marco Rizzi, docente di Letteratura cristiana antica. È «un contributo» che l’Ateneo e la facoltà intendono dare alla più «approfondita e adeguata conoscenza anche tra i giovani delle origini cristiane di quella straordinaria tradizione che si trova nella Terra dei Due Fiumi».

La vicinanza dell’Ateneo fondato da padre Gemelli a quei territori, da sempre in bilico per i fragili equilibri politico-religiosi interni, è stata espressa anche dalla presenza di due giovani iracheni studenti in Cattolica: Adad Zaia e Maryam Sryoka. Dall’anno accademico 2021-22 sono iscritti alla magistrale in Global Business Management, della facoltà di Economia e Giurisprudenza nel campus di Piacenza. Esonerati dal pagamento dei contributi universitari e ospitati dal Collegio Sant’Isidoro, l’accoglienza di Adad e Maryam rientra in un progetto rientra in un progetto di collaborazione fra l’Ateneo fondato da padre Gemelli e la Catholic University di Erbil.

 

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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Il viaggio del Papa è stato un «evento» o, meglio, un «avvento» per l’Iraq o, ancora di più, “una Magna Charta del Medio Oriente”, per dirla con le parole del cardinale Louis Raphaël Sako, il patriarca di Babilonia dei Caldei, riprese dal giornalista di Avvenire Riccardo Maccioni, moderatore dell’incontro. Volendo fare un primo bilancio, quali sono state le ricadute più evidenti di quella visita apostolica? «È stata la prima volta che un pontefice mettesse piede in Iraq, realizzando così il desiderio che già Giovanni Paolo II aveva espresso nel 2000», ha ricordato monsignor Yaldo, che in quegli anni si trovava a Roma per studiare all’Università Urbaniana. «Abbiamo aspettato vent’anni per questa visita». E i risultati ora si stanno vedendo. «Quello che papa Francesco ha portato è stato un grande messaggio di pace e di speranza per tutto il Medio Oriente», ha chiarito il vescovo di Baghdad. Tant’è che la data del 6 marzo, giorno della sua tappa a Ur con l’incontro di tutti i capi delle comunità religiose che si trovano in Iraq - musulmani, sunniti, sciiti, giudei, yazidi, cristiani - è stato proclamata dal primo ministro giornata nazionale della tolleranza. «Il Pontefice è venuto per tutti gli iracheni e non solo per i cristiani». Questi ultimi, che rappresentano l’1% della popolazione, da sempre vivono in una difficile situazione in uno Stato a maggioranza musulmana. Basti pensare che se nel 2003, prima dell’occupazione dell’Isis, i cristiani presenti nel Paese erano oltre 1.300.000, oggi se ne contano appena 300mila. «Dopo il viaggio del Santo Padre, molti stanno pensando di rientrare. Servono pace, sicurezza ma anche progetti per creare occupazione tra i giovani, costretti a emigrare altrove per trovare lavoro. Il Papa ha donato ai cristiani più di 100mila euro utilizzati per realizzare numerose attività, molte delle quali rivolte anche ai musulmani».

Di qui l’appello di monsignor Yaldo che prenderà parte all’Incontro dei vescovi e sindaci del Mediterraneo in programma a Firenze dal 23 al 27 febbraio. «Bisogna aiutare i paesi mediorientali poiché l’emigrazione non è la soluzione». Soprattutto «bisogna aiutare i cristiani a non lasciare queste aree: il Medio Oriente necessita del Cristianesimo». E questo incontro può essere la chiave di volta «per dare ai cristiani il coraggio e la forza di restare». Parole in sintonia con la grande attenzione che da sempre Papa Francesco ha nei confronti del Mediterraneo, come ha ricordato Riccardo Cristiano, di Reset. Forse perché, ha osservato Luca Geronico, quest’area è un «epifenomeno delle crisi attuali e dei processi migratori». All’Europa, secondo il vescovo di Baghdad, il compito di garantire la stabilità nel Mediterraneo, aiutando i cristiani a rimanere in questi paesi e consentire all’Iraq di tornare a essere la culla di un nuovo processo politico per tutto il Medio Oriente, facendo da bilanciere tra Iran, Siria, Turchia, Giordania.

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