Martedì 21 febbraio si celebra la Giornata Internazionale della Lingua Madre. Per l'occasione pubblichiamo un estratto del libro "Lineamenti di Linguistica" (Vita e Pensiero, 2022) del professor Giovanni Gobber, preside della Facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere dell'Università Cattolica.
Nel 1988 il Consiglio d’Europa ha adottato una Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, che dà ai singoli Stati il compito di individuare le lingue da proteggere. Da allora, le istituzioni europee e internazionali invitano gli Stati a tutelare il patrimonio linguistico-culturale, come fattore di promozione dei diritti umani fondamentali. L’esperienza di questi anni ha messo in luce alcuni elementi decisivi per il mantenimento e lo sviluppo di una lingua:
- la coscienza della diversità rispetto alle altre realtà linguistiche territoriali;
- un senso diffuso di appartenenza a una comunità che si riconosce in una base anche linguistica e culturale;
- la volontà di conservare e continuare il patrimonio di lingua e tradizioni, adattandolo ai cambiamenti.
Questi elementi sono cruciali per varietà di lingue poco note e di limitata diffusione; per rilevarne la presenza, è sufficiente uno sguardo sommario alla realtà europea odierna, irriducibile a un insieme di comode etichette che identificano Stati e lingue. Con l’eccezione dell’Islanda e del Portogallo, ogni Stato europeo ha almeno una lingua locale (la cui diffusione è limitata a una porzione ridotta del territorio di uno Stato) o una lingua minoritaria (che è meno diffusa rispetto alla/e varietà riconosciute come standard dalla maggioranza dei parlanti all’interno di uno Stato). Per lo più, sono usate da comunità plurilingui, che si servono (o devono servirsi) anche di varietà della lingua maggioritaria nello Stato di appartenenza. Associare una lingua locale o minoritaria a una minoranza linguistica è riduttivo e improprio: riduttivo perché nel repertorio di una comunità plurilingue, oltre alla lingua che contrassegna la comunità, vi sono altre varietà di lingua, a contatto fra loro; improprio perché nelle pratiche comunicative delle comunità plurilingui si incontrano lingue e culture. Le comunità plurilingui sono luoghi storici di mediazione e di sintesi linguistico-culturale.
L’Italia delle lingue
L’Italia è forse il Paese linguisticamente più ricco e complesso di tutta l’Europa. Ricco, perché vi sono ospitate comunità di almeno cinque gruppi linguistici diversi (romanzo, germanico, slavo, albanese, greco) della famiglia indeuropea. Complesso, perché alcune sono protette da uno standard di riferimento, altre sono prive di standard e per questo non sono spesso riconosciute come lingue. Tutte, in qualche misura, sperimentano l’influsso italiano, sia della varietà standard sia di altre varietà.
Le vicende storiche hanno condotto numerose comunità a insediarsi in territori d’Italia che sono lontani dalle rispettive terre d’origine (per esempio comunità albanesi, catalane, greche). A volte si usa, in proposito, il termine isola linguistica, mentre si parla di penisole linguistiche quando il confine politico interrompe la continuità con il territorio della comunità linguistica che predomina in uno Stato confinante (per esempio il tedesco in Tirolo meridionale, lo sloveno a Trieste, il francese in Valle d’Aosta). La situazione è tuttavia più variegata e vi è il rischio che queste etichette siano riduttive, perché concentrano l’attenzione solo su una componente del repertorio linguistico di una comunità.
Il complesso delle lingue romanze
I confini politici tra l’Italia e la Francia non coincidono del tutto con quelli linguistici. Anzitutto, la Valle d’Aosta è area caratterizzata da un plurilinguismo, che si manifesta nella scelta di impiegare sia l’italiano sia il francese negli usi scritti pubblici. Più che altro, vi è conoscenza del francese nella varietà standard scritta, che i mass media e la scolarizzazione di fascia superiore hanno contribuito a diffondere; le interazioni con la Savoia e il Vallese francofono favoriscono anche gli usi orali. Peraltro, a caratterizzare il paesaggio linguistico di questa regione autonoma a statuto speciale è il patoué franco-provenzale, che ha anche una tradizione scritta sia informale sia letteraria. La diffusione dei social media favorisce l’uso del patoué scritto – in generale, le nuove forme di comunicazione sono strumenti decisivi sia per la conservazione sia per lo sviluppo delle lingue minoritarie.
Nel comune di Alghero è tuttora praticata una varietà di catalano che risale al Trecento e testimonia il passato dominio degli Aragonesi, un tempo esteso alla Sardegna settentrionale. Ad Alghero, prima, vi erano i Genovesi, che si opponevano al sovrano aragonese e per questo furono scacciati e sostituiti da catalani provenienti dalla regione di Valencia.
Nelle località sarde di Carloforte (nell’isola di San Pietro) e Calasetta (nell’isola di Sant’Antioco) la lingua usata è il tabarchino, una varietà ligure antica, che prima era usata da un insediamento genovese sull’isola di Tabarqa (Tunisia); ragioni politiche mossero, nel primo Settecento, all’emigrazione in terra sarda.
La Sardegna – area isolata anche linguisticamente – ospita varietà romanze che si distinguono dal resto dello spazio romanzo occidentale. Lo spazio sardo è articolato nelle aree del logudorese (con tradizioni di prestigio già in epoca medievale), del nuorese e del campidanese. Per affermare le peculiarità linguistiche del sardo si è avvertito, da alcuni, il bisogno di costituire una Limba Sarda Unificada, un sardo comune (basato sul logudorese), che assuma anche le funzioni sociali di prestigio attribuite all’italiano. Sembra tuttavia che la maggioranza dei sardofoni sia più interessata alla tutela e alla promozione della varietà linguistica, in armonia con l’italiano riconosciuto come lingua-tetto.
Verso la fine del Medioevo e fino al Settecento, nel settentrione della Sardegna affluirono comunità di lingua còrsa, le cui parlate si sono sviluppate nelle varietà sardo-corse del Gallurese e del Sassarese. La Sardegna è dunque un’isola in prevalenza sarda, con una forte presenza al nord del sardo-corso e con due importanti minoranze, quella catalana e quella tabarchina. Il paesaggio si amalgama poi con le varietà regionali dell’italiano.
Vi sono poi numerose eteroglossie interne cioè insediamenti dialettali italiani ma collocati in aree che non sono quelle d’origine; per esempio comunità dialettali venete in punti dell’Italia centrale e altre realtà simili.
Va qui ricordato che, mentre in inglese dialect denota una varietà sociale o regionale di una lingua, in italiano dialetto è preso in un’altra accezione: designa le realtà linguistiche non standardizzate, attestate su un territorio, sia nella variazione orale sia in forme scritte. Gli studiosi italiani tendono a considerare le varietà romanze dell’Italia settentrionale piuttosto come dialetti, o gruppi dialettali, che come lingue minoritarie. Tale scelta non è priva di conseguenze in sede legislativa: la Repubblica riconosce alcune lingue minoritarie, ma ne esclude molte altre.