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L’Università, il luogo dove si coltiva la felicità

16 marzo 2023

L’Università, il luogo dove si coltiva la felicità

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Il senso di questa celebrazione ci viene indicato dalla preghiera con cui siamo stati introdotti alla liturgia della Parola: «quanto più si avvicina la festa della nostra redenzione, tanto più cresca in noi il fervore per celebrare santamente il mistero della Pasqua».

Questo invito ha un doppio riferimento: alla Pasqua come celebrazione liturgica ormai prossima e alla Pasqua come meta ultima del nostro cammino terreno. La celebrazione annuale della morte e risurrezione del Signore ci ricorda infatti che siamo in cammino verso il compimento eterno quando finalmente potremo partecipare alle nozze dell’Agnello, come insegna il libro dell’Apocalisse: «Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello!» (Ap 19,9).

Può apparire un orizzonte eccessivo per un semplice Dies Academicus. In realtà davanti a Dio non c’è mai un tempo privo di senso e casuale. Per questo apriamo la nostra giornata con la celebrazione dell’Eucaristia. Non vogliamo perdere di vista il senso ultimo e il prezioso valore di questo momento perché anche in esso si svela e si realizza una peculiare esperienza di salvezza. Guardiamo a questa giornata e viviamola, quindi, secondo il calendario salvifico di Dio e non solo secondo la semplice logica degli eventi umani che si susseguono.

Come dice San Paolo: «Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! (2Cor 6,1-2)». Per i credenti è sempre l’ora della salvezza.

Ma che cosa significa per noi, qui e ora, vivere il momento favorevole? In che modo possiamo fare esperienza della salvezza nell’attività accademica? A che cosa è chiamato l’Ateneo per fare del suo impegno quotidiano un riflesso del disegno d’amore di Dio? In una parola che cosa fa diventare un “Dies academicus” un “Dies salvificus”? Le letture che abbiamo ascoltato ci offrono alcune interessanti piste di riflessione e anche delle indicazioni concrete per orientare il nostro lavoro in questa direzione. Condivido con voi due riflessioni a
partire dai testi che abbiamo ascoltato che si possono sintetizzare nell’invito ad essere felici lasciandosi guidare dal dito di Dio.

Facendosi interprete della volontà divina il profeta Geremia - come abbiamo ascoltato nella prima lettura - consegna al popolo un preciso messaggio: «Ascoltate la mia voce, e io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici». Dio vuole la felicità delle sue creature. Tutti siamo mossi da questo desiderio di felicità che potremmo definire costitutivo dell’esperienza umana. Nessuno vuole essere triste ma non è facile essere felici.

Spesso il desiderio di felicità risulta frustrato fino ad essere ritenuto irrealizzabile. Il mondo di oggi declina la felicità con il benessere fisico e il successo, con il possedere e l’apparire, con il prestigio e il potere, con il numero follower e con quanti I like si ottengono sui social. Lo illustra ampiamente una dettagliata indagine Ipsos dello scorso anno. Purtroppo, come al tempo del Profeta anche oggi la felicità è fatta di espedienti più che di scelte e orientamenti ben definiti. L’invito ad ascoltare la Parola del Signore a camminare sulla strada da lui indicata risulta disatteso e registra una sostanziale indifferenza. L’essersi allontanati dalla relazione fondamentale e primaria con Dio, dalla via del rispetto della dignità umana e dell’ambiente, della solidarietà verso i più poveri e della giustizia sociale, della riconciliazione e della fratellanza… pregiudica alla radice la possibilità di essere veramente felici.

In questo scenario il nostro Ateneo può e deve essere un luogo dove si coltiva realmente il senso e l’esperienza della felicità. Per sua natura la realtà accademica dovrebbe essere aperta alla conoscenza del bene, del vero e del bello. Una università cattolica lo è in modo speciale essendo chiamata a coltivare tutto questo con una apertura al trascendente e all’azione di Dio nella storia degli uomini. Il nostro modo di fare ricerca, di sviluppare la didattica, di coltivare la terza missione, diventano così occasione per vivere in pienezza l’apertura al soprannaturale e per offrire una formazione e un orientamento che consentono di camminare sulle vie di Dio e sulla strada tracciata dal Vangelo e dalla Dottrina Sociale della Chiesa.

In tutto questo a fare la differenza, inoltre, sono le relazioni, ossia il modo con cui ci rapportiamo gli uni agli altri nella consapevolezza che siamo parte di una straordinaria avventura iniziata più di cento anni fa e cresciuta con il contributo di uomini di fede e di scienza che hanno saputo fare corpo, vivendo l’esperienza del così detto “corpo accademico” quale riflesso e concreta attuazione del più ampio e sostanziale “corpo ecclesiale”. Ma in Ateneo non solo si può essere davvero felici. Si può anche, e soprattutto, diventare santi! Ce lo insegano i nostri grandi compagni di viaggio: dal Beato Contardo Ferrini al Beato Giuseppe Toniolo, dal venerabile Ludovico Necchi al venerabile Giuseppe Lazzati, fino alla nostra amata e straordinaria Armida Barelli che avremo modo di ricordare con il Santo Padre Francesco nella speciale udienza che ci ha concesso ad un anno dalla beatificazione e alla vigilia della Giornata per l’Università Cattolica. La grande adesione all’appuntamento del 22 aprile in Aula Paolo VI a Roma ci fa comprendere quale sia lo spirito che ancora oggi anima e guida il popolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

A camminare sulle strade di Dio, che sono vie di felicità e santità, ci aiuta il “dito di Dio”, di cui parla Gesù nel Vangelo. Non è difficile leggere nella storia del nostro Ateneo, e anche nei suoi sviluppi recenti, la presenza e l’opera del “dito di Dio” che, nelle sue diverse accezioni bibliche, di volta in volta, protegge dal maligno - come abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi -, indica la strada, guarisce i malati e opera miracoli. Nella storia d’Israele il “dito di Dio” compie prodigi che sorprendono e intimoriscono gli egiziani: «Allora i maghi dissero al faraone: È il dito di Dio!» (Es 8,15). Ma soprattutto sul Sinai, il Signore dona a Mosè le tavole di pietra con i dieci comandamenti scritti con il suo dito (Es 31,18; 32,15-16; Dt 9,19; Dt 10,1-5). Quella legge scritta su tavole di pietra, secondo il profeta Geremia, per essere efficace dovrà essere scritta direttamente nei cuori (Ger 31,31-33).

Nel libro del profeta Daniele il “dito di Dio” è protagonista di una rivelazione impressionante, scrivendo in una lingua sconosciuta sulla parete del palazzo reale la sentenza che solo il Profeta può interpretare e che sancisce la fine del Re (Dn 5,5). In Gesù questa potenza del “dito di Dio” si manifesta in modo emblematico e suggestivo quando provocato a giudicare la donna adultera resta in silenzio e, come narra il Vangelo per due volte su china e scrive «con il dito per terra» (Gv 8,6). Non sappiamo che cosa abbia scritto ma certamente ha impresso sulla terra e nella storia dell’umanità il sigillo della misericordia divina, che poi ha tradotto per tutti noi con la lapidaria sentenza: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7).

È interessante infine notare che il Vangelo di Matteo sostituisce la frase dell’evangelista Luca “dito di Dio” con “virtù dello Spirito di Dio”, operando un'equivalenza tra il simbolo del dito e lo Spirito Santo (Mt 12,28). Questa equivalenza è ancor più accentuata nelle lettere di san Paolo, il quale, scrivendo ai cristiani di Corinto, precisa che le tavole della Legge scritte sul Sinai con il dito di Dio saranno scritte con lo Spirito del Dio vivente direttamente nei nostri cuori (cfr. 2 Cor 3,1-3). In tal modo, l'apostolo interpreta il decalogo alla luce di Geremia e ne vede il compimento nel dono dello Spirito Santo.

Il “dito di Dio”, nella Scrittura è quindi un’immagine simbolica suggestiva e quanto mai significativa per dire che nonostante tutti i progressi scientifici e l’odierna potenza tecnologica è necessario sempre lasciarsi guidare dalla sapienza divina, saper leggere i segni che Dio anche oggi non ci fa mancare.

Interpretare oggi la passione educativa della Chiesa alla luce del Patto Educativo globale, sviluppare riflessioni scientifiche e promuovere l’alta formazione riguardo alle sfide poste dalla sostenibilità ambientale, sviluppare una visione dell’economia che promuova veramente il bene comune e la solidarietà, spingere la ricerca in ambito sanitario per fornire cure sempre più personalizzate e appropriate, ripensare il ruolo e la responsabilità dell’essere umano e della società rispetto alle nuove tecnologie digitali, all’impatto dell’Intelligenza artificiale e alla tirannia degli algoritmi… sono solo alcune delle formidabili sfide su cui l’Ateneo dei cattolici italiani è concretamente impegnato per contribuire a scrivere la storia di tanti giovani e del nostro Paese non seguendo le mode del momento o gli interessi particolari, ma solo il “dito di Dio” che è il vero autore della storia dell’umanità e della sua salvezza.

In questa scrittura della storia, affascinante e misteriosa, una virgola riguarda anche la mia vita e il mio ministero episcopale. Il Signore attraverso Papa Francesco, ha voluto confermarmi in questo servizio e mi ha affidato anche la cura spirituale dell’Azione Cattolica. Sono grato al Santo Padre per una tale fiducia e sono contento di poter condividere ancora un po’ di strada con questa grande istituzione accademica, educativa e culturale. Rinnovo la mia disponibilità e il mio impegno a servizio di tutta la comunità universitaria e, mentre confido nella vostra benevolenza, chiedo la carità di un ricordo nella preghiera. Amen.
 

L'omelia

Mons. Claudio Giuliodori

Mons. Claudio Giuliodori

Assistente Ecclesiastico Generale - Università Cattolica

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