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La “Magna Charta” della politica sociale nella Ue

21 marzo 2022

La “Magna Charta” della politica sociale nella Ue

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«Benché il Pilastro europeo dei diritti sociali non rivesta carattere vincolante, il documento ha rapidamente provocato un cambio di passo nella politica sociale dell’Unione, che è stata rafforzata e lo sarà in misura ancora maggiore nel prossimo futuro». Matteo Corti, docente di Diritto del lavoro nella facoltà di Giurisprudenza, ha dedicato un libro, appena pubblicato dalla casa editrice Vita e Pensiero, al documento che ha segnato una svolta nell’ambito della politica sociale europea. Proclamata a Göteborg il 17 novembre 2017, il Pilastro europeo dei diritti sociali è una dichiarazione che impegna le principali istituzioni dell’Unione europea, Consiglio, Commissione, Parlamento e Stati membri a rispettare e promuovere, nell’ambito delle proprie competenze, i diritti e i principi sociali che vi sono contenuti: formazione, parità di genere e pari opportunità. Ma anche sostegno attivo all’occupazione, informazioni sulle condizioni di lavoro e sulla protezione in caso di licenziamento, equilibrio tra attività professionale e vita familiare, inclusione sociale, salario minimo. A spiegarne natura giuridica e attuazione nonché meccanismi solidaristici e ripercussioni sociali che tale documento ha generato soprattutto durante la pandemia, creando una «felice discontinuità rispetto alla gestione della precedente crisi economico-finanziaria».

Professor Corti, come nasce l’idea di dedicare il libro “Il pilastro europeo dei diritti sociali e il rilancio della politica sociale dell’Ue” a questi temi? «Stanno per essere approvati progetti molto importanti, che cambieranno la vita dei cittadini europei: un esempio fra i tanti, la direttiva sui salari minimi adeguati nell’Ue. Di qui l’idea di scrivere un volume per dare conto di questa importante evoluzione, con il coinvolgimento di alcuni studiosi italiani ed europei più sensibili ed esperti della tematica».

C’è anche un capitolo che analizza la situazione della politica sociale nella Federazione Russa… «Sì, se ne è occupata la collega Elena Sychenko, dell’Università di San Pietroburgo, che tra l’altro ha condotto i suoi studi dottorali nel nostro Paese. L’autrice ha esaminato le più recenti evoluzioni della politica sociale russa, soffermandosi in particolare sulla modifica di alcuni articoli della Costituzione e sulle misure messe in campo dallo Stato durante la fase più acuta della crisi generata dalla pandemia, per proteggere la popolazione e sostenere i redditi».

Dall’Eurasia all’Europa. Negli ultimi anni che cosa è cambiato sul fronte dei diritti sociali nella Ue? «Tra le novità più interessanti, che riguardano milioni di lavoratori europei, ci sono sicuramente le nuove direttive sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili, sul distacco transnazionale dei lavoratori e sulla conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro».

Ce le spiega meglio? «La prima si caratterizza non soltanto perché impone ai datori di comunicare ai propri lavoratori in modo chiaro le principali condizioni di lavoro applicate, ma anche perché stabilisce alcuni standard minimi di trattamento che avranno un impatto rilevante soprattutto per i lavoratori più precari. La seconda direttiva mira a evitare fenomeni di dumping sociale nell’ambito degli appalti transnazionali, mentre la terza direttiva sul worklife balance apre interessanti prospettive per un miglior bilanciamento tra obblighi lavorativi e compiti di cura».

Che impatto ha avuto l’emergenza sanitaria sulla politica sociale? «Sicuramente positivo. La proposta di direttiva attualmente nella fase più calda di discussione, quella sui salari minimi adeguati nell’Ue, ha ricevuto una forte spinta dal Covid: vi è, infatti, il timore che la crisi economica che accompagna la pandemia possa scaricarsi in modo devastante sui lavoratori meno fortunati. Nel complesso l’epidemia da Coronavirus ha provocato una pericolosa frattura sociale, sia a livello planetario, sia a livello nazionale. È, pertanto, importante rispondere con un rafforzamento delle politiche sociali, a entrambi i livelli. Il Pilastro europeo dei diritti sociali contribuisce al rafforzamento concertato di tali politiche a livello continentale».

Che cos’altro si può fare in questo ambito? «A livello europeo vi sono molti e significativi progetti in cantiere, che si spera possano giungere positivamente in porto: ho già menzionato la proposta di direttiva sui salari minimi adeguati nell’Ue, ma recentemente è stato avanzato un altro progetto, sui diritti dei lavoratori delle piattaforme. Ed è in fase di discussione anche una nuova direttiva per rafforzare l’applicazione della parità di retribuzione tra uomini e donne. Se questi provvedimenti diventeranno effettivamente diritto vigente dell’Ue, il diritto sociale dell’Unione avrà compiuto un vero e proprio balzo in avanti».

E in Italia? «Per quanto riguarda il nostro Paese, ci sono diversi aspetti su cui occorre lavorare. Il tema del salario minimo da noi si intreccia saldamente con altre due cruciali problematiche, relative al diritto sindacale: la contrattazione collettiva e la partecipazione dei lavoratori. In entrambi gli ambiti il sistema italiano di relazioni industriali postbellico ha tradizionalmente fatto a meno dell’intervento legislativo di regolazione, ma questo approccio si sta dimostrando sempre più inadeguato alle sfide del presente e del futuro. Ma occorre tener d’occhio anche i servizi per l’impiego e le politiche attive del lavoro. Il nostro Paese si è dotato di uno strumento di contrasto alla povertà relativamente generoso, come il reddito di cittadinanza, ma è importante offrire ai beneficiari prospettive concrete di reinserimento lavorativo. E la transizione ecologica che ci aspetta richiede politiche pubbliche adeguate per riqualificare e sostenere non soltanto i disoccupati e gli inoccupati, ma anche coloro che un lavoro già ce l’hanno».  

 

Un articolo di

Katia Biondi

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