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La rivoluzione digitale dell’arte

07 marzo 2023

La rivoluzione digitale dell’arte

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“Stiamo vivendo in una rivoluzione parallela a quella industriale”. Con questa citazione del pioniere della Silicon Valley Jerry Kaplan nel 2017, la professoressa Elena Di Raddo ha introdotto il tema della rivoluzione digitale che sta generando la trasformazione dell’uomo, della società, del linguaggio e di tutti gli ambiti che riguardano la vita degli esseri umani.

L’occasione è stato il pomeriggio di studio organizzato dall’Università Cattolica il 6 marzo, insieme a MEET Digital Culture Center, e dedicato al progetto “Arte nell’era digitale: verso nuove forme di autorialità”, che rientra nel più ampio progetto di ricerca finanziato dall’Ateneo, intitolato “Cambiamento o trasformazione? Conoscere, comunicare e trascendere nell’era digitale”, coordinato dal professor Marco Rizzi. Un’iniziativa che coinvolge diverse aree - umanistica, scientifica, sociale, medica, informatica - per approfondire la presenza sempre più massiva del digitale e dell’intelligenza artificiale nella vita di tutti i giorni. 

Presso la sede di MEET si sono confrontati filosofi, esperti di arte digitale, di comunicazione, un artista, un giurista, due economiste per indagare la realtà dell’arte emergente che sta ponendo molti quesiti. Chi sono gli autori delle opere digitali? Come l’NFT e l’Intelligenza artificiale contribuiscono alla creazione dell’opera? A chi si può applicare il diritto d’autore? Come cambia il rapporto tra il programmatore e la macchina nel momento in cui il machine learning porta a rielaborare l’input per produrre un output e restituire un risultato nuovo? Si può parlare di opere d’arte create dalla macchina e non dall’uomo? 

Nel concetto di trasformazione risiede la domanda centrale come ha sottolineato Di Raddo: «Quale uomo e quale umanesimo? E ancora: Dove stiamo andando? Come stiamo cambiando?».

«Gli artisti sono straordinariamente innovativi e indicano strade nuove nell’applicazione di questi mezzi tecnologici. Ci sono territori da esplorare, traiettorie da ridefinire con un presente che guarda al futuro» - ha dichiarato in apertura dell’evento la presidente di MEET  Mariagrazia Mattei
 

 

Il concetto di artista è già un punto da problematizzare. Daniele Perra, co-curatore insieme a Elena Di Raddo del progetto sull’Arte nell’era digitale, ha portato alcuni esempi come quello dello scimpanzè Naruto che, usando la macchina fotografica, si è fatto un selfie di cui il fotografo non ha potuto rivendicare il diritto d’autore dopo che l’immagine è finita su Wikipedia. Oppure il caso di un’immagine generata con l’IA che ha vinto il primo premio a un concorso d’arte, o ancora quello dell’artista Yayoi Kusama, «inserita in una vetrina che segue con lo sguardo i punti che sta disegnando ma in realtà è un robot. Allora «come gli artisti si possono relazionare con l’IA? E dove sono i confini tra l’artista e la macchina?» - si è chiesto Perra.

Del diritto d’autore hanno parlato Marilena Vecco della Burgundy School of business di Digione e il giurista Mattia Pivato. L’impostazione del diritto è antropocentrica e le fonti che si occupano di diritto d’autore si riferiscono a opere dell’ingegno umano. Esistono opere digitali nate da opere fisiche, comprate attraverso gli NFT (non-fungible token), ovvero un atto di proprietà e certificato di autenticità che si applica particolarmente all’arte crittografica, a oggetti da collezione digitali e a giochi online. 

La questione aperta riguarda il fatto che «il requisito per la tutela autoriale è la creatività che rappresenta l’esternarsi della personalità del creatore attraverso l’opera dell’ingegno. Ma sussiste creatività nelle opere generate dall’IA? Un algoritmo può dirigere e organizzare un’opera?» si è chiesto Pivato. «Le sfide giuridiche riguardano anche il metaverso: Di chi sono le immagini che vanno nel metaverso? Ho le autorizzazioni per poterne disporre?». 

Dal diritto d’autore all’autorialità. Eleonora Montagner della Burgundy School of business di Digione si è chiesta se l’attività dell’IA «può rifarsi a un soggetto collettivo, se possiamo pensare a un’autorialità che non si basa sulla paternità (o piuttosto sulla maternità!). E se vogliamo farlo, un elemento da considerare è il processo intero, l’intenzionalità condivisa». 

Restando sul piano filosofico Roberto Diodato, docente di Estetica dell’Università Cattolica, ha portato il caso dell’artista Anna Riedler che si serve della GAN (generative adversarial actor), per creare opere digitali risultato di un’interazione, ma poi lei stessa non sa se il risultato sia un’opera vera e propria o no.  «La conclusione della Riedler è che la GAN non è considerata come un partner creativo, ma nemmeno solo uno strumento».

Il tema coinvolge particolarmente l’artista. Il pittore e scultore Nicola Verlato è preoccupato dell’intervento dell’IA «che delega alla macchina il ruolo dell’artista, ovvero la realizzazione del passaggio dalla parola all’immagine. Oggi si crede di poter realizzare l’automatismo: la parola comanda e l’immagine obbedisce, senza un processo creativo. Ma (per fortuna) Michelangelo non è mai stato sostituito dalla fotografia». 

Decisamente scettico sul definire opere d’arte quelle prodotte dall’IA è Domenico Quaranta, docente dell’Accademia di Belle Arti di Brera, per il quale «l’IA si è sviluppata tanto grazie ai molti finanziamenti ricevuti e grazie alla possibilità di educare gli algoritmi su una quantità sempre più massiccia di dati, i cosiddetti big data». Ma «se le intelligenze artificiali sanno generare immagini, questo non significa che sappiano generare arte. Così come non significa che sia arte un’immagine premiata che ha ingannato pochi critici. Siamo ancora noi umani che definiamo cosa sia arte o no, anche se usiamo gli algoritmi».

Un altro dei temi introdotti per problematizzare l’arte digitale è l’uso dei filtri di realtà aumentata che ha spiegato Ruggero Eugeni, docente di Media e comunicazione dell’Università Cattolica. Dalla beautyfication agli effetti branded gli interventi “artistici” promossi sui social hanno portato a un grande aumento di chirurgie plastiche per migliorare il proprio volto. «Questo apre una riflessione: che relazione c’è tra la costruzione della nostra identità e le immagini del volto prodotte con una tecnologia che ne modifica i tratti in tempo reale?».

Gli scenari che si prospettano, dunque, hanno implicazioni esistenziali, economiche, sociali affascinanti ma anche inquietanti che richiedono una costante riflessione basata sul dialogo tra esperti di diverse discipline. Una sfida che l’Università Cattolica e MEET ha appena avviato coinvolgendo gli studenti.
 

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

Emanuela Gazzotti

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