«La persistente bassa natalità sta erodendo sempre di più la popolazione in età riproduttiva con il rischio, se non si interviene con urgenza e in modo incisivo, di vincolare ancor più al ribasso le nascite future precludendo definitivamente la possibilità di una inversione di tendenza – ha affermato il professor Rosina - Si andrebbe incontro, in tal caso, a squilibri demografici insostenibili compromettendo sviluppo economico, finanziamento e funzionamento del sistema di welfare pubblico. Sciogliere i nodi che portano a rinvio e rinuncia della scelta di avere figli, intervenendo con politiche adeguate, allineate alle migliori esperienze europee, sulle condizioni di autonomia abitativa dei giovani, di accesso ad un impiego con continuità di reddito, di conciliazione tra famiglia e lavoro - non porta solo a contenere gli squilibri demografici tra vecchie e nuove generazioni, ma a ridurre anche diseguaglianze sociali, di genere e territoriali in coerenza con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile».
Le minori natalità e fertilità sono temi con risvolti importanti a livello individuale e sociale: esse influenzano sia la sfera privata sia quella sociale delle persone, coinvolgendo direttamente aspetti fondamentali come la gestione della salute e del welfare: «I numeri raccontano la storia di un Paese, l’Italia, sempre più vecchio. Non solo per il progressivo aumento dell’indice di vecchiaia, ma anche per la progressiva implosione in termini di progettualità e di speranza – ha detto la professoressa Di Pietro – “La denatalità è un fenomeno dalla genesi multifattoriale, che si interseca con un altro fenomeno altrettanto complesso. Come evidenziato nel Rapporto “Infertility Prevalence Estimates – 1990-2021”, pubblicato nel 2023 dall’OMS, circa il 17,5% della popolazione adulta globale sperimenterà una condizione di infertilità nel corso della vita. E se talora le condizioni di infertilità sono da correlare a patologie non prevenibili, nella maggior parte dei casi essa è conseguenza di una generale disattenzione alla salute preconcezionale: promuovere quest’ultima a partire dall’adolescenza, dovrebbe essere uno dei principali obiettivi di un approccio completo alla questione della denatalità. Scarsa conoscenza dei fattori di rischio, sottostima del rischio dei propri comportamenti, mancanza di progettualità educativa: sono questi punti strategici su cui intervenire».
Attraverso il dialogo fra istituzioni, mondo aziendale e ricerca, la condivisione di dati, best practice e progetti di ricerca, l’evento ha avuto l’obiettivo di migliorare la comprensione del fenomeno, individuare le sfide e le opportunità e delineare possibili linee di intervento: «Per affrontare il tema della fertilità e della natalità c’è bisogno anche di una buona comunicazione che deve coinvolgere oltre alle istituzioni e ai media, le famiglie, le scuole, l’Università, le aziende – ha detto la dottoressa Giorgetti – “Bisogna parlare molto di più agli uomini e non solo alle donne per fare cultura su questo argomento e cambiare concretamente i trend in atto. Così come è importante che i governi diano segnali di interesse con politiche di genere e famigliari. Anche le imprese devono fare la loro parte. L’industria farmaceutica rappresenta un esempio. Ha infatti più donne (45% per il totale dei dipendenti e 45% tra dirigenti e quadri), più figli (+45% per nucleo famigliare rispetto alla media nazionale), maggiore “retention” dei talenti (turnover in uscita più basso della media). Inoltre, in Italia il 60% della produzione deriva da aziende guidate da donne».