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La sfida della scienza tra privatizzazione e nuovi modelli al servizio della collettività

26 aprile 2022

La sfida della scienza tra privatizzazione e nuovi modelli al servizio della collettività

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Nella società del progresso e dell’accessibilità, la scienza rischia di dimenticarsi della sua natura di bene pubblico e di passare nelle mani di pochi. Questo paradosso è al centro del nuovo libro del professor Massimo Florio, La privatizzazione della conoscenza, presentato, lunedì 11 aprile, all’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per il ciclo di eventi Aserincontra.

L’analisi di Florio aggiorna il discorso iniziato con Investing in Science: Social Cost Benefit Analysis of Research Infrastructures (MIT Press, Cambridge, 2019), è uno studio in itinere, proprio come la ricerca scientifica, ed è, secondo il direttore dell’Aseri Vittorio Emanuele Parsi, «un libro pensato per un pubblico non di economisti ma comprensibile per tutti».

La scienza, per stare al passo con le nuove sfide delle big pharma, green economy e big data, deve entrare in un progetto collettivo. Al centro di questo piano, secondo Florio, Parsi e la professoressa Floriana Cerniglia, docente di Economia Politica alla Cattolica, vi è la crescita collettiva e l’interazione tra privato e pubblico, con la creazione di infrastrutture che attraggano i produttori di conoscenza, agevolino la ricerca e gettino le basi per un nuovo modello di impresa, come luogo in cui possano incontrarsi e dialogare molteplici attori.

Per il professor Florio, docente di Scienza delle finanze all’Università Statale di Milano, la soluzione viene dall’analisi dell’impatto sociale della scienza e dei finanziamenti universitari alla ricerca. «L’idea di scrivere questo libro è venuta quando la Banca Europea degli Investimenti chiese alle università di fare una valutazione dell'impatto delle loro ricerche. Abbiamo vinto il bando e iniziato visitando le infrastrutture di ricerca». Studiare gli investimenti significa anche capire il ruolo che la scienza ha nella società: si tratta di una linea del tempo costellata, secondo il professor Florio, di momenti cruciali, dalla progettazione della bomba atomica che per la prima volta ha coinvolto 130mila universitari, al catalizzatore europeo di ricerca scientifica del Cern, fino al ruolo cruciale avuto dalla ricerca sui vaccini durante l’emergenza pandemica.

Alla base della velocità con cui sono arrivati i vaccini è proprio la sinergia tra istituti di ricerca: «Oggi – secondo Florio - è inutile essere isolati nelle università; bisogna iniziare a pensare a livello globale e in senso comunitario, occorre una commistione tra pubblico e privato». La stessa che ha permesso il sequenziamento di 30mila basi del vaccino con l’uso della Uman Genome Project, una tecnologia informatica finanziata dall’accordo internazionale, di 12 anni fa, da 3 miliardi per fare un genoma umano completo e da cui derivano le tecnologie «che oggi permettono di fare quel processo in un'ora». Dietro vaccini che sembrano arrivati nell’arco di pochi mesi e con poche sperimentazioni alle spalle vi è in realtà un lungo progetto di investimenti e ricerche, come per l’utilizzo della tecnologia a Mrna che si fonda su oltre 20 anni di investimento del National Institute of Health negli USA, e sul contributo del ministero della sanità. Questo modello ibrido, con un bilancio annuo superiore di 40 volte al Cern, spartisce i fondi tra i lavoratori dell’istituto e la ricerca e permette un’interazione che dimostra, ricorda Parsi, «come la conoscenza sia frutto dell'incrocio tra privato e pubblico».

Anche secondo la professoressa Floriana Cerniglia, direttrice del Centro di Ricerche in Analisi economica e sviluppo internazionale (CRANEC) occorre scardinare «l’illusione liberista che la privatizzazione sia perfetta e totalmente buona». Il percorso ricostruito dai cinque capitoli del libro mostra le conseguenze della compresenza di grandi profitti e nuovi oligopoli, ben diversi dai vecchi, incentrati sul mercato dell’energia. Inoltre, se prima lo Stato interveniva per regolamentarli, oggi il rischio aumenta con l’assenza della tassazione fissa verso le big tech.

Il rischio che corre la scienza è reale ma può essere arginato dal cambio di paradigma proposto, come la creazione di infrastrutture di ricerca su missioni specifiche. Questa è la strada che dovrebbe percorrere l’Europa per svincolarsi dalla morsa delle potenze cinese e statunitense e cercare di avere un primato nelle nuove frontiere della medicina, green economy e big data.

La partita della scienza del futuro si gioca tutta qui.

Un articolo di

Eleonora Bufoli e Lorenzo Buonarosa

Scuola di Giornalismo

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