C’è un territorio gelido che quasi mai viene considerato ma che potrebbe avere un ruolo centrale nello scontro continuo fra Stati Uniti e Russia. Da una parte, Joe Biden prevede la possibilità di un conflitto per il controllo dell’Artico. Dall’altra, Vladimir Putin minaccia di “spaccare i denti a chiunque pensi di sfidare” la loro sovranità, perché “non esiste Artico senza Russia e Russia senza Artico”. In realtà, questo territorio vastissimo e perlopiù sconosciuto – solo il 15% dell’area artica è stato mappato e quindi ci sono pochi dati, poche informazioni – attira su di sé lo sguardo di molte altre potenze mondiali.
All’incontro del 17 aprile, per il ciclo ASERIncontra, il professor Vittorio Emanuele Parsi ha dialogato con il reporter Marzio G. Mian, uno dei pochi giornalisti italiani e internazionali ad aver esplorato l’Artico, nel corso della presentazione del libro Guerra bianca. Sul fronte artico del conflitto mondiale (2022, Neri Pozza). Parlare di reportage è riduttivo: si tratta di un viaggio-inchiesta che racconta le zone polari, dalla Groenlandia all’Alaska, dal Mare di Barents allo Stretto di Bering, analizzandone l’importanza strategica e commerciale nel contesto mondiale. Si intrecciano vicende storiche e politiche fra Stati Uniti, Russia, Cina, Danimarca, Norvegia e, in minima parte, Unione Europea.
«Sono partito per fare dei reportage nel Grande Nord che non avevano nulla a che vedere con questo discorso, ma mi sono reso conto che stava accadendo qualcosa di enorme, una trasformazione travolgente», racconta Mian che se ne occupa da una dozzina di anni e paragona la corsa all’Artico alla scoperta dell’America. «Non penso di esagerare, se pensiamo alla situazione in cui si trova il nostro pianeta oggi: sovraffollato, sempre più desertificato e affamato di risorse. E quindi quel luogo remoto, bianco, sempre uguale, poco abitato diventa un’opportunità improvvisa, anche perché sempre più abitabile dal punto di vista climatico». Facendo una media tra idrocarburi, minerali preziosi, terre rare e pesce, l’Artico potrebbe rappresentare circa il 40% delle risorse ancora inesplorate della Terra.
Fino a dieci anni fa, la Norvegia aveva abbandonato i suoi territori settentrionali, considerati come l’area povera da sfruttare solo per il petrolio. Il Canada ha una tradizione mistica, dei precedenti coloniali anche crudeli, con il Grande Nord. È la Russia è la potenza dell’Artico: un controllo non solo dettato dalla posizione fisica (il 52% delle sue coste si affacciano sul Mar Glaciale e il 20% del territorio russo si trova oltre il Circolo polare), ma anche dalla storia (dal Cinquecento con le prime migrazioni, fino a Putin che ha aperto i primi pozzi petroliferi). «Il 50% delle esportazioni russe arrivano dall’area artica e circa il 50% del pil di Mosca deriva proprio da lì», ha concluso Mian.
E poi c’è la Cina, che ha interesse per le nuove rotte. «Il 90% del commercio marittimo globale è nelle mani cinesi. Il pesce è il bene più richiesto al mondo e in questo momento i flussi tendono tutti verso nord a causa del surriscaldamento delle acque. Quindi l’Artico è una risorsa impressionante», spiega Mian. Uno fra i diversi problemi è il fatto che si tratta di acque internazionali, sconosciute, quindi non ci sono ancora legislazioni ben delineate.
«Seppur sconosciuto ai più - conclude il professor Parsi - gelido e lontano, sembra che l’Artico concentri e sintetizzi e vedi tutta una serie di problematiche della politica contemporanea: la rivalità tra le potenze emergenti e non, la pressione demografica, il cambiamento climatico, la diversità biologica, ambientale e culturale, la possibilità di colonizzare».