(Sir 17, 1-13; Sal 102; Mc 10, 13-16)
È un grande dono per tutti noi poter celebrare oggi l’Eucaristia nella Basilica di San Pietro, il centro e il cuore della cristianità. Il nostro pensiero va in primo luogo al Santo Padre Francesco che pensavamo di poter incontrare questa mattina in Aula Paolo VI per la catechesi giubilare, ma ci ha sorpreso venendo lui da noi al Policlinico Gemelli. Il nostro pensiero va in primo luogo a lui e la nostra preghiera si innalza in forma ancora più intensa dalla sede del successore di Pietro, perché Papa Francesco possa riprendersi pienamente e in tempi brevi. Conosciamo l’altissima competenza dei nostri medici e sosteniamo anche loro con la preghiera perché possano fare le scelte terapeutiche più appropriate ed efficaci. Da tutto il mondo giunge incessante al Santo Padre il balsamo più prezioso: la preghiera. Anche per questo non abbiamo mai perso la speranza che il Pontefice possa superare questo difficile momento e riprendere a pieno e con tutte le energie necessarie il suo alto ministero apostolico.
Lo ricordiamo con affetto e gratitudine anche per le parole con cui ha indetto e sta guidando il Giubileo, vero tempo di grazia per ciascuno di noi, per la Chiesa e per l’intera umanità. Siamo anche noi oggi “pellegrini di speranza”: quella che cerchiamo per la nostra vita e quella che siamo chiamati a donare agli altri nelle situazioni complesse e difficili della vita. Per questo abbiamo attraversato la Porta Santa di questa Basilica, segno del nostro andare incontro a Cristo che spalanca per tutti noi la porta del suo cuore e ci accoglie con il suo abbraccio misericordioso. Questa è la fonte della speranza certa, che non inganna e non delude. «Tutti sperano - afferma il Papa nella Bolla di Indizione -. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. […] Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni» (Spes non confundit, n. 1).
Siamo qui, anche noi, oggi, per “rianimare la speranza”, per farla crescere nelle nostre famiglie e, soprattutto, per condividerla con coloro che sono affaticati e provati dalla vita. La parola di Dio ci guida e ci accompagna in questo pellegrinaggio di speranza. Oggi il Vangelo ci ricorda che la speranza ha il volto dei bambini e si nutre della loro tenerezza. Gesù li abbraccia e li indica come modello da seguire: «a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio». Il Giubileo è un tempo di rinnovamento che alla luce di questo insegnamento di Gesù potremmo definire “tempo per tornare bambini”, cioè per ricominciare e ritrovare la gioia, l’entusiasmo, la spontaneità della nostra infanzia, se non quella fisica certamente quella spirituale. La vita porta con sé tante incrostazioni e pesantezze, tra cui le più pericolose sono quelle causate dal peccato. Per questo con il Giubileo ci è data l’occasione per purificarci e per rinnovarci, per ritrovare la freschezza del battesimo, del nostro essere intimamente e profondamente uniti a Cristo.
Non si tratta di tornare indietro. Non possiamo riavvolgere il nastro della nostra vita. Dobbiamo piuttosto rinascere, come Gesù insegna a Nicodemo che gli domanda: «“Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?”. Rispose Gesù: “In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito» (Gv 3,4-6). Facciamo nostro oggi questo invito a riprendere con intensità la vita spirituale che significa recuperare la giovinezza dello Spirito, nella consapevolezza che il vero benessere, tanto cercato, e spesso assolutizzato dalle donne e dagli uomini del nostro tempo, è in primo luogo una condizione dell’anima. Il vero benessere nasce dal cuore e genera una felicità autentica, non effimera e passeggera, che è possibile sperimentare ritornando alla semplicità e spontaneità propria dei bambini. Come afferma ancora il Papa nella Bolla del Giubileo: «Abbiamo bisogno di una felicità che si compia definitivamente in quello che ci realizza, ovvero nell’amore, così da poter dire, già ora: “Sono amato, dunque esisto; ed esisterò per sempre nell’Amore che non delude e dal quale niente e nessuno potrà mai separarmi”» (SnC, n. 21).
Le coordinate per una vita plasmata dall’amore le possiamo ricavare dalla prima lettura tratta dal libro del Siracide. È un testo di grande saggezza che descrive la condizione umana e indica la via per una piena realizzazione. Evidenzio tre elementi essenziali.
Il primo è la consapevolezza della propria finitudine senza perdere di vista la grande dignità e il valore di ogni vita umana. L’autore sacro ci invita a non dimenticare quale sia la condizione degli uomini sulla Terra per cui afferma: «Egli assegnò loro giorni contati e un tempo definito, dando loro potere su quanto essa contiene». Il Giubileo è appunto un tempo di grazia per ritrovare la “giusta misura” della nostra vita e il vero baricentro di tutto che è Gesù Cristo evitando, da una parte, il delirio di onnipotenza e, dall’altra, il disprezzo per l’umano. Ad avere questo sguardo ci aiuta Blaise Pascal, come ha ben messo in evidenza Papa Francesco nella Lettera Apostolica Sublimitas et miseria hominis (19 giugno 2023), pubblicata nel quarto centenario della nascita del grande scienziato e filosofo francese. Afferma Pascal: «non solo non conosciamo Dio se non tramite Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi se non tramite Gesù Cristo. Non conosciamo la vita, la morte, se non tramite Gesù Cristo. Fuori di Gesù Cristo non sappiamo cos’è né la nostra vita, né la nostra morte, né Dio né noi stessi» (Pensieri, n. 36) e ancora in modo più esplicito: «La conoscenza di Dio senza quella della propria miseria genera l’orgoglio. La conoscenza della propria miseria senza quella di Dio genera la disperazione. La conoscenza di Gesù Cristo genera il giusto mezzo (le milieu), poiché vi troviamo Dio e la nostra miseria» (Pensieri, n. 75) È la stessa sapienza a cui ci richiama il salmo responsoriale: «L'uomo: come l'erba sono i suoi giorni! Come un fiore di campo, così egli fiorisce… Ma l'amore del Signore è da sempre, per sempre su quelli che lo temono».
In questa percezione della finitudine non viene meno però la consapevolezza della grandezza dell’essere umano perché afferma ancora il testo del Siracide: [Dio] «li riempì di scienza e d'intelligenza e mostrò loro sia il bene che il male». È questo il secondo aspetto che guida dal suo avvio, ben 60 anni fa, anche l’impegno del Policlinico Gemelli voluto dal Fondatore dell’Ateneo per coniugare in modo rigoroso e fecondo la scienza con la fede, la ricerca più avanzata con la più profonda dedizione alle persone malate, la sperimentazione più coraggiosa con la più rigorosa responsabilità etica. Siamo un Policlinico Universitario espressione di una Università Cattolica e, in particolare, nella sede di Roma, di una Facoltà preposta alla formazione delle nuove generazioni in ambito sanitario. Non è facile né scontato formare ed educare i giovani a discernere il bene e il male e a maturare uno spirito di autentico e generoso servizio ispirato ai valori di solidarietà e cura, propri del cristianesimo. In una società segnata dall’individualismo e soggiogata dalla cultura dell’indifferenza, questa oggi è una grande sfida e i giovani si attendono da noi una testimonianza trasparente e coraggiosa. Il Giubileo ci chiede anche questo: essere testimoni credibili ed educatori efficaci per le nuove generazioni. Siamo qui per ritrovare e rilanciare le ragioni profonde del nostro impegno educativo, cuore della missione del nostro Ateneo, che si realizza anche grazie alle straordinarie performance del Policlinico Gemelli.
La terza dimensione che ci viene indicata dal testo del Siracide è l’impegno di cura che ci vede ogni giorno operare a fianco delle persone malate. Sentiamo particolarmente vero per ciascuno di noi e per la nostra Istituzione sanitaria il monito della Scrittura: «Guardatevi da ogni ingiustizia e a ciascuno ordinò di prendersi cura del prossimo». Siamo qui anche per rinnovare il nostro impegno a servizio delle persone malate che sono spesso le più fragili e bisognose. È uno dei segni distintivi del percorso giubilare messo in evidenza dal Santo Padre nella Bolla di Indizione, dove leggiamo: «Segni di speranza andranno offerti agli ammalati, che si trovano a casa o in ospedale. Le loro sofferenze possano trovare sollievo nella vicinanza di persone che li visitano e nell’affetto che ricevono». Mentre ci invita ad essere veri samaritani e fonte di speranza, il Papa rivolge anche parole di vera gratitudine che in questo momento vorrei fare mie e rivolgere a tutti voi, anche a nome dei responsabili del Policlinico Gemelli: «la gratitudine raggiunga tutti gli operatori sanitari che - afferma il Papa -, in condizioni non di rado difficili, esercitano la loro missione con cura premurosa per le persone malate e più fragili». Il paragrafo si conclude con questa bella definizione dello spirito proprio degli operatori sanitari: «La cura per loro è un inno alla dignità umana, un canto di speranza che richiede la coralità della società intera» (SnC, n. 11).
Pensando al nostro Policlinico Gemelli come ad un luogo dove ogni giorno si “elevano inni alla dignità umana” e “canti di speranza”, continuiamo il nostro “pellegrinaggio di speranza” che non finisce con questa giornata e affidiamo ancora al Sacro Cuore di Gesù e alla nostra Madre Celeste la salute del nostro amato Papa Francesco.
Sia lodato Gesù Cristo.