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Per sconfiggere la tubercolosi in Camerun ci vuole un Griot

03 marzo 2025

Per sconfiggere la tubercolosi in Camerun ci vuole un Griot

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In Camerun, nella regione interna dell'Adamawa, è iniziata sotto i migliori auspici la campagna contro la diffusione della tubercolosi, lanciata dall'Università Cattolica del Sacro Cuore con alcuni partner locali, attraverso il progetto di cooperazione Griot.

Almeno, questo è quanto ha suggerito un incontro casuale, avvenuto proprio poche settimane dopo l’avvio dell’iniziativa. Durante una delle periodiche missioni nelle aree rurali più isolate previste dal programma, infatti, lo scorso 31 maggio 2024, suor Christine Richard si è recata in un piccolo villaggio a un’ora di jeep dal centro abitato di Ngaoundal, dove la religiosa dell'ordine delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret dirige l’ospedale Gala Gala.

In auto, insieme con lei, c’erano la sua consorella, suor Maria Luisa Caruso, presidente della Fondazione che sostiene l’ospedale, altri collaboratori del progetto e un mediatore culturale. Lo scopo del viaggio era stabilire un contatto con la popolazione nella speranza di instaurare un clima di collaborazione.

L’accoglienza degli abitanti è stata immediata e calorosa. Tra la curiosità dei bambini, spuntati un po’ ovunque in mezzo alle capanne di argilla e paglia, i membri della comunità hanno offerto una grande ciotola di latte fresco ai visitatori: tipica espressione di cordialità, ma anche pratica a rischio, poiché il latte non bollito è uno dei veicoli di infezione.

La visita si è rivelata un’occasione preziosa quando a un certo punto si è presentato il capofamiglia del villaggio.

«Non appena gli abbiamo spiegato chi eravamo e la ragione della nostra visita – racconta suor Christine Richard – il suo volto si è illuminato. L’uomo ci ha raccontato che si era ammalato di tubercolosi ed era guarito proprio grazie alle cure ricevute nel nostro ospedale. Quindi ci ha detto che eravamo i benvenuti a casa sua e che avevamo il suo totale sostegno».

Come a confermare la sua buona volontà, il capofamiglia ha fatto portare un pollo che girava nel cortile e l’ha offerto agli ospiti.

«Questo episodio ci ha aperto il cuore alla speranza - sottolinea suor Maria Luisa Caruso -. In questa regione a prevalenza islamica, come molti musulmani, anche quest’uomo aveva diverse mogli e molti figli. La sua testimonianza è stata la forma di promozione migliore che potessimo immaginare per la nostra campagna».  

«Da queste parti le persone credono ancora che la malattia derivi da una maledizione, per questo prima di andare in ospedale preferiscono rivolgersi ai guaritori locali - aggiunge suor Christine –. Quest’uomo era invece venuto da noi. La storia raccontata da lui stesso, davanti alle persone sulle quali esercitava un’evidente ascendente, è stata un riconoscimento importante del nostro ruolo».

Cercare e formare community leader nelle comunità rurali è la chiave di volta del progetto, il cui acronimo significa Gestione clinica, Responsabilità comunitaria, Informazione e Orientamento ai servizi sanitari nella lotta alla Tubercolosi (GRIOT appunto). Finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo attraverso il Global Fund (il partenariato internazionale istituito per combattere Hiv, malaria e tubercolosi), il progetto è promosso in qualità di ente capofila dall’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Sotto la supervisione del CeSI, il Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale, il programma unisce da un lato le competenze cliniche in epidemiologia e sanità pubblica della Facoltà di Medicina e del Policlinico Gemelli, e dall’altro la conoscenza approfondita del contesto locale delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, che vantano una lunga presenza nel Paese e gestiscono, con il sostegno della Fondazione Thouret, il centro ospedaliero Gala Gala a Ngaoundal, designato nel 2022 ospedale distrettuale abilitato alla cura della tubercolosi.

Un articolo di

Francesco Chiavarini

Francesco Chiavarini

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L’obiettivo di GRIOT è combattere la diffusione della malattia e, in particolare, contrastare l’aumento dei casi di tubercolosi extra-polmonare, che preoccupa ultimamente le autorità sanitarie locali. Le azioni previste comprendono campagne di prevenzione, screening sanitario della popolazione e prassi per il miglioramento della gestione clinica dei malati.

In Camerun, la tubercolosi è motivo di crescente preoccupazione. Secondo le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 2020 circa 46.000 persone hanno contratto la tubercolosi nel Paese, con 22.492 casi notificati. Di questi, oltre 11.000 erano anche affetti da HIV, posizionando il Camerun tra i 30 Paesi con il più alto tasso di coinfezione TB/HIV. I bambini rappresentano quasi il 5% di tutti i casi, molti dei quali con coinfezione TB-HIV.

La tubercolosi si trasmette per via aerea, attraverso le gocce di saliva emesse da un individuo contagioso quando starnutisce o tossisce. Ma il contagio può avvenire anche da animale a uomo per contatto o via alimentare.

Nelle zone rurali, tra gli allevatori, uno dei veicoli dell’infezione è proprio il latte munto da bovine contaminate. L’abitudine di consumarlo senza pastorizzazione o almeno bollitura espone la popolazione al contagio e mette a rischio i soggetti più fragili, tra cui i bambini, che più facilmente possono sviluppare la malattia.

Il governo camerunense ha varato un piano nazionale per l’eradicazione della tubercolosi entro il 2030, facendo propri gli obiettivi dell’agenda ONU per lo Sviluppo sostenibile. Inoltre, le autorità sanitarie mettono a disposizione gratuitamente i farmaci. Nonostante questo, tuttavia, l’accesso alle cure è ancora molto problematico. «In parte per ragioni strutturali, come la distanza degli ospedali e degli ambulatori dai villaggi dove la popolazione vive - osserva Massimo Antonelli, ordinario di Anestesiologia e Rianimazione della Università Cattolica della sede di Roma, che ha elaborato il progetto insieme al gruppo di lavoro medico. «Ma un ostacolo altrettanto importante – aggiunge il professore – è la diffidenza ancora radicata nella medicina ufficiale, per cui la popolazione si affida ai metodi tradizionali e, solo quando questi rimedi falliscono, allora prende in considerazione di raggiungere una struttura sanitaria».

In questo contesto diventa arduo realizzare anche uno screening sanitario della popolazione.

«Individuare i casi sospetti e curarli è decisivo: il trattamento farmacologico evita non solo che chi ha contratto il batterio sviluppi la malattia, ma anche che contagi qualcun altro. I farmaci antitubercolari, per altro, sono efficaci contro la diffusione dell’infezione già dopo pochi giorni dalla loro assunzione. Quindi distribuirli con tempestività tra gli infetti è decisivo anche sotto il profilo epidemiologico», sottolinea Patrizia Laurenti, professoressa associata di Igiene, responsabile scientifica di GRIOT.

Per sottoporre ai controlli le persone e educarle a evitare comportamenti a rischio, il progetto prevede di realizzare sei TB day in due anni nel distretto sanitario di Ngaoundal, dove l’incidenza dei casi di tubercolosi extra-polmonare è significativamente superiore a quella nazionale mentre il numero di strutture sanitarie presenti è ben al di sotto della media.

«Vedere morire bambini di tubercolosi è un’esperienza straziante – sottolinea la professoressa Laurenti che ha partecipato a ottobre al primo TB day pilota. Possiamo aiutare le autorità sanitarie locali ad evitarlo. Ma abbiamo bisogno prima di tutto di conquistare la fiducia della popolazione».

La speranza è che nei prossimi mesi tanti altri capifamiglia come quello incontrato da suor Christine decidano di sostenere la campagna anti-TB.

Nell’Africa occidentale “griot” è il termine francese con cui vengono indicati i cantastorie tradizionali che ancora hanno un ruolo centrale nella vita sociale, in particolare nelle aree rurali. «Avremmo bisogno di community leader altrettanto autorevoli», sottolinea Laurenti. «Solo con loro potremo fare per loro qualcosa di decisivo».

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