«Decine di milioni di api letteralmente scomparse nel nulla negli ultimi anni. Ed è una stima al ribasso perché mancano all’appello gli impollinatori selvatici. E quelle che ci sono, mostrano uno strano fenomeno: dimensioni ridotte e ridotta capacità lavorativa» una situazione preoccupante, quella descritta dalla professoressa Ilaria Negri, entomologa della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica, se consideriamo che le api sono bioindicatori di quello che succede nel nostro ambiente e che dagli impollinatori dipende il 70% della produzione agricola mondiale.
«I cambiamenti climatici, con l’aumento delle temperature e la diffusione di nuovi parassiti, stanno mettendo a rischio salute e sopravvivenza delle api, con effetti drammatici sulla sicurezza alimentare globale. Una delle sindromi più eclatanti è la sindrome da spopolamento degli alveari manifestata dal 2006 a partire dal Nord America e diffusasi poi in Europa. Su quasi 6000 apicoltori americani una colonia su 3 è morta».
Finiremo come in quella regione della Cina dove uno sconsiderato uso di pesticidi, ha fatto scomparire del tutto le api rendendo necessaria l’impollinazione a mano dei fiori degli alberi da frutto? «Il cambiamento di rotta - spiega Negri - è ancora possibile e può partire da ciascuno di noi. Anche perché uno dei fattori che più di tutti sta facendo crollare le api e gli altri impollinatori è la mancanza di cibo, cioè di fiori che danno nutrimento alle api. Le aree verdi in città e in campagna sono troppo spesso “deserti verdi”, senza fiori che danno nettare e polline e le api muoiono letteralmente di fame».