NEWS | 2 febbraio

Trasmettere la vita, speranza per il mondo

31 gennaio 2025

Trasmettere la vita, speranza per il mondo

Condividi su:

«Forse ci vogliono loro, i bambini, a ricordarci che la speranza, più che l’ultima a morire, è la prima a nascere». Sono parole di Roberto Maier, docente di Teologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che prendendo spunto dal Messaggio della CEI dedicato alla 47° edizione della “Giornata per la Vita”: «Trasmettere la vita, speranza per il mondo. “Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita”. (Sap 11, 26)» riflette sul valore della vita e sull’importanza della speranza come forza trainante per affrontare le sfide del presente e costruire un futuro migliore.


La risonanza che il tema dell’anno giubilare, la speranza, assume in questa giornata nazionale per la vita è di singolare ispirazione.

C’è una diffusa abitudine, talvolta anche nella retorica religiosa, a pensare alla speranza come all’ultima dea, all’ultima risorsa, quella che resta alla fine, quando tutte le strategie sono fallite. Quel che di vero c’è nell’affermazione secondo cui la speranza è l’ultima a morire, così, avvolge il tema con un’ombra di vecchiezza, come se si trattasse di una sorta di ultimo colpo di reni, con la rassegnazione e il disincanto sempre dietro l’angolo. Parlare di speranza in un mondo come il nostro, di cui ormai tutti – a partire dagli analisti più seri – continuano ad annunciare il tramonto, ci restituisce la stessa immagine: quasi una convulsione di un moribondo. Teniamo duro, tiriamo avanti, facciamo qualcosa prima che sia troppo tardi.

Forse ci vogliono loro, i bambini, a ricordarci che la speranza, più che l’ultima a morire, è la prima a nascere. Guardandoli, qualcosa ci dice che, di speranza, ne sanno più di noi, come se godessero di una vicinanza originaria e invidiabile. Come se la potessero toccare, come se la custodissero lì, nelle manine che incominciano a muoversi nello spazio o sotto i piedini che ancorano non reggono alcun peso, ma che presto li accompagneranno per il mondo.

Anche lei, la speranza, proprio come un bambino, non la si può produrre, la si può solo generare insieme. Non la si può pretendere «a ogni costo» (n. 8), la si può solo accogliere. Non si può decidere che volto avrà, la si può solo attendere come si fa con il primo sorriso di un figlio.

E, tuttavia, in questa attesa, tutt’altro che passiva, c’è molto da fare, c’è molto da preparare. Soprattutto, si deve essere pronti a tutto con lei, perché la speranza non è rassicurante come l’ottimismo: come un bambino, sa anche strillare. Hanno ragione i vescovi: la speranza, quella vera, non sarà tenera e mansueta come un cagnolino, ma esigente come un figlio: protesterà contro le ingiustizie, si ribellerà contro il cinismo, chiederà conto del nostro coraggio di opporci drasticamente al male e di non esserne complici. Avrà il coraggio di farci dire ai potenti del mondo che no, noi non ci stiamo.

Quando l’avremo fatto, scopriremo che la nostra stessa voce, di adulti seri, pacati e consapevoli, conservava ancora in sé le frequenze del riso di un bambino.

Un articolo di

Roberto Maier

Roberto Maier

Docente di Teologia - Università Cattolica

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti