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Lo scenario economico post-covid: quale exit strategy?

25 novembre 2021

Lo scenario economico post-covid: quale exit strategy?

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La crisi pandemica ha indotto i policymaker di tutto il mondo ad adottare politiche eccezionali, di natura sia fiscale sia monetaria. Il nostro paese e l’Europa non fanno eccezione: il governo italiano ha adottato una politica fiscale fortemente espansiva, anche facendo leva sulle ingenti risorse messe a disposizione dei paesi membri dalle iniziative europee. La Banca centrale europea ha ripreso i piani di acquisto di attività finanziarie su larga scala (dopo averli interrotti per un breve periodo nel 2019) e ha potenziato le operazioni di finanziamento a lungo termine al sistema bancario.

La prospettiva di un superamento dell’emergenza sanitaria, pur con le dovute cautele relative alle diverse “ondate” della pandemia, pone un quesito importante: quale sarà la strategia di uscita dalle politiche straordinarie messe in campo in reazione alla recente crisi? Il numero 3/2021 di Osservatorio monetario cerca di rispondere a questa domanda, concentrandosi su due aspetti cruciali: la sostenibilità del debito pubblico e il ritorno alla normalità nella gestione della politica monetaria.

Prima di affrontare tali problemi, partiremo dallo scenario macroeconomico con cui i policymaker, e tutti gli agenti economici in generale, si confronteranno nei prossimi anni. La progressiva rimozione delle misure di distanziamento ha favorito una robusta ripresa dell’economia europea nei trimestri centrali del 2021. La ripresa è stata assecondata dall’adozione di politiche di segno espansivo, che nel corso di quest’anno si sono sovrapposte alla ripresa legata alle riaperture, accentuando quindi la velocità del recupero della domanda. In diversi settori i ritmi di crescita della domanda hanno superato quelli dell’aumento dell’offerta, generando tensioni sui prezzi; tuttavia, l’ipotesi prevalente è che tali tensioni siano destinate ad essere superate nei prossimi mesi. L’economia italiana ha condiviso i tratti della congiuntura “a V” europea, descrivendo una contrazione più marcata nella fase dei lockdown e un rimbalzo maggiore al momento delle riaperture. La ripresa dei trimestri centrali del 2021 è alla base delle stime di una crescita vivace che si trascinerà nei risultati del 2022. Lo scenario governativo è caratterizzato da una crescita robusta, superiore al trend degli anni scorsi, anche nel 2023 e nel 2024.

Questa previsione è basata sulla capacità del nostro paese di realizzare gli investimenti e le riforme previsti dal Pnrr: solo a questa condizione, non banale, la maggiore crescita diventerà strutturale. Nel lungo periodo, la sostenibilità del debito pubblico italiano dipenderà in misura cruciale dal fatto che il sentiero di crescita del PIL si porti strutturalmente al di sopra di quello storicamente osservato nel nostro paese. Pur di perseguire una trasformazione dell’attuale rimbalzo economico in un processo duraturo di più elevata crescita economica, il governo italiano intende prolungare l’attuale politica fiscale espansiva, prevedendo una spesa pubblica addizionale per poco più di un punto di PIL nei prossimi tre anni. Tuttavia, è opportuno non nascondersi i rischi della politica espansiva perseguita dal governo, soprattutto per quello che riguarda la sostenibilità del debito. Questa dipende sostanzialmente da due fattori: il tasso di crescita futuro dell’economia e l’andamento del costo del debito. La scommessa del governo è che il primo aumenti in modo sostanziale nei prossimi anni e che il secondo resti invece molto basso.

Un contributo importante alla sostenibilità del debito pubblico viene dalla politica monetaria. La quota di debito pubblico italiano detenuta dall’Eurosistema supererà il 30% alla data prevista come termine del PEPP (marzo 2022). Nell’ipotesi che l’Eurosistema detenga fino alla scadenza i titoli acquistati, il Tesoro italiano beneficerà di un risparmio in conto interessi, grazie al meccanismo delle retrocessioni, su circa un terzo del suo debito per un periodo di sette anni. La forward guidance della Bce sembra escludere un aumento dei tassi di policy per il prossimo anno; in ogni caso, anche quando tale aumento verrà attuato, questo non comporterà una riduzione del portafoglio-titoli detenuto dall’Eurosistema.

Tra l’anno scorso e quest’anno, sia la Banca centrale europea sia Federal Reserve Bank statunitense hanno portato a termine la revisione delle rispettive strategie. Seppure dotata di un obiettivo simmetrico di inflazione, la nuova strategia della Bce non si configura come un vero e proprio average inflation targeting, adottato dalla Fed. Sotto questo profilo, essa si presenta più debole di quella della Fed e potenzialmente meno efficace nell’ancorare le aspettative inflazionistiche.

Negli USA, è possibile che l’andamento dell’inflazione e del prodotto nei prossimi mesi spingano la Fed a generare “sorprese”, anticipando il rialzo dei tassi d’interesse rispetto a quanto dichiarato lo scorso 3 novembre. Ciò esporrebbe i paesi emergenti a elevati rischi: l’inflazione in ripresa, unita alla debolezza del ciclo economico, all’elevato debito (per lo più in dollari) e a un limitato spazio di manovra per la politica fiscale, rende queste economie ancora oggi vulnerabili a fenomeni di capital reversal.

L’esperienza del taper tantrum del 2013 fornisce utili indicazioni al riguardo, anche se la situazione appare oggi meno fragile di allora, anche per il sostegno fornito dal FMI e dalla World Bank a questi paesi.

 

Un articolo di

Angelo Baglioni

Angelo Baglioni

Direttore Osservatorio Monetario

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