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Make America "America" Again

14 gennaio 2021

Make America "America" Again

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Il 20 gennaio Joe Biden presterà il giuramento e diverrà ufficialmente il quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti. Sul numero di “Presenza” in uscita, l’intervista completa al professor Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali alla facoltà di Scienze politiche e sociali e direttore dell’Alta Scuola in Economia e Relazioni internazionali (Aseri), sul nuovo corso che attende l’America finita l’era Trump e alle prese con una crisi della democrazia senza precedenti.

Restituire agli Stati Uniti il ruolo di guida mondiale nei rapporti internazionali. Il ruolo che la più grande democrazia del mondo ha sempre avuto sulla scena mondiale. “Make America America Again”, per parafrasare il motto tanto caro all’ormai ex presidente Donald Trump. Durante la sua presidenza, Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali alla facoltà di Scienze politiche e sociali e direttore dell’Alta Scuola in Economia e Relazioni internazionali (Aseri), aveva dato alle stampe “Titanic. Il naufragio dell’ordine liberale” (Il Mulino, 2018), dove analizzava le derive plutocratiche dell’America. Una lettura molto critica dello stato di salute degli Stati Uniti culminata col trumpismo. Ma l’elezione del 78enne Joe Biden alla Casa Bianca, come 46esimo presidente, potrebbe portare a un’inversione di tendenza.

«Chiariamo subito una cosa: Biden non è una minestra riscaldata» afferma il professor Parsi. «Il Partito Democratico ha puntato su un candidato di sintesi che è stato vicepresidente di Barack Obama, il più a sinistra dai tempi di Jimmy Carter. Da qui alle elezioni di metà mandato è importante che i democratici si consolidino su una piattaforma che non può essere la copia pallida dei repubblicani. La latitanza della sinistra è stato un problema per tutte le democrazie liberali: l’idea che si possano tutelare i diritti del lavoro fuori da un’agenda progressista è la più grande delle illusioni possibili. Le grandi stagioni di riformismo sono state quelle in cui le posizioni progressiste hanno attratto quelle culturali. Biden è da molti decenni in politica per saperlo: si troverà di fronte, innanzitutto, alla grande lotta per una riconquista dell’egemonia culturale. Per vincere la sfida, dovrà attuare una politica progressista a tutto tondo. Se commetterà l’errore di pensare che sia possibile essere conservatori eticamente ma progressisti sui diritti del lavoro, prenderà una grande facciata».

Siamo reduci da quattro anni in cui Trump ha sfidato l’ordine internazionale. Che cosa ci vorrà per rimodellare un sistema economico che è stato così radicalizzato?

Trump ha dato l’opportunità di mettere in luce le contraddizioni dell’alleanza tra il liberalismo come concezione economica, il neoconservatorismo come attacco alla cultura progressista e l’ordoliberalismo in salsa “hayekiana”, ovvero l’idea che si debbano conquistare le istituzioni dello Stato per impedire che vengano emanate norme contro gli interessi più forti. Ora si deve rimettere in equilibrio un sistema che si è trovato in disequilibrio non con Trump, ma negli ultimi quarant’anni: dobbiamo restaurare l’ordine mondiale liberale, arrivando a produrre un sistema che superi il capitalismo dei super-ricchi e il capitalismo di concessione cinese, russo o arabo. Bisogna tornare a un capitalismo consapevole della sua funzione parziale e a un liberalismo “embedded”, contenuto. Stiamo vivendo invece in un momento storico in cui è la democrazia a essere contenuta, affinché non disturbi i manovratori del capitalismo.

Che cosa dovrebbe fare il neopresidente?

Dovrà porre al centro il tema della disuguaglianza, gestendo una politica equilibrata in ambito economico. Non sarà facile, ma neppure il New Deal dopo la Grande Depressione del 1929 lo è stato rispetto agli strumenti a disposizione, però fu possibile una grande trasformazione perché quelle riforme presero di mira il problema strutturale dell’economia degli Stati Uniti. La politica deve lavorare sui grandi squilibri che si sono costruiti, e a tal proposito la Green Economy è uno strumento che può essere adoperato. Il sistema economico dev’essere ancillare al benessere del maggior numero delle persone. Non sarà un criterio soddisfacente, ma tutti gli altri criteri sono sicuramente peggiori.

Con Biden cambierà il rapporto con l’Unione Europea?

Lui è un sostenitore del multilateralismo all’americana. Trump diceva “Make America Great Again”, ma concettualmente lo dice anche Biden: chiunque è un leader di un Paese si preoccupa innanzitutto del suo Paese, altrimenti fa il Papa. La differenza consiste in che cosa faccia davvero grande un Paese. Secondo Biden, l’America è grande quando ha tanti alleati e guida gli altri, quando viene presa come un esempio, e quando utilizza il meno possibile la coercizione. L’interesse nazionale va costruito sulla base di una visione ampia e non angusta: questa è la differenza con Trump. Penso che con gli europei ci sarà quindi la possibilità di intendersi su molte questioni: una su tutte, per esempio, sarà l’agenda “green”, sulla quale però dovranno essere gli Stati Uniti a tornare sui loro passi.

Un articolo di

Emiliano Dal Toso

Emiliano Dal Toso

Scuola di Giornalismo

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