Oltre a Giorgio Simonelli, i maestri di cui parla Verri sono Enric Truno y Lagares, assessore del Comune di Barcellona tra il 1979 e il 1998, tra gli attori principali nell’organizzazione delle Olimpiadi del 1992 nella metropoli catalana, Valentino Castellani, sindaco di Torino dal 1993 al 2001, presidente del Comitato per l'organizzazione dei Giochi olimpici invernali di Torino 2006, e Stefano Rolando, direttore generale e capo dipartimento Informazione e editoria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri tra il 1985 e il 1995, poi direttore generale del Consiglio regionale della Lombardia tra il 1997 e il 2001.
«A Barcellona – racconta Enric Truno y Lagares – c’era tutto da fare. Venivamo da quarant’anni di dittatura franchista. Lo sviluppo urbanistico era molto disordinato, c’erano quartieri disastrosi, senza servizi. Era una città che dormiva, senza qualità urbana. D’altronde nel 1979 il focus non erano le città, ma la transizione dalla dittatura alla democrazia. Fu fondamentale sostenere la candidatura olimpica e ottenere di ospitare le Olimpiadi, nel 1986. Il modello a cui guardavamo era Bologna, ma anche Torino e Milano. Eravamo tutti giovanissimi, io avevo 29 anni, il sindaco 34 (Pasqual Maragall, ndr). Abbiamo imparato in fretta, e forse siamo stati più veloci di voi italiani».
Truno y Lagares ha lavorato anche a Torino, chiamato dal sindaco Valentino Castellani per la candidatura alle Olimpiadi invernali del 2006. «È stata un’avventura straordinaria – ricorda Castellani – forse la più importante della mia vita. Fare il sindaco della propria città è un’esperienza incredibile. Nel 1993, quando sono diventato sindaco, Torino viveva una crisi profonda. Era la classica città post-manifatturiera, depressa, in ginocchio. Aveva perso più di 80mila posti di lavoro in dieci anni, un po’ come Pittsburgh per tornare al libro di Verri, anche se gli strumenti utilizzati in Pennsylvania per uscire da quella crisi furono diversi rispetto al caso torinese. Il primo obiettivo fu dare alla città un piano regolatore. Gradualmente abbiamo indentificato nella cultura uno dei pilastri dello sviluppo della città. Le città sono fatte anche di sogni e di paure, non solo di economia. Conta la percezione delle persone che ci vivono. Le città sono i laboratori del futuro, avere dei sogni oppure essere assillato dalle paure dà o toglie energia alla partecipazione e alla costruzione del consenso».
«Il problema delle città – commenta Stefano Rolando – è avere competenze spesso alte e qualificate ma frammentate. Il ruolo del sindaco è leggere le interdipendenze. Questo libro racconta bene la complessità della visione d’insieme. E in esso si possono trovare anche tratti comuni tra le diverse città, soprattutto guardando ai problemi rimasti irrisolti. Ma sono ancor più importanti le due domande che il libro pone: che cosa serve alle città per organizzare una classe dirigente del futuro capace di un pensiero condiviso e, ancora, come cambia nel tempo la visione di questo tema».
Tra i relatori, Paola Abbiezzi, direttore didattico del master Comunicare lo Sport, Paolo Dalla Sega, fondatore del master Eventi e comunicazione per la cultura, Luca Monti, coordinatore del master Mec e Mariagrazia Fanchi, direttore dell’Almed, che pone l’accento sul «riferimento al futuro» come cifra più interessante. «Il libro consegna un modello di cambiamento, che poggia su reti fatte di persone, e la dimensione dell’evento sportivo funziona come un trigger, un punto di attivazione. Il cambiamento viene condiviso attraverso la rete, passando così ad altri luoghi e generando una reazione di cambiamenti positivi: ecco quindi la legacy». Prima di tornare tra i chiostri, Verri cita Erodoto. «Parlando del presente e del futuro delle città nelle sue Storie, il primo storiografo scrive: “Quelle che erano grandi dovranno fronteggiare sicure crisi, e quelle che sono piccole potranno diventare potenti e dominatrici”. Ventitré secoli di storia ci tranquillizzano: ci sarà sempre lavoro per chi si occupa di città».