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Nove città in cerca di futuro

08 aprile 2022

Nove città in cerca di futuro

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C’è un porta occhiali in pelle sulla cattedra dell’aula 242, un centinaio di posti a sedere dietro la grande vetrata affacciata su via Lanzone, nel cuore di Milano. Sulla custodia, il disegno di un mappamondo colorato. L’occhio attento di Giorgio Simonelli, docente di Teoria e tecniche del linguaggio giornalistico, lo nota. «Non poteva che essere tuo», dice a Paolo Verri, designer e manager di importanti eventi tra cultura e sport come il Salone internazionale del libro di Torino, le Olimpiadi invernali di Torino 2006, il padiglione Italia a Expo Milano 2015, Matera Capitale Europea della Cultura 2019, Ocean Race Genova 2022-2023. Verri è al centro del tavolo dei relatori moderato da Simonelli per l’open lecture del master Comunicare lo Sport e del master Eventi e comunicazione per la cultura (Mec) dell’Alta Scuola in Media, comunicazione e spettacolo (Almed).

Una lezione aperta nella quale è stato presentato il suo ultimo libro Il paradosso urbano. Nove città in cerca di futuro (Egea, 2022). «Ho conosciuto Paolo – racconta Simonelli – quando lui era uno studente della Cattolica e faceva il pendolare da Torino. Tra il Piemonte e Milano non c’era l’alta velocità e i due capoluoghi non erano così vicini come oggi. Ascoltai Paolo mentre intratteneva altri studenti riuniti in crocchio raccontando un meraviglioso viaggio su un traghetto nel Baltico. Visto che la passione per i viaggi ci accomuna, mi fermai. Ho ripensato a questo buffo modo di conoscerci leggendo il suo libro, che tra le altre cose è anche un libro di viaggi. Paolo ha scelto di raccontare nove storie diverse, quelle di Barcellona, Torino, Pittsburgh, Lione, Milano, Istanbul, Tokyo, Wroclaw e Matera».

Città d’Italia, d’Europa e del mondo che hanno affrontato crisi, attuato strategie innovative e raggiunto risultati diversi e importanti. Secondo Verri, se nel 2030 il nove per cento della popolazione mondiale abiterà nelle 33 città più grandi del mondo «sarà centrale non tanto competere quanto scambiarsi buoni progetti e buone informazioni. Voi – dice, parlando agli studenti dei due master della Cattolica – avete davanti 15 anni straordinari per riposizionare il sistema urbano, il sistema sportivo e quello della comunicazione. Avete il futuro nelle vostre mani, a noi tocca costruire la cinghia di trasmissione. Avete l’opportunità di tenere insieme l’umanesimo e la tecnologia, che Benedetto Croce e Giovanni Gentile cento anni fa separarono in maniera devastante. Ma la realtà ha riavvicinato questi due elementi e li ha resi ineludibili. L’incrocio tra l’innovazione tecnologica e il sapere umanistico rende l’Italia unica e al servizio del sistema mondiale. L’unica nazione altrettanto adeguata a farlo è forse il Giappone, non a caso chiudo il libro parlando di Tokyo».

Verri racconta, nel libro come in aula, la sua visione della nuova dimensione urbana, che fa concentrare dentro di sé decine di nuovi lavori. E poi parla del suo lavoro, che lo ha portato in molte delle città descritte nel libro. «È sempre stato difficile definire la mia professione. Non mi piace parlare di me come un esperto urbano, preferisco autodefinirmi urban practitioner perché il termine inglese è più affine al tema del divertimento. Ho avuto tanti maestri, e sono molto contento che oggi molti di loro siano qui. Proprio dove mi sono laureato, tanti anni fa, con una tesi dal titolo “Libri e televisione: una storia difficile”, pubblicata dalla Rai. Per me questo libro è una seconda tesi di laurea».


Oltre a Giorgio Simonelli, i maestri di cui parla Verri sono Enric Truno y Lagares, assessore del Comune di Barcellona tra il 1979 e il 1998, tra gli attori principali nell’organizzazione delle Olimpiadi del 1992 nella metropoli catalana, Valentino Castellani, sindaco di Torino dal 1993 al 2001, presidente del Comitato per l'organizzazione dei Giochi olimpici invernali di Torino 2006, e Stefano Rolando, direttore generale e capo dipartimento Informazione e editoria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri tra il 1985 e il 1995, poi direttore generale del Consiglio regionale della Lombardia tra il 1997 e il 2001.

«A Barcellona – racconta Enric Truno y Lagares – c’era tutto da fare. Venivamo da quarant’anni di dittatura franchista. Lo sviluppo urbanistico era molto disordinato, c’erano quartieri disastrosi, senza servizi. Era una città che dormiva, senza qualità urbana. D’altronde nel 1979 il focus non erano le città, ma la transizione dalla dittatura alla democrazia. Fu fondamentale sostenere la candidatura olimpica e ottenere di ospitare le Olimpiadi, nel 1986. Il modello a cui guardavamo era Bologna, ma anche Torino e Milano. Eravamo tutti giovanissimi, io avevo 29 anni, il sindaco 34 (Pasqual Maragall, ndr). Abbiamo imparato in fretta, e forse siamo stati più veloci di voi italiani».

Truno y Lagares ha lavorato anche a Torino, chiamato dal sindaco Valentino Castellani per la candidatura alle Olimpiadi invernali del 2006. «È stata un’avventura straordinaria – ricorda Castellani – forse la più importante della mia vita. Fare il sindaco della propria città è un’esperienza incredibile. Nel 1993, quando sono diventato sindaco, Torino viveva una crisi profonda. Era la classica città post-manifatturiera, depressa, in ginocchio. Aveva perso più di 80mila posti di lavoro in dieci anni, un po’ come Pittsburgh per tornare al libro di Verri, anche se gli strumenti utilizzati in Pennsylvania per uscire da quella crisi furono diversi rispetto al caso torinese. Il primo obiettivo fu dare alla città un piano regolatore. Gradualmente abbiamo indentificato nella cultura uno dei pilastri dello sviluppo della città. Le città sono fatte anche di sogni e di paure, non solo di economia. Conta la percezione delle persone che ci vivono. Le città sono i laboratori del futuro, avere dei sogni oppure essere assillato dalle paure dà o toglie energia alla partecipazione e alla costruzione del consenso».  

«Il problema delle città – commenta Stefano Rolando – è avere competenze spesso alte e qualificate ma frammentate. Il ruolo del sindaco è leggere le interdipendenze. Questo libro racconta bene la complessità della visione d’insieme. E in esso si possono trovare anche tratti comuni tra le diverse città, soprattutto guardando ai problemi rimasti irrisolti. Ma sono ancor più importanti le due domande che il libro pone: che cosa serve alle città per organizzare una classe dirigente del futuro capace di un pensiero condiviso e, ancora, come cambia nel tempo la visione di questo tema».  

Tra i relatori, Paola Abbiezzi, direttore didattico del master Comunicare lo Sport, Paolo Dalla Sega, fondatore del master Eventi e comunicazione per la cultura, Luca Monti, coordinatore del master Mec e Mariagrazia Fanchi, direttore dell’Almed, che pone l’accento sul «riferimento al futuro» come cifra più interessante. «Il libro consegna un modello di cambiamento, che poggia su reti fatte di persone, e la dimensione dell’evento sportivo funziona come un trigger, un punto di attivazione. Il cambiamento viene condiviso attraverso la rete, passando così ad altri luoghi e generando una reazione di cambiamenti positivi: ecco quindi la legacy». Prima di tornare tra i chiostri, Verri cita Erodoto. «Parlando del presente e del futuro delle città nelle sue Storie, il primo storiografo scrive: “Quelle che erano grandi dovranno fronteggiare sicure crisi, e quelle che sono piccole potranno diventare potenti e dominatrici”. Ventitré secoli di storia ci tranquillizzano: ci sarà sempre lavoro per chi si occupa di città».

Un articolo di

Francesco Berlucchi

Francesco Berlucchi

Cattolicaper lo Sport

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