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Papa Ratzinger: grande uomo, fine teologo e straordinario pontefice

31 dicembre 2022

Papa Ratzinger: grande uomo, fine teologo e straordinario pontefice

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La figura di Joseph Ratzinger ha segnato la vita della Chiesa a cavallo tra il secondo e il terzo millennio. Non solo per il pontificato e l’inaspettata decisione di dimettersi. La sua persona ha attraversato le vicende più rilevanti del cammino della Chiesa dal Concilio Ecumenico Vaticano II ai nostri giorni. Ed è proprio dal Concilio che occorre partire per comprendere il ruolo e il contributo dato da Ratzinger alla vita della Chiesa. Invitato alla grande assise conciliare come teologo, giovane ma già noto, ha contribuito con i suoi studi e le sue ricerche a far emergere la visione di una Chiesa comunionale, incentrata sul mistero di Cristo, capace di dialogo con il mondo e dotata di un forte slancio missionario. I suoi manuali di teologia fondamentale e dogmatica sono stati tra i più seguiti e utilizzati per la formazione teologica sia perché capaci di offrire una chiara e convincente ermeneutica dei testi conciliari sia per la ricchezza dei contenuti e la freschezza del linguaggio. Anch’io mi sono formato nel corso degli studi teologici e della preparazione al sacerdozio sui suoi testi. Ricordo come negli anni Settanta e Ottanta sia stato, anche per la mia ricerca teologica, uno degli autori di riferimento assieme a Congar, De Lubac e von Balthasar

Quando nel 1981 San Giovanni Paolo II, che verso di lui nutriva una grande stima sia come raffinato teologo sia come pastore saggio e prudente, lo chiamò a Roma come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, si capì subito che avrebbe dato un significativo contributo all’approfondimento della fede attraverso una ricerca ancorata alla tradizione e, nello stesso tempo, capace di confrontarsi con le istanze della modernità. Il suo sguardo teologico, sempre originale e mai scontato, invitava sempre gli interlocutori ad allargare gli orizzonti della ragione per entrare sempre più nelle profondità del mistero cristiano. Di questo periodo ho un ricordo particolare che mi ha molto colpito e che ha segnato anche il mio ministero. Quando nel 2002 ero Direttore dell’Ufficio nazionale della Conferenza Episcopale Italiana per le comunicazioni sociali, mi trovai ad organizzare il grande Convegno “Parabole Mediatiche” che si chiudeva in Aula Paolo VI con l’intervento del Santo Padre. Nella sessione che precedette l’udienza, invitai il Cardinal Ratzinger a tenere una relazione di fronte a ottomila operatori della comunicazione e della cultura. Attingendo ai Padri della Chiesa, affascinò l’Assemblea parlando dell’incisione dei sicomori per spiegare il rapporto tra fede e cultura. 

Tutti rimasero profondamente colpiti dall’efficacia dell’esempio, tratto da un testo di san Basilio, e dalle riflessioni che ebbe modo di offrire ai convenuti su un tema assai complesso e di grande attualità. Quell’esempio esprime anche il suo profilo culturale e la sua attitudine teologica per cui è interessante ricordarlo. «Il sicomoro è un albero che produce moltissimi frutti. Ma non hanno alcun sapore, se non li si incide accuratamente e non si lascia fuoriuscire il loro succo, cosicché divengano gradevoli al gusto». Con tale metafora - spiegava - si vuole indicare che mediante l’incisione, realizzata grazie al Logos, è stato messo in salvo ciò che di essenziale e di vero era presente nella cultura antica e pagana. Concludeva l’allora Cardinal Ratzinger: «Mediante l’incisione nel sicomoro della cultura antica i Padri l’hanno nel complesso messa in salvo per noi e trasformata da strumento marcio in un frutto grandioso» (9 novembre 2002). 

Il frutto saporito del sapere umano illuminato dalla fede in Gesù Cristo è stato coltivato con grande passione e competenza da Papa Ratzinger sia durante gli studi e le ricerche teologiche sia nel corso del suo pontificato. Attraverso encicliche come la Deus caritas est (2006) e la Caritas in veritate (2009) e discorsi di grande respiro teologico e culturale, come quello di Ratisbona (12 settembre 2006) o quello rivolto al mondo della cultura tenuto a Parigi presso il Collège des Bernardins (12 settembre 2008), Benedetto XVI ha offerto alla Chiesa e al mondo una testimonianza efficace e credibile di come la fede sia in grado di dialogare con tutti i saperi e di illuminare con il mistero di Cristo la vita degli uomini e le vicende della storia. Tra le sue opere più importanti pubblicate durante il pontificato devono essere ricordati soprattutto i tre volumi dedicati a tematiche cristologiche. Gesù di Nazaret (2007); Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione (2011); L’infanzia di Gesù (2012). Con il suo stile, rigoroso dal punto di vista scientifico e sempre chiaro nell’esposizione, riesce a dare una visione della figura e della missione di Gesù Cristo che risulta affascinante sia per gli studiosi sia per chi vuole accostarsi ad una conoscenza approfondita del mistero di Cristo. 

Oltre ad aver sempre apprezzato i suoi scritti e il suo insegnamento magisteriale, sono personalmente legato a Benedetto XVI anche per avermi chiamato a svolgere il ministero episcopale nominandomi vescovo della Diocesi di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia il 22 febbraio del 2007. Ho svolto il ministero episcopale nella Diocesi marchigiana a partire dal 31 marzo 2007 fino al 26 febbraio 2013 quando lo stesso Pontefice mi ha nominato Assistente Ecclesiastico Generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. È stata la sua ultima nomina, prima di lasciare il ministero petrino (28 febbraio) a seguito dell’annuncio fatto l’11 febbraio 2013. A questo incarico il Pontefice mi ha chiamato proprio per rafforzare e animare, dal punto di vista culturale e pastorale, il rapporto tra ragione e fede e il dialogo tra i diversi saperi e la teologia, dimensioni coltivate con grande impegno e abbondanti frutti nell’Università fondato da Padre Agostino Gemelli e dai suoi collaboratori oltre un secolo fa. 

All’Ateneo dei cattolici italiani, del resto, Benedetto XVI ha prestato sempre particolare attenzione, rivolgendo importanti discorsi, come quello fatto in occasione del novantesimo anniversario della fondazione. In quella circostanza affermava: «La prospettiva cristiana, come quadro del lavoro intellettuale dell'Università, non si contrappone al sapere scientifico e alle conquiste dell’ingegno umano, ma, al contrario, la fede allarga l'orizzonte del nostro pensiero, è via alla verità piena, guida di autentico sviluppo». E proseguiva «fede e cultura sono grandezze indissolubilmente connesse, manifestazione di quel desiderium naturale videndi Deum che è presente in ogni uomo. Quando questo connubio si infrange, l’umanità tende a ripiegarsi e a rinchiudersi nelle sue stesse capacità creative. È necessario, allora, che in Università abiti un’autentica passione per la questione dell'assoluto, la verità stessa, e quindi anche per il sapere teologico, che nel vostro Ateneo è parte integrante del dispositivo curricolare. Unendo in sé l’audacia della ricerca e la pazienza della maturazione, l’orizzonte teologico può e deve valorizzare tutte le risorse della ragione» (Aula Paolo VI, 21 maggio 2011).  

Una visione e un’esortazione che in questi anni hanno guidato il mio ministero in una Università che cerca di declinare il suo essere “Cattolica” in modo dinamico per proporre percorsi di formazione originali e progetti di ricerca innovativi. Un approccio che consente di far emergere tutta la fecondità del dialogo tra scienza e fede, soprattutto per quanto concerne la visione dell’uomo e della società, preparando così le nuove generazioni ad affrontare le grandi sfide del nostro tempo: dalla sostenibilità ambientale alla costruzione di una convivenza fraterna tra i popoli, dalla realizzazione di una economia inclusiva per lo sviluppo integrale di tutti i popoli e dei più poveri fino alla promozione della pace e della giustizia a servizio del bene comune. La spinta data da Benedetto XVI all’approfondimento della fede attraverso la ragione, come espressione irrinunciabile per un autentico annuncio del Vangelo, costituisce uno dei lasciti più rilevanti della sua opera e del suo pontificato. 

Concludo con un piccolo aneddoto che aiuta a comprendere la sensibilità di Benedetto XVI e la sua ampiezza di vedute. Mi ritrovai a parlare con il Pontefice pochi mesi dopo la nomina a Vescovo di Macerata e feci presente che nel 2010 si sarebbe celebrato il IV centenario della morte di Padre Matteo Ricci, il grande gesuita apostolo della Cina.  Rimase colpito da questa mia comunicazione e mi disse: «Padre Matteo Ricci è una delle figure più importanti nella storia della Chiesa. Bisogna riscoprirlo e farlo conoscere perché il suo modello di evangelizzazione della cultura è stato profetico ed è attualissimo anche per l’odierna missione della Chiesa». Concetti che poi riprese e approfondì in lettere e discorsi fatti per tale ricorrenza. Segnalando poi alcune difficoltà per la ripresa della Causa di Beatificazione avviata nel 1983, mi disse ancora: «È troppo importante. Scriverò io stesso alla Congregazione per le cause dei santi». Così fece e la causa riprese il suo percorso. Proprio lo scorso 17 dicembre, Papa Francesco ha firmato il decreto che riconosce le virtù eroiche di Padre Matteo Ricci divenuto così venerabile. Un piccolo fatto, ma indicativo della personalità di Papa Ratzinger. Con lui certamente Dio ha donato alla Chiesa e all’umanità un grande uomo, un fine teologo e uno straordinario successore di Pietro.

Un articolo di

Claudio Giuliodori

Claudio Giuliodori

Assistente Ecclesiastico Generale - Università Cattolica

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