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Perché non c’è impresa senza umanesimo

08 giugno 2024

Perché non c’è impresa senza umanesimo

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Un nutrito gruppo di letterati, guidati dal preside della Facoltà di Lettere e filosofia, professor Andrea Canova, con diversi economisti ed esponenti del mondo delle imprese, presente la professoressa Elena Beccalli, preside della Facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative, si sono interrogati sul rapporto non sempre facile tra umanesimo, cultura e attività d’impresa, un rapporto certo auspicabile ma dalle modalità attuative ancora da esplorare e da definire.

L’interrogarsi su tale tema nasce da un’idea (e un impegno) dei professori della Facoltà di Lettere – lo scrittore Giuseppe Lupo e il filosofo della scienza Franco Giudice – finalizzata ad individuare un metodo per l’ingresso degli studenti nel mondo del lavoro.

Lupo, introducendo l’incontro, ha definito delicato questo connubio, «che potrebbe sembrare scontato ma non lo è, perché i due mondi continuano a rimanere distinti anche se la letteratura presenta personaggi come Galilei, Leonardo, Leon Battista Alberti, i quali hanno dimostrato che tale incontro è possibile».

Per Franco Giudice si tratta di rilanciare un nuovo paradigma che pur esiste nella nostra cultura ma sottotraccia. «Occorre trovare un ponte tra cultura di impresa, considerata il male assoluto, e umanesimo grazie ad una “cultura diffusa” che entri nel mondo delle imprese, con una cultura umanistica venata di cultura scientifica e le conseguenti ricadute in campo etico».

Le riflessioni da parte accademica relative all’economia sono state affidate alla professoressa Ivana Pais, sociologa dell’economia, che ha definito la progettualità del seminario su umanesimo e impresa non interdisciplinare ma transdisciplinare «in quanto favorisce la contaminazione di idee finalizzata alla formazione ed è più coerente il radicamento tra fenomeni economici e sociali per analizzare le interdipendenze».

Il punto di vista delle imprese è stato affrontato da Antonio Alunni, presidente del Gruppo Tecnico Cultura di Confindustria, che ha confermato che serve l’umanesimo nell’impresa consistente nel fatto che l’azienda deve prendersi cura della persona: «Soprattutto oggi, prima del mercato è importante per le imprese trovare personale, attrarre figure necessarie e fidelizzate. L’umanesimo è un fattore competitivo ed è legato al compito dell’azienda di valorizzare le persone come tali, al di là della loro formazione, e portare i collaboratori ad aprirsi al mondo e così attrarre talenti e mantenerli». E ancora: «Il mondo del lavoro è fondamentale per la definizione della persona che, insieme alle sue relazioni, va messa sempre al centro, anche in un mondo di alta tecnologia. Mi ha stupito una indagine dalla quale emerge che per i giovani il lavoro è all’ottava posizione tra le cose più importanti. Si tratta di una visione che genera perplessità: chi vive di impresa sa qual è l’importanza del lavoro inteso umanisticamente come cura perché il lavoro è fattore fondamentale nella vita di una persona e dal lavoro derivano una serie di elementi importanti per l’esistenza».

Circa il dialogo tra impresa e umanesimo e il ruolo dell’impresa come attore sociale, culturale ed economico, Antonio Calabrò, presidente di Museimpresa, ha detto che la ragione del dialogo è più profonda: «Perché un imprenditore fonda un’impresa? Non è solo per sete di guadagno. Imprenditore è chi ha una idea e vuole realizzare un servizio o un prodotto diverso da come è stato realizzato prima». Così ha definito l’imprenditore un “eretico”, in quanto ha una grande voglia di cambiamento, va oltre quanto già in uso e utilizza i contesti per una profonda trasformazione sociale. «Oltre il profitto, per fare una impresa occorrono caratteristiche attinenti alla natura umana: passione, sensibilità per contesti e persone, intelligenza del cuore». Solo così si può sperimentare il fascino di una novità che trasforma assetti sociali, politici e aspettative. «Bisogna coinvolgere persone, avere capacità di persuasione e di creare aspettative sapendo che i conflitti generano soluzioni».

In questo contesto quale può essere il ruolo dell’università, rispetto ad un futuro per il quale non si hanno tutti gli aspetti propositivi? Diviene importante per Calabrò «formare persone che sappiano affrontare i problemi, dare le conoscenze e non necessariamente competenze specifiche che si acquisiranno nel mondo del lavoro. L’università, infatti, deve fornire gli strumenti per le risposte».

I tanti spunti emersi hanno accentuato un confronto che non chiude la riflessione ma la apre per un percorso che proseguirà anche prossimamente, come ha auspicato il professor Lupo. Il preside Canova ha concluso affermando che nel contesto della dialettica tra saperi umanistici e scientifici “l’umanismo è l’inizio del sapere scientifico”: «Se sono chiare le idee sull’impresa, va invece approfondito il concetto di umanesimo e in cosa può essere utile nell’attuale contesto altamente tecnologico. Del resto, come aveva detto Montale, “chi più di un poeta può immaginare una macchina da scrivere?».

Un articolo di

Agostino Picicco

Agostino Picicco

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