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Sanremo, colonna sonora di 70 anni di Italia

10 febbraio 2023

Sanremo, colonna sonora di 70 anni di Italia

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Perché Sanremo è Sanremo. Questo titolo fu coniato nel 1995 dal magnifico trio Caruso, Baudo, Bardotti per un geniale tormentone che ha lasciato un segno indelebile nella storia del Festival. Fu un grande successo melopoetico grazie un’abile miscela di risorse compositive, capaci di sintetizzare - come meglio non si potrebbe - il cuore creativo e culturale della competizione sanremese: “Io sogno una canzone che dica tante cose, […] / però poi mi innamoro / di un ritornello scemo/ […]. Fiumi di parole sono tutti uguali / ma qualcuno di loro ha delle piccole ali”. 

Proprio in questi versi sta il significato dell’aggettivo “melopoetico”, che designa il matrimonio - antico come l’umanità, ma sempre sorprendentemente rinnovato - tra musica e lingua, celebrato nel rito nuziale di “una canzone che dica tante cose” e in cui convivono la musicalità (apparentemente) insensata di un “ritornello scemo” e la semantica ridondante di “fiumi di parole […] tutti uguali”.  Tale rito è sempre stato la radice del Festival, la costante della sua evoluzione, la strategia di ogni sua manifestazione, l’obiettivo di tutte le sue edizioni. 

Ho scritto “è sempre stato”. Ma sarà (ancora) vero? Per approfondire la questione ho trasformato in interrogativa la forma affermativa del titolo del suddetto tormentone e Perché Sanremo è Sanremo? è diventato l’intestazione di una serie di Tre seminari melopoetici su canzoni che hanno vinto il Festival: nella prima edizione, il sottoscritto e il suo gentile e collaborativo pubblico hanno cooperato nell’analizzare melopoeticamente e interpretare (in tutti i sensi, anche canori!) Luce (Tramonti a Nord Est) di Elisa (2001), Occidentali’s Karma di Francesco Gabbani (2017) e Zitti e buoni dei Måneskin (2021). 

Queste alcune linee-guida (non negoziabili) che ci hanno guidato in ciascuno dei tre seminari.
Di fronte a una canzone ci si chiede spesso: prima la musica o prima le parole? Ne ragionò anche Antonio Salieri in un “divertimento teatrale” rappresentato per la prima volta nel 1786, il cui titolo non lascia adito a dubbi: Prima la musica e poi le parole. Il nostro tempo non mostra tale granitica certezza ed è aperto alle più diverse modalità di gestione del loro rapporto (simbiosi, convivenza, conflitto, incompatibilità, ecc.): dipende dal progetto compositivo e comunicativo di ogni canzone, la cui comunità creativa (musicista, paroliere, arrangiatore, produttore, ecc.) opera scelte specifiche e ineludibili anche in ambiti che Edward Said indicò sinteticamente come “packaging, commodification, and reification”, lamentando il fatto che tali ambiti “have overtaken much of what is happiest, most fulfilling about the art of music” (Musical Elaborations, 1991).   

Quale che sia la risposta all’interrogativo “prima la musica o prima le parole?”, in ogni caso tutto il resto viene dopo: gestualità, coreografia, abbigliamento, trucco, supporto scenografico, proiezioni video, componenti olfattive, quisquilie, bazzecole e pinzillacchere di ogni tipo, natura e formato. Ciascuna delle tre canzoni analizzate e interpretate ha confermato l’efficacia di tale approccio: in estrema sintesi, le due versioni (in inglese e in italiano) del brano di Elisa adottano soluzioni melopoetiche differenti che sono rispecchiate nei due video ufficiali; il karma del brano di Gabbani si fonda sull’impiego di un ostinato nella strofa, la cui assenza nel ritornello è efficacemente rimarcata anche dalle scelte registiche del video; il “chiaro di luna” del pezzo dei Måneskin propone una contrapposizione tra la graduale semplificazione delle risorse musicali e la testualità ermetica ed evasiva della strofa centrale, alla quale corrisponde la relazione conflittuale tra gli spazi angusti rappresentati nel video e i movimenti (trasgressivi) dei quattro componenti della band. 

La risposta all’interrogativo Perché Sanremo è Sanremo? non può che venire dalla consapevolezza - fondata su un impegno intellettuale, cognitivo, culturale, ecc. - che anche la pop(ular) music è innanzitutto cultura melopoetica “da ascoltare” e comprendere, alla quale le componenti “da vedere” (cioè di spettacolo) offrono un contributo integrativo ma mai egemone. Per questo Sanremo è Sanremo (o dovrebbe/vorrebbe esserlo): perché è la colonna sonora di settant’anni di storia d’Italia e, come suggerisce la cultural musicology, le colonne sonore offrono sempre risorse rivelatrici, talora inquietanti, ma mai scontate.  
 

Un articolo di

Enrico Reggiani

Enrico Reggiani

docente di Letteratura inglese e direttore dello Studium Musicale di Ateneo

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