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Sicurezza alimentare in Africa subsahariana, l'apporto della microbiologia

21 maggio 2022

Sicurezza alimentare in Africa subsahariana, l'apporto della microbiologia

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La corsa alla sostenibilità nell’Africa subsahariana viaggia anche attraverso le ricerche di microbiologia. Chiara Misci, 33 anni, dopo avere studiato biotecnologie in Bicocca e all’università di Firenze ha scelto la Scuola di dottorato per il sistema agroalimentare Agrisystem dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. «Ho capito che mi sarebbe piaciuto lavorare nel settore delle fermentazioni - spiega Misci - e quando mi sono affacciata al mondo del lavoro ho compreso che, in parecchi ruoli, era richiesto il dottorato da microbiologo molecolare. Ho così colto l’opportunità offerta dalla scuola Agrisystem».

Il titolo della sua ricerca è “Fermentation of African indigenous leafy vegetables to promote food safety and food security”. «Il mio progetto era parte di uno più grande - dice Misci - il quale aveva l’ambizione di delineare la sostenibilità della fascia subsahariana del continente africano, in modo particolare di Kenya e Tanzania».

Una sostenibilità declinata attraverso tante prospettive: da quella antropologica a quella economica, dal versante giuridico a quello microbiologico. Su quest’ultimo si è naturalmente concentrato il Dipartimento di microbiologia dell’Università Cattolica.

L’obiettivo che si è posta la ricerca di Chiara Misci è di ridimensionare problematiche quali la malnutrizione e l’insicurezza alimentare, ponendo il focus sulle verdure a foglia indigene africane (Ailv), il cui utilizzo è cresciuto negli ultimi decenni nell’Africa sub-sahariana. Queste piante prosperano in condizioni di siccità e in suoli poveri di nutrienti; inoltre sono ricche in micronutrienti fondamentali per la dieta. La ricerca parte dal presupposto che negli anni, l’interazione tra le Ailv - vigna unguiculata (fagiolo dall’occhio), corcoro, la pianta di amaranto - e i microorganismi è stata sottovalutata.

«Abbiamo valutato lo stato di fertilità dei suoli dal punto di vista di diversità microbiologica ed enzimatica - entra nel merito la ricercatrice - cercando di comprendere l’uso delle verdure a foglia indigene per capire come negli ultimi 25 anni sia avvenuta la loro distribuzione, se il loro consumo sia stato incrementato, il tutto in relazione al rischio alimentare, tenendo presente i problemi legati alla presenza di micro organismi potenzialmente patogeni».

Due i termini attorno ai quali ruota lo studio: Food safety - «la sicurezza dell’alimento in fatto di salubrità, la presenza o meno di virus e batteri» - e Food security: «la sicurezza alimentare dovuta alla disponibilità di ciò che si mangia, la possibilità quindi di accedere agli alimenti». «In questo - fa presente Misci - i micro organismi sono coinvolti, deteriorano l’aspetto finale del prodotto e ne possono accorciare il tempo di conservazione».

Il lavoro sul campo ha portato Misci in Tanzania e in Kenya. «Abbiamo analizzato i suoli di piccoli agricoltori e valutata la fertilità del suolo in Tanzania, dove abbiamo constatato la presenza di suoli intensamente sfruttati, dal punto di vista economico, paragonabili a quelli europei, abbiamo studiato poi i campi convertiti a suolo agricolo, e quelli in cui si coltivano verdure a foglia per capire se possano portare benefici alla fertilità del suolo. Le piante hanno portato dei benefici nel mantenimento della biodiversità per la popolazione subsahariana.

«Le comunità microbiche possono influire sulla salute delle piante e del consumatore - continua Misci - con risvolti sulla fertilità dei suoli e sulla conservazione del prodotto finale. Perciò, in questa tesi l’interazione tra Ailv e microorganismi è stata presa in considerazione, rilevando come la coltivazione di queste piante abbia apportato benefici alle comunità microbiche nel suolo. Inoltre, per ridurre la crescita di batteri contaminanti sulle foglie e prolungare così la conservazione del prodotto, le Ailv sono state sottoposte a fermentazione naturale, utilizzando strumenti poco costosi e conservanti accessibili».

Terminato il dottorato, Misci ha ora un assegno di ricerca in Università Cattolica per lavorare su di un progetto di protezione e nutrizione dei campi di pomodoro con metodi microbiologici. «Ma è giunta un’opportunità di lavoro chiude - che mi porterà in Repubblica Dominicana a lavorare sulla fermentazione del cacao bianco».

Un articolo di

Redazione

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