C’è un luogo comune da sfatare: che il detenuto in carcere si trovi in un Grand Hotel dove fa la bella vita. Lo hanno capito le studentesse del collegio Paolo VI confrontandosi il 31 marzo con il tema del “Sistema delle carceri in Italia: crisi da sovraffollamento, rieducazione, impatto della pandemia”, nell’ambito del Percorso dei Collegi in Campus col quotidiano Avvenire “Aprire la mente alla realtà e alla diversità”, coordinato da Edoardo Grossule, con l’intervento di esperti qualificati.
Tanti gli spunti messi in campo dalle studentesse: la stagione delle riforme non ha reso migliore il carcere, il maggior ricorso alla carcerazione l’ha reso più sovraffollato, le risorse non bastano, la burocrazia è aumentata, mancano spazi, lavoro, sostegno psicologico, viene meno il concetto che la pena sia finalizzata al reinserimento sociale, si vive in condizioni di disumanità, aumentano i suicidi, cresce l’aggressività verso gli agenti di Polizia penitenziaria. A tutto ciò si aggiunge la pandemia che ha notevolmente peggiorato la situazione. Non per niente già nel 2013 con la sentenza Torreggiani la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva condannato l'Italia per la violazione dell'art 3 della Convenzione, ritenendo che le condizioni di vita dei detenuti fossero inumane e degradanti.