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Studiare l’arte per diventare curatrice

20 settembre 2021

Studiare l’arte per diventare curatrice

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Dall’unione di approfondimento teorico e sapere pratico nasce il mestiere del curatore di mostre, che mixa la conoscenza di storia e tendenze dell’arte con attitudini di tipo pratico, per creare percorsi e narrazioni “per immagini” destinati a quegli spettatori la cui presenza è la premessa per l’esistenza di mostre, musei e luoghi di cultura.

Ne abbiamo parlato con Marisa Paderni, laureata al DAMS bresciano con indirizzo artistico e di professione storica e critica dell’arte che - ora che anche il mondo dell’arte si riaffaccia con un certo ottimismo alla riapertura delle attività dopo le chiusure dettate dalla crisi pandemica, ha inaugurato la mostra “Passaggi” - curata insieme al direttore Paolo Sacchini alla Collezione Paolo VI Arte Contemporanea di Concesio (BS). 

In cosa consiste concretamente la professione del curatore di mostre?
«È il connubio di una fase di studio e ricerca (finalizzate alla conoscenza degli artisti, alla costruzione del percorso e alla scrittura critica) e di una parte pratica che consiste nell’allestire fisicamente una mostra, ripensare l’opera nello spazio e verificare che l’insieme “fisicamente” funzioni. C’è differenza tra curare mostre all’interno di musei istituzionali e il seguire progetti esterni, in qualità di curatore indipendente».

Qualche esempio?
«Alla Collezione Paolo VI Arte Contemporanea di Concesio (BS), dove da qualche anno curo le esposizioni insieme al direttore, la scelta del tema o dell’artista per cui si decide di progettare una mostra spetta a un Comitato Scientifico. Come curatore indipendente, invece, esistono meno vincoli: si definisce una tema, si scelgono artisti il cui lavoro sposa coerentemente la tematica, si prendono contatti e si ragiona per selezionare le opere da esporre. Se si tratta di artisti storici, due sono le strade: o si tratta di lavori che già conserviamo in Collezione oppure occorre avviare le pratiche di prestito con musei, fondazioni o archivi di riferimento; nel caso di artisti viventi si apre invece un dialogo per selezionare i lavori sulla base del percorso espositivo da sviluppare. Le variabili di cui tener conto sono di ordine cronologico e pratico: dalle possibilità economiche e di budget, agli spazi che si hanno disposizione, sino al calcolo delle tempistiche per la pubblicazione del catalogo che variano dai 3 o 4 mesi prima della data di apertura della mostra per le edizioni cartacee, ai tempi più brevi per i formati ebook, più snelli ed economici. Personalmente, trovo più stimolante lavorare con artisti contemporanei, per via del confronto che arricchisce a vicenda». 

"Passaggi", ovvero l'ultimo allestimento che ti vede coinvolta insieme all'altro curatore Paolo Sacchini, è una collettiva connessa al contest biennale "Premio Paolo VI per l'Arte Contemporanea". Un progetto che, a causa dell'emergenza sanitaria, ha avuto una gestazione lunga. 
«In origine l’inaugurazione era stata fissata a marzo 2020. La mostra coinvolge 10 artisti che per un anno e mezzo hanno atteso, insieme a noi, di vedere le loro opere esposte in Collezione. In questo caso abbiamo lavorato con autori contemporanei provenienti da tutta Italia, ciascuno con una poetica ben definita che guarda al sacro e allo spirituale in un senso assolutamente contemporaneo. Insieme al direttore mi sono occupata della scelta delle opere – già scremate dal Comitato Scientifico in fase di selezione dei finalisti – strutturando un percorso espositivo coerente e fluido, in cui ad emergere sono tanto le personalità di ciascun artista quanto il dialogo tra lavori diversi. Inoltre ho scritto il testo critico che accompagna la mostra». 

Dai banchi della Cattolica di Brescia alle sale dei musei: quali sono stati gli step che reputi fondamentali nel tuo percorso?
«La formazione universitaria mi ha fornito solide basi, strumenti e un background culturale che oggi mi permette di muovermi nel lavoro sia a livello pratico che di ricerca su un artista, inserendo quest'ultimo in un contesto storico e approcciandone criticamente il lavoro. Un passaggio importante sono state le esperienze di stage curricolare fatte presso istituzioni cittadine come il Museo Diocesano e quello di Santa Giulia, che mi hanno permesso di creare dei contatti e poi mantenerli del tempo. In queste occasioni s’impara a essere “tutto fare” e ad essere versatili nel lavoro. All’interno di realtà private come la Galleria dell’Incisione, dove ho iniziato finito il mio percorso di studi, ho appreso sul campo come ci si rapporta con gli artisti e il mercato dell’arte; contestualmente ho affiancato la collaborazione con la Collezione Paolo VI, dove da quello di collaboratrice esterna il mio ruolo è cresciuto sino a diventare assistente all’ufficio del conservatore e, nel 2020, conservatrice del museo, occupandomi della gestione delle pratiche di prestito di opere sia in entrata sia in uscita. Un’altra fase importante è la collaborazione con Arte con Noi che realizza visite guidate e percorsi didattici connessi a mostre». 

Cosa consiglieresti agli studenti che puntano ad intraprendere questa professione?
«È fondamentale continuare a proporsi, presentare il curriculum alle realtà del territorio in cui si intende lavorare, avere il coraggio di rischiare e crearsi una rete di conoscenze ed esperienze varie, non solo per farsi conoscere ma anche per continuare a crescere e imparare. Questo lavoro richiede passione, determinazione e forza di volontà: non ci si deve scoraggiare di fronte alle porte chiuse, alle iniziali difficoltà economiche che la gavetta impone e occorre rimanere sempre umili. È una professione che arricchisce molto, pur richiedendo altrettanti sacrifici (come lavorare nei weekend, non avere orari definiti) e il perseverare nello studio anche dopo l’università. Solo così si cresce come professionisti e come persone».

Un articolo di

Bianca Martinelli

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