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Sudan, la guerra civile dietro l’angolo

26 gennaio 2022

Sudan, la guerra civile dietro l’angolo

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Il 25 ottobre 2021 un colpo di stato militare ha rovesciato il regime guidato dal primo ministro Abdalla Hamdok (1956-), reinsediato poiché aveva ufficialmente accettato di collaborare con l’esercito e dimessosi il 2 gennaio 2022 (Ansa, 2/1/2022). Si è sciolto il governo, arrestati altri ministri, e dichiarato lo stato di emergenza da parte della giunta militare guidata dal generale Abdel Fattah Al-Burhan (1960-) che si è autoproclamato presidente. Il recente colpo di stato dell’ottobre 2021 ha riportato il Sudan entro il percorso ‘classico’ della creazione di partiti unici, nell’assenza di opposizione politica, e di costituzioni militari presenti nella storia contemporanea di molti paesi dell’Africa sub-sahariana con confini politici artificiali creati dalle dominazioni coloniali, nella indifferenza per le realtà locali, ricchi di risorse naturali, oggetto di sfruttamento e fonti di corruzione politico-amministrativa.

Attualmente i militari al potere si presentano come garanti di percorsi pacifici verso nuove elezioni democratiche e difensori delle istanze delle popolazioni. Tali dissimulazioni confidano nell’inazione della comunità internazionale e in una parvenza di stabilità interna. Ma nel Sudan provato dalle sanzioni economiche e dalla pandemia questa è solo un’altra sconfitta per le speranze di democrazia e per le rivendicazioni dopo 30 anni di regime di Omar Al Bashir (1944-) destituito nell’aprile 2019.

Indipendente dal Condominio anglo-egiziano dal 1956, con una secessione dolorosa nel luglio del 2011, il Sudan è oggi diviso in due stati dove il Sud Sudan, a maggioranza cristiana, si oppone al Sudan a maggioranza musulmana sunnita. Il Sudan ha perduto tre quarti della sua produzione petrolifera in seguito alla secessione del 2011 che ha lasciato i giacimenti entro i confini del Sud Sudan e ha tentato di diversificare la propria economia investendo nell’esportazione di gomma arabica. Dichiarato ‘stato canaglia’ dagli Stati Uniti anche per aver ospitato i vertici di Al Qaida tra cui Osama bin Laden e accusato di favorire il terrorismo internazionale, il Sudan è uscito nel 2017 dalle sanzioni internazionali e ha accettato di far parte, seppur con molte contraddizioni interne, degli Accordi di Abramo con Israele per una nuova fase economicamente espansiva in numerose aree asiatiche, africane, e anche in alcune isole dell’oceano Indiano. Gli Accordi di Abramo sono stati firmati dal Sudan il 6 gennaio 2021 (il testo degli Accordi di Abramo tra Israele, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain, il Sudan, e il Marocco, è disponibile sul sito del Dipartimento di Stato USA).

l 6 aprile 2021 l’articolo della costituzione sudanese del 1958 che proibiva relazioni con Israele è stato abrogato. Lo spazio aereo sudanese è stato aperto agli aerei israeliani. Il Sudan ha accettato di pagare 335 milioni di dollari alle vittime dell’attentato alle ambasciate americane in Kenya e in Tanzania del 1998 e alle vittime del bombardamento della nave americana Cole al largo della costa dello Yemen nel 2000. A seguire, il 14 dicembre 2020 gli Stati Uniti hanno ritirato la designazione del Sudan ‘stato sponsor del terrorismo’. Israele ha inviato scorte alimentari per 5 milioni di dollari per garantire meglio la nuova pace con il Sudan. Nondimeno, le reazioni popolari contro i nuovi accordi con Israele non hanno tardato a manifestarsi nella capitale Khartoum. Proteste di piazza contro il regime militare si sono verificate con lo slogan “nessun compromesso con i militari”. Si sono verificate violenze tra i monti Nuba, nel sud Kondorfan, con il movimento di liberazione - Sudan Liberation Movement - guidato da Abdelaziz Al Hilu (1954-), e nella regione del Darfur con il movimento guidato da Abdel Wahid Al- Nur (1968-); gli scontri tra gruppi nomadi e comunità dedite all’agricoltura hanno provocato stupri di massa e decine di vittime. In tale quadro, l’esecuzione pratica degli Accordi di Abramo rimane al momento un’ipotesi dalle numerose difficoltà insieme con la sospensione temporanea del sostegno finanziario da parte degli Stati Uniti e della Banca Mondiale. La popolazione di Khartoum - a oggi (25/1/2022) oltre 70 civili uccisi e centinaia di feriti -, a tratti silenziata nelle comunicazioni internet è ugualmente in grado di organizzarsi grazie a una rete di solidarietà - hanabniho - composta da attivisti che lottano contro la corruzione, la violenza e la repressione dell’esercito e sostenuta economicamente dalle rimesse provenienti dai sudanesi all’estero. Le consultazioni fra tutte le parti per terminare la crisi sudanese con una missione delle Nazioni Unite non hanno condotto a risultati. Si scivola verso la guerra civile?

Un articolo di

Beatrice Nicolini

Beatrice Nicolini

Docente di Storia e istituzioni dell’Africa

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