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Suez e l’effetto farfalla del gigantismo navale

31 marzo 2021

Suez e l’effetto farfalla del gigantismo navale

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Ora che la nave portacontainer Ever Given è stata disincagliata nel Canale di Suez, anche i più distratti hanno improvvisamente capito il ruolo portante della logistica e delle infrastrutture a supporto delle catene globali di fornitura e di vendita. E i danni globali di questo “micro” evento hanno d’un colpo confermato la teoria del caos del matematico Edward Lorenz, meglio conosciuta come Butterfly Effect (“Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?”), se è vero che il costo del petrolio è cresciuto del 6% solo nella giornata di mercoledì 23 marzo, andando oltre i 60 dollari al barile.

Vediamo con il professor Luca Lanini, docente di Logistica e Supply Chain Management della Facoltà di Economia e Giurisprudenza del campus di Piacenza e Cremona, dei master SCHMIDT e MEGSI e membro del comitato scientifico FLC, perché questo è vero. E perché potrebbe succedere ancora.

Partiamo dalla nave, e che nave!
«La portacontainer Ever Given, come tutti hanno ormai imparato in questi giorni, è piuttosto grande: lunga 400 metri e larga 59 (4 campi da calcio in fila), alta circa 60 metri di cui 16 metri sotto acqua (si chiama “pescaggio”), con 200mila tonnellate di carico massimo (la cosiddetta “portata a peso morto” Dwt- Dead weight tonnage). In realtà, come sanno i nostri studenti di logistica, l’unità di misura più usata per le portacontainer è il numero di Teu trasportati e qui si arriva a 20 mila. I container marittimi sono lunghi 20 piedi o 40 piedi e per contarli si usa il Teu, Twenty foot equivalent unit, unità di misura equivalente a 20 piedi (un 20 piedi vale 1 teu, un 40 piedi vale 2 teu e così via). Per “vedere” 20 mila teu basti pensare che corrispondono a 400 treni, 10 mila camion, mentre messi in fila indiana farebbero 120 km».

«È unica? È la più grande? Certo che no, la più grande arriva ad oltre 24 mila teu, però fa parte delle 77 Ultra Large Containers Ship (ULCS), le portacontainer con capacità di oltre 20 mila teu, a cui se ne aggiungeranno altre 12 in costruzione e pronte a salpare entro fine 2022. È proprio questo il “gigantismo navale”, l’espressione che denota l’attuale forte crescita della capacità media delle navi, la cui taglia media è triplicata in dieci anni. Si era partiti ai primi anni ’60 con le prime portacontainer di poco più di mille teu, per arrivare alle cosiddette “post-panamax” a metà degli anni ’90 (troppo grandi per il Canale di Panama che infatti è stato recentemente allargato e potenziato, proprio come Suez). Oggi circolano più di 4mila navi portacontainer di cui 3.600 navi concentrate fra i primi dieci gruppi  al Mondo che insieme controllano l’88% della capacità di stiva complessiva, valutata in 23 milioni di teu. Il gruppo danese AP Moller-Maersk è il primo al mondo (4,1 milioni di teu) seguito da Msc, Cosco, Cma Cgm. Il gruppo taiwanese Evergreen, armatore della Ever Given, è settimo con 1,2 milioni di teu».

Veniamo adesso a Suez...
«Lungo 193 km, largo 205 metri e profondo 24 metri, il canale fu disegnato da un ingegnere italiano, Luigi Negrelli, e inaugurato nel 1869. L’ultimo importante ammodernamento del 2015 gli ha permesso di garantire l’accesso alle navi ULCS  grazie a un canale parallelo di 22 miglia, mentre gli attuali lavori in corso consentiranno nel 2023 il raddoppio delle navi in transito, portandole a 100, ma nelle prime 24 ore di riapertura dopo l’incidente di navi ne sono però passate 146!».

Perché è così importante il canale di Suez per l’economia globale?
«Semplice, questione di miglia e quindi di risparmio di tempi e costi di carburante! La principale rotta commerciale del Mondo, tra Singapore e Rotterdam, si fa via Suez in circa 30 giorni medi - dipende dal numero delle soste intermedie - ossia almeno 10 giorni e 6mila chilometri in meno rispetto al giro da Capo di Buona Speranza. Questo spiega perché da qui passa il 12% del traffico commerciale mondiale, il 30% delle navi del Mondo con a bordo il 40% di tutto l’import-export del Pianeta, così come da qui passano il 10% dei prodotti petroliferi (tra quelli trasportati via mare) ed il 9% del Gas naturale liquefatto (GNL)».

Quanto conta Suez per l’Italia?
«Moltissimo: il 40,1% del nostro commercio marittimo passa per il canale, con un valore di 82,8 miliardi di euro nel 2020, (fonte SRM) mentre i nostri porti di Genova, La Spezia, Gioia Tauro e Trieste sono gli spoke di arrivo e partenza nell’Hub mediterraneo della nostra via della seta verso l’Asia».

Un po’ di geopolitica: quanto “vale” Suez per l’Egitto?
«Tantissimo: Suez ha visto transitare nel 2020 un miliardo di tonnellate di merci a bordo di circa 19mila navi (parliamo di 4700 portacontainer, 5mila petroliere, 5mila porta rinfuse e altre 4mila navi), per un valore del Pil mondiale pari a 3mila 600 miliardi di dollari. Per semplificare l’effetto dei numeri, cito Bloomberg che stima che le 50 navi giornaliere che attraversano Suez trasportano 9,6 miliardi di dollari di Pil mondiale, con più export rispetto all’import. Non è necessario immaginare lo stato d’animo del governo egiziano, basta fare i conti: ogni giorno Suez incassa una media di dieci milioni di dollari, a tanto ammonta un pedaggio medio di 200 mila dollari per ognuna delle 50 navi che in media transitano ogni giorno dal canale, ciò che ha prodotto allo stato egiziano una perdita secca di 400 mila dollari all’ora durante i sei giorni del blocco».

«L’Egitto punta tutto sul canale di Suez, tanto che ha investito 8 miliardi di dollari per il nuovo canale inaugurato nel 2015 (e sta investendo ancora in nuovi lavori da qui al 2023) mentre proprio nel 2020 ha attuato una efficace politica di marketing offrendo sconti tariffari nel post-covid tanto che in un anno ci sono stati il 20% di “nuovi attraversamenti” cioè navi che non avevano mai utilizzato Suez per i costi troppo alti e che ora hanno cominciato a farlo».

E quanto vale Suez per l’economia globale?
«L’economia globale dipende da Suez non meno di quanto l’Egitto non dipenda dal suo canale. Le news di questi ultimi giorni hanno fatto davvero capire quanto evidenti siano stati gli effetti a cascata sulle catene logistiche e sulle supply chain globali. I centoventi container bloccati di Ikea, gli ottanta container del gruppo olandese Van Rees distribuiti su 15 navi diverse, le 130 mila pecore romene rimaste a bordo nave per una settimana in più sono solo gli esempi più eclatanti che illuminano un “effetto farfalla” i cui effetti completi dobbiamo ancora misurarli nelle nostre tasche di consumatori».
 
Tutto è finito qui? Cosa abbiamo da imparare?
«Assolutamente no ed anzi una nuova riflessione è appena cominciata. Il tempo dirà se avremo anche imparato. Sto parlando del “gigantismo navale” che, se fino a ieri riscuoteva qualche mal di pancia, da oggi si è cominciato a metterlo in discussione. E non solo per la paura degli effetti di un altro simile disastro ma soprattutto per la valutazione complessiva dei costi/benefici che si hanno con l’utilizzo di queste navi».

Come va ripensato quindi il gigantismo navale?
«Un recente studio dell’International Transport Forum (riportato anche in un interessante articolo dell’Huffington Post di pochi giorni fa) ricorda che nel lungo periodo i benefici derivanti da navi sempre più grandi rischiano di essere addirittura inferiori ai rischi: i risparmi di costi per container con le mega navi ULCS sono minimi (non oltre il 20%) mentre la metà dei risparmi sui costi delle nuove imbarcazioni arriva dall’efficienza dei motori di nuova generazione, non tanto dalle economie di scala. A questo si aggiunge un effetto “oligopolio” legato alla concentrazione di mercato in pochi operatori con tutti i rischi di una riduzione della concorrenza. Ultimo elemento critico, l’eccessivo costo di adeguamento infrastrutturale di porti e canali per il passaggio delle meganavi e per le operazioni di banchina (basti pensare al solo pescaggio, 16 metri di fondale per le ULCS, disponibile in pochissimi porti in assenza di adeguamenti)».

Come se non bastasse, siamo in “tempesta perfetta” sui noli
«Il fatto congiunturale del blocco di Suez in questa fine marzo 2021 non deve distogliere l’attenzione dal ben più vasto e impattante fenomeno dell’aumento spropositato del costo dei noli. Il commercio marittimo è sotto quella che il Financial Times ha definito la “tempesta perfetta”, ossia la sotto capacità di rispondere alla domanda con un prezzo dei noli che è cresciuto del 400% in media ed anche dell’800% in alcuni mesi. In pratica sono “spariti” i contenitori, non si riesce a farli tornare indietro nei luoghi di produzione una volta arrivati a destino. Giacciono accumulati ai porti, nelle aziende spesso chiuse dalla crisi economica del post-covid, su navi che sono state fermate per il calo del commercio. La mancanza di container “là dove servono” e gli effetti potenti sul costo del trasporto ha acceso una “spia” allarmante sulla capacità di autoregolamentazione del mercato, in un contesto dove il connubio fra logistica e commercio è sempre più stretto e interdipendente».

Torniamo al punto da cui eravamo partiti: la Ever Given…
«Attualmente la Ever Given è  ferma per controlli al centro del lago amaro, a metà canale. A bordo in questo momento ci sono molti più avvocati e assicuratori che marinai (cosa non difficile peraltro visto che queste navi necessitano solo di 24 membri di equipaggio). Nei prossimi mesi vedremo se il gioco (del gigantismo navale) vale davvero la candela dei risparmi sui costi».

Un articolo di

Sabrina Cliti

Sabrina Cliti

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