La tensione tra Russia e Ucraina continua e non dà tregua di nessun tipo. La guerra, il rischio nucleare e la preoccupazione sono costanti e anche per questo è fondamentale, in quanto psicologi, essere pronti a rispondere in modo attivo e preparato alle dinamiche psicologiche connesse ai rischi di tale situazione, per essere in grado di affrontare il durante e post emergenza.
È con queste motivazioni che l'Unità di ricerca in Psicologia dell'Emergenza e dell'intervento umanitario dell’Università Cattolica, con il patrocinio del Dipartimento di Psicologia e del Centro Milanese di Terapia della Famiglia ha realizzato una proposta formativa esclusiva dal titolo: “Resistere al sicuro in emergenza”, rivolta a psicologi con laurea triennale o magistrale, professionisti di area sociosanitaria e di emergenza.
Un’occasione di specializzazione extrauniversitaria che ha previsto tre giorni di formazione residenziale dal 24 al 26 marzo 2023, presso un bunker antiatomico nascosto, in Canton Ticino (Svizzera), per accrescere le competenze necessarie per gestire una condizione di attesa in scenari di emergenza e per valorizzare i gruppi come fonte di resilienza in situazioni traumatiche.
Alla base di questa proposta la convinzione che le strategie didattiche di tipo attivo siano quelle che garantiscono il maggior radicamento degli apprendimenti nel sistema cognitivo dei soggetti in quanto tali metodologie si caratterizzano per la centralità che i soggetti assumono nel processo formativo, essendo loro chiesto di agire ed interagire, discutere, proporre, analizzare e procedere negli apprendimenti per tentativi ed errori. In particolare, durante l’esperienza nel bunker la presenza di Role Playing e Gamification è stata costante.
“Resistere al sicuro in emergenza” - Il progetto
L’Unità di ricerca aveva dunque l’obiettivo di introdurre una metodologia formativa molto raffinata ed efficace per formare psicologi esperti in psicologia dell’emergenza. A conduzione di tale esperienza il professor Fabio Sbattella, psicologo e psicoterapeuta, docente di Psicologia dell’emergenza e di Psicologia clinica della Cattolica nonché responsabile dell’Unità di Ricerca di Psicologia dell’emergenza dell’Ateneo.
Insieme a lui, Arianna Girard, psicologa e psicoterapeuta, libera professionista presso il Centro Milanese di Terapia della Famiglia. Hanno partecipato a questa formazione residenziale 16 studenti e studentesse selezionati provenienti dal campus di Milano dell’Università Cattolica e dall’Istituto Universitario Salesiano di Torino. Seguendo la divisione temporale che caratterizza ogni metodologia in ambito emergenziale, (pre-durante-post) il gruppo ha iniziato questa esperienza.
Per quanto riguarda il “pre”, i formatori hanno proposto un momento di briefing iniziale prima dell’entrata nel bunker, durante il quale sono state condivise sensazioni, emozioni e pensieri; inoltre, ognuno ha scelto un elemento che si sarebbe voluto portare all’interno del bunker.
È avvenuta poi l’entrata nel bunker e la chiusura delle porte blindate ed è cominciata la fase del “durante”. La scommessa era quella di resistere al sicuro, in buona compagnia ma con qualche disagio, per 48 ore, il tempo prescritto dal recente piano nazionale per la gestione del rischio radioattivo. Tale piano considera infatti le 48 ore il tempo minimo affinché il livello di radioattività raggiunga un valore stabile in caso di ricaduta di polveri radioattive provenienti da oltreconfine.
Durante questo periodo si sono susseguite varie sessioni di esercizi diverse, tra i quali, video testimonianze, giochi cooperativi e competitivi, role playing, gamification e momenti di narrazione.
In particolare, appare opportuno riportare l’esperienza di role playing, durante la quale tre studentesse hanno provato a "vestire i panni" di altrettanti soggetti che interagiscono realmente nel contesto di un bunker in Ucraina. Le studentesse hanno cercato di assumere il punto di vista, le aspettative, gli atteggiamenti, gli stili cognitivi, le motivazioni e le dinamiche comportamentali dell'altro da sé per portare nel rifugio ciò che sta succedendo in Ucraina; una studentessa ha impersonificato Olga, una donna sola, la quale non voleva saperne di uscire dal bunker ora che aveva trovato un luogo con altre persone con cui condividere le giornate. Da qui è partito il colloquio tra il professor Sbattella, nei panni di psicologo in Ucraina e la donna. È stato davvero sorprendente quanto impattante sia stato il loro scambio, si è potuto sentire il dolore e la sofferenza provata da "Olga". In quel momento gli studenti non si trovavano più in Svizzera, bensì in Ucraina. Inoltre, in qualche occasione lo psicologo tornava ad indossare il suo cappello di professore, quindi bloccava la situazione in Ucraina, tornava in Svizzera e chiedeva agli studenti-osservatori di provare ad immaginare le domande che al suo posto avrebbero fatto ad Olga. Questo ha permesso, di mettersi in gioco e provare davvero cosa significa interfacciarsi in una situazione di emergenza con persone che soffrono e sono in difficoltà. Quest’esperienza di role playing ha sottolineato l'importanza che questo strumento ha e di quanto, se utilizzato bene, possa essere formativo e qualificante da un punto di vista professionale.
Infine, nel “post”, all’esterno del rifugio, è stato condotto un debriefing complessivo dell’esperienza per concludere tale avventura. Nonostante l’impatto significativo della formazione, è emerso come questa sia stata un’occasione importante per entrare nel vivo della psicologia dell’emergenza, delle tante sfaccettature che la caratterizzano e del ruolo del gruppo come fonte di resilienza.
È chiaro come questo sia stato un momento di formazione “fuori dall’ordinario”, ma che ha portato agli studenti e alle studentesse un apporto notevole di competenze, conoscenze e suggerimenti che attraverso le metodologie classiche e frontali non sarebbero state fruibili. È stato quindi una conferma di come, questo tipo di pratiche formative, siano importanti e godibili anche nell’ambito universitario.