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Una rivoluzione gentile per una nuova economia

12 dicembre 2024

Una rivoluzione gentile per una nuova economia

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«Viviamo un’epoca caratterizzata da crescenti disuguaglianze all’interno dei paesi, polarizzazioni, conflittualità globale permanente, individualismi dominanti, sfruttamento dell’uomo e del creato. Per arginare tali mali, iniquità e ingiustizie sociali serve una rivoluzione gentile, che deve interessare tutti gli ambiti della vita sociale e, in maniera particolare, il sistema economico». A invocare un cambio di rotta per promuovere un «umanesimo integrale e solidale», sempre più necessario in questa epoca segnata da forti disparità, è stato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato di Sua Santità. E per farlo occorre una «creatività coraggiosa», proprio come quella che emerge dal volume del rettore Elena Beccalli “Per una nuova economia” (Il Sole 24 Ore, novembre 2024), che il cardinale Parolin, autore della prefazione, ha presentato martedì 10 novembre nella gremita Aula Pio XI dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

«L’occasione odierna ci offre l’opportunità di riflettere, in un contesto accademico e con relatori autorevoli, sull’idea quanto mai urgente di un cambio di paradigma», ha aggiunto il segretario di Stato che nel suo intervento si è soffermato su alcuni aspetti salienti del libro, una raccolta delle ricerche e delle riflessioni che il rettore dell’Università Cattolica porta avanti da alcuni anni, proponendo un nuovo modello economico che - come si legge nel sottotitolo del volume - si basa su quattro parole chiave: persona, etica, fiducia e cooperazione.

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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Del resto, è l’urgenza del momento a chiederci di imboccare questa strada. L’ha ripetuto anche il direttore del quotidiano Il Sole 24 Ore Fabio Tamburini, alumnus dell’Ateneo e moderatore del dibattito alla presenza dell’autrice. «I temi affrontati nel libro richiamano in pieno quelli che guideranno il prossimo Festival di Trento dell’Economia non a caso intitolato “Rischi e scelte fatali. L’Europa al bivio”». E riprendendo una recente battuta del neopresidente Trump, ha affermato: «Viviamo in un mondo non solo impazzito ma che ha perso la bussola. C’è un grande vuoto riempito con super ricchi, tanta povertà e mancanza di ideali. E questo spiega perché la guerra è tornata a essere uno strumento di soluzione».

Ecco perché, ha suggerito il cardinale Parolin, bisogna «entrare nell’economia per governarla e indirizzarla» al bene comune. Da questo punto di vista, la scuola economica italiana, intrecciata con il pensiero cattolico, offre numerosi spunti cui attingere per un cambio di paradigma. Un primo importante contributo arriva da Antonio Genovesi, che ha ricoperto la prima cattedra universitaria al mondo di Economia politica istituita nel 1754 all’Università di Napoli. Un’altra tessera del mosaico è rappresentata dall’opera di Francesco Vito, il cui fil rouge si trova in una concezione dell’economia che non può fare a meno dell’etica. Una concezione, la sua, distante dalla scuola anglosassone, peraltro da decenni dominante in ambito economico e finanziario, caratterizzata da una riflessione teorica basata su una prospettiva di natura utilitaristica. Con la crisi finanziaria e la pandemia qualcosa è cambiato. Alcuni errori concettuali comuni - come confondere i mezzi con i fini, privilegiare l’omologazione verso modelli unici dimenticando la biodiversità - hanno mostrato tutti i loro limiti. Pertanto, il «processo di rigenerazione del paradigma economico può prendere avvio solo da una visione incentrata sulla persona e sulla sua fondamentale indole relazionale». In tal senso, «questo libro fa emergere le concrete possibilità di costruire un nuovo paradigma in sintonia con la dottrina sociale della Chiesa. L’altro suo pregio è lo stile che valica i confini delle aule accademiche e si rivolge alla società, dove è sempre necessario disseminare un nuovo pensiero economico per far fiorire un’economia che non trascura la questione etica e valorizza un orientamento al bene comune», ha osservato il cardinale Parolin.

Tuttavia, è anche «responsabilità degli operatori economici» plasmare i meccanismi dell’economia affinché «lascino spazio alle opportunità, al benessere, all’equità dando vita a uno sviluppo sostenibile». Lo ha detto nel suo messaggio video il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta. Un ruolo fondamentale, ha proseguito, svolto altresì dalla comunità accademica per «l’impegno e l’attività formativa a sostegno del progresso civile». Ma anche dal mondo produttivo, visto che le imprese non sono entità dedicate unicamente alla massimizzazione del profitto. «Le scelte delle aziende hanno un forte impatto sociale perché le loro azioni concorrono al potenziale di crescita delle comunità e si riflettono sulla distribuzione del reddito, sul benessere dei cittadini, sull’ambiente e su molti altri aspetti». È necessario, quindi, che le imprese siano «consapevoli della loro funzione sociale», che operino per «minimizzare gli effetti negativi», sapendo coniugare «le esigenze produttive con il benessere del contesto in cui operano». Per affrontare in modo virtuoso temi fondamentali, come il cambiamento climatico e l’equità sociale, «servono regole, incentivi e investimenti sia pubblici sia privati». Sfide cruciali il cui successo dipenderà anche dalla «capacità di cooperare».

Una posizione condivisa dal ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti nel suo messaggio video. Dal suo punto di vista, infatti, la «cooperazione pubblico-privato» è un motore utile per lo sviluppo economico perché solo unendo le competenze è possibile recuperare le risorse per accompagnare la transizione energetica, l’equità fiscale, la costruzione di un nuovo welfare.

Un tema, quello della collaborazione tra competenze, su cui è tornato l’economista Alberto Quadrio Curzio, emerito dell’Università Cattolica e presidente emerito dell’Accademia dei Lincei. In un mondo frammentato, caratterizzato dall’iper-finanza e dall’iper-scienza e in cui non si sa più bene quali siano le istituzioni che possono finalizzare ai principi di solidarietà, sussidiarietà e sviluppo, «la complementarità dei saperi e delle scienze morali» forse è ancor più centrale rispetto ai secoli passati, sia per riorientare mezzi e fini sia per rendere «credibili e attuabili nuovi paradigmi».

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