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Violenza assistita, costruire un luogo sicuro

27 giugno 2022

Violenza assistita, costruire un luogo sicuro

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I bambini sono a tutti gli effetti vittime delle violenze di genere. Ma, spesso, questa loro condizione non viene riconosciuta in modo adeguato, in particolar modo dal punto di vista giuridico. Su questo tema, molto delicato, accademici e professionisti del settore, hanno riflettuto in occasione di una giornata di studio dedicata alla violenza assistita e alla ricaduta sui minori, promossa dal Dipartimento di Psicologia nell’ambito del ciclo “Contrastare la violenza di genere”.

Per violenza assistita, secondo la definizione del Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia-CISMAI, si intende infatti l’esperire da parte del bambino/adolescente un qualsiasi atto di violenza (fisica, psicologica, sessuale, persecutoria, economica) su figure di riferimento significativamente affettive.

Tra questi, ha ricordato Chiara Ionio, docente di Psicologia dell’infanzia, ci sono gli orfani dei femminicidi. «Una categorizzazione difficile perché spesso non riusciamo a classificare neanche i “femminicidi” come tali perché a livello processuale poi rientrano negli ‘omicidi’. La violenza diretta, cioè quando il bambino assiste direttamente alla violenza, è aumentata dal 60% al 65% nonostante ci sia un notevole sommerso visto che le donne molto spesso non denunciano. Senza dimenticare una criticità spesso omessa ovvero che questi minori sono figli di una madre vittima ma anche del papà carnefice: verso chi si identificherà? L’atto violento, infatti, spesso viene introiettato dal bambino fin dalla più tenera età come unico modo per comunicare e chiedere spazio. In questo contesto c’è poi la fatica dei figli a inserirsi nelle famiglie affidatarie, non sempre legate da vincolo familiare. Tutte aree che vanno ad impattare su un evento doppiamente traumatico».

Il professor Luca Milani ha poi anticipato alcuni dati di una ricerca in corso di pubblicazione che ha avuto come primo obiettivo quello di indagare l'impatto della violenza del partner intimo (IPV) sul benessere psicologico delle madri e sulle funzioni genitoriali (parenting). Un primo parziale esito indica come la violenza incida in modo minimo sulla qualità del parenting materno che però può essere negativamente influenzato dal sopraggiungere dall'emergere di sintomi depressivi e post-traumatici. Risultati che sa da un lato mitigano lo stigma dall'altro evidenziano i rischi quali dimensioni genitoriali possono essere maggiormente danneggiate dalle violenze.

Il secondo filone della ricerca ha invece cercato di misurare l'impatto della violenza sui figli giungendo alla conclusione che essa produce nei bambini rilevanti conseguenze in termini di adattamento causando nei minori ansia, depressione e sintomi di evitamento trauma-relati.

«Tanto stiamo facendo e tanto resta da fare ma i risultati sono buoni – ha detto Petra Filistrucchi dell’Associazione Artemisia di Firenze - ma una cosa è la sensibilizzazione è altra è la formazione. La donna spesso viene supportata solo nella prima fase della richiesta di aiuto, la sfida, quindi, è quella di integrare le risposte. Per fare questo vanno coordinati modi, tempi dei vari enti di servizi. Anche perché molte volte si corre il rischio di fare valutazioni “fotografiche” che scambiano il danno da maltrattamento con la valutazione»

L’incontro, che è stato ospitato dalla sede milanese dell’Università Cattolica giovedì 16 giugno, è stato introdotto dalla direttrice del Dipartimento Antonella Marchetti e dal preside della Facoltà di Psicologia Alessandro Antonietti. Significativo il saluto di Alessandra Locatelli, Assessore alla Famiglia, Solidarietà sociale, Disabilità e Pari Opportunità della Regione Lombardia che ha ricordato la grande attenzione per questi temi da parte della politica locale che incentiva e favorisce l’interazione tra mondo accademico e le varie realtà attive nel settore. Nel corso dell’incontro sono intervenuti anche Giovanni Maria Gillini dell’Ats Brescia e Alessandra Decataldo dell’Università di Milano Bicocca che hanno presentato la sperimentazione di alcune buone pratiche nel caso di presa in carico del minore vittima di violenza assistita. I lavori sono stati chiusi da Daniela Rossi dell’Ats bresciana.

Ma un aspetto molto importante, in questo ambito, è quello giuridico, che è stato affrontato dalle avvocatesse Laura De Rui e Anna Lucchelli: «La difesa delle donne per me è importante – ha detto De Rui – ma si è sempre letto queste situazioni con gli occhi della “mamma col bambino” e non del “bambino con la mamma”. A un certo punto ho deciso di lavorare concentrandomi sempre sui bambini, sulla loro posizione e migliorarla attraverso il diritto. Può sembrare una banalità ma spesso ciò rovescia la prospettiva: un esempio? Il bambino è sempre figlio di due genitori quindi, di conseguenza, non farò mai battaglie ‘contro’. Un cambio che coinvolge tutti gli attori, operatori compresi».

«Un dato normativo – ha detto entrando nel dettaglio Lucchelli – consente ai minori di essere rappresentati dalla figura del Curatore speciale. Attualmente è nominata dall’Autorità giudiziaria, per tutelare il minore se i rappresentanti legali o sono assenti, non possono esercitare la potestà genitoriale o nel dibattimento si trovano in posizione di conflitto interessi».

«Ma un ambito che merita di essere approfondito dai giuristi – ha aggiunto - è quello che questo Curatore speciale può fare. Al momento è operativo solo in caso di incidente probatorio, di misure cautelari nei confronti dell’imputato o nel caso di richiesta di archiviazione da parte del pm. Queste funzioni sono limitate e costituiscono una finta rappresentanza per il minore. Quello della difesa del minore è invece un ruolo molto complesso e impegnativo che richiederebbe una nomina immediata all’inizio del procedimento. Le norme lo consentono ma non lo impongono, come dovrebbe. Bisogna pretendere che vengano attivate. Un aspetto che sarebbe importante anche per il pm affinché possa avere un’ulteriore fonte in grado di fornire elementi utili».

 


Photo by Jordan Whitt on Unsplash

Un articolo di

Luca Aprea

Luca Aprea

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