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Viviani e Consonni tra volate e inseguimenti: passione, storia e futuro del ciclismo

22 dicembre 2021

Viviani e Consonni tra volate e inseguimenti: passione, storia e futuro del ciclismo

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«Cos’è una volata? È l’atto finale del percorso. Per centinaia di km, insieme alla squadra cerchi di gestire lo sforzo e di preparare tutto alla perfezione…ma poi quando arrivano i 200 metri scatta il momento. È la parte fisica e poetica, chiudi gli occhi e vai. È la sfida con l’avversario che ti rimonta, che tu rimonti, che cambia traiettoria…e anche con te stesso, con il corpo che risponde in una frazione di secondo successiva. E poi c’è la linea del traguardo. Una volta superata si vive un'altra fase: gioia se si vince, rabbia e frustrazione se si perde. Nel primo caso non si parla molto, il piano è riuscito e si festeggia. Se invece non è andata bene scatta la riflessione su cosa si poteva fare di più e c’è spazio anche per qualche discussione. Perché sono le sconfitte che fanno crescere».

La descrizione, attimo per attimo, di uno dei momenti più iconici del ciclismo è di uno che se ne intende. Elia Viviani, classe ’89, oro ai Giochi Olimpici di Rio 2016 e bronzo a Tokyo 2020 nell’Omnium, campione del mondo in carica nella corsa a eliminazione.


Mercoledì 22 dicembre il grande ciclismo ha fatto tappa in Cattolica. Sotto l’albero di Natale gli studenti del master Comunicare lo sport, hanno infatti trovato due grandi campioni. Insieme ad Elia Viviani in cattedra c’era anche Simone Consonni, salito sul gradino più alto del podio a Tokyo 2020 con il quartetto dell’inseguimento.

«Nella mia specialità - ha spiegato Consonni - non puoi pensare a te stesso ma a mettere nella migliore condizione la squadra. Perché si vince e si perde insieme. Questo crea un po’ di paura in più perché se sbagli non ne paghi le conseguenze solo tu ma anche la tua nazione e i tuoi compagni che poi alla fine sono anche degli amici. Io sono il secondo, il mio obiettivo è quella di fissare la velocità di crociera che ci siamo prefissati. È importante perché abbiamo un rapporto unico e la velocità deve cercare di rimanere sempre costante. Occorre mantenere la concentrazione altissima, sbagliare un cambio vuol dire vanificare il lavoro di tutti. Lo sforzo è fisico ma c’è anche una forte pressione psicologica».


Ma il ciclismo – come ha ricordato introducendo l’incontro il professor Giorgio Simonelli – è lo sport che più di tutti è legato con la comunicazione di massa. «Un rapporto stretto che si articola su tre punti chiave: la sponsorizzazione, la mediatizzazione e la territorialità. Molto prima del basket è stato il mondo delle due ruote a introdurre questo tema nell’ambito sportivo. I ciclisti sono stati i primi atleti a indossare maglie brandizzate. Per quel che riguarda i media è noto cosa abbia rappresentato per la carta stampata prima, per la radio dopo e per la televisione poi. Il genere del talk show, checché se ne dica, lo ha inventato Sergio Zavoli con il Processo alla Tappa. E infine il territorio. Il ciclismo va nelle strade e ha la capacità di rinominare i luoghi. Senza questo sport cosa sarebbero il Mortirolo, il Poggio di Sanremo o Roubaix. È, per usare le parole di un meraviglioso saggio di Roland Barthes sul Tour de France, una sorta di “geografia omerica”».

«Inoltre – ha aggiunto Simonelli – questa è anche l’occasione per ricordare il particolare legame tra la nostra Università e questo sport. Storicamente la “punzonatura” degli atleti al via della Milano-Sanremo ha luogo proprio in largo Gemelli e proprio la Cattolica è stata protagonista di una delle prime analisi accademiche dedicate al ciclismo con una comparazione tra le rappresentazioni tv del Giro e del Tour. Era il 1998. Era l’anno, indimenticabile, di Marco Pantani».


Per la direttrice didattica del master Paola Abbiezzi «per parlare dello sport come elemento culturale e valoriale non c’è niente di meglio del ciclismo. È questo il compito della Terza missione dell’università: uscire dal perimetro della ricerca e della formazione ed essere motore attivo per la realizzazione di progetti. In quest’ottica ringrazio per la partecipazione il Team Cofidis perché questa giornata possa essere – nell’ambito delle iniziative Cattolicaper lo Sport - l’inizio di futuri progetti e collaborazioni». Un aspetto sottolineato anche dalla prof.ssa Paola Vago che ha ricordato agli studenti come la «testimonianza di questi due grandi atleti è preziosa perché, come voi, hanno elaborato un percorso sulla metodologia dell’allenamento».

E su quanto sarà decisiva nel prossimo futuro la collaborazione tra formazione e management sportivo si è soffermato anche il direttore sportivo della Cofidis Roberto Damiani: «Elia Viviani una volta mi ha detto che negli ultimi anni, dall’interno, ha percepito un cambiamento velocissimo, anno dopo anno. Uno dei motivi che ci spinge a parlare di collaborazione con un Ateneo è quello di riuscire a esprimere il potenziale, enorme, del ciclismo. In tal senso un Master in Comunicare lo Sport come il vostro può essere un’arma vincente. Spesso del nostro mondo emergono solo i lati negativi, che pure ci sono, e non riusciamo a comunicare – o lo facciamo male – le tantissime cose, bellissime, che facciamo. Come amo ripetere spesso il ciclismo è una bellissima Ferrari dove noi mettiamo dieci euro di benzina».


Un tema, quello della gestione della comunicazione, che è stato al centro anche delle numerose domande degli studenti, con particolare riferimento ai social. «Sperimentare le nuove piattaforme – ha spiegato Roberto Salamini di Rcs Sport – è la nuova frontiera per raccontare uno dei più grandi romanzi popolari della storia italiana. Come Giro d’Italia (che vanta oltre 4 mln di followers complessivi) quest’anno siamo stati tra i primi – nel circuito – ad aprire un profilo TikTok. Un linguaggio scanzonato e irriverente che ha trovato grande collaborazione da parte dei ciclisti. L’abbraccio di Bernal con la fidanzata all’arrivo è stato uno dei momenti più visualizzati. Un altro modello vincente è stato quello di coinvolgere Peter Sagan in clip in cui raccontava la sua italianità in occasione della sua prima partecipazione al Giro. Lui è un personaggio e i video hanno avuto grandissimo successo. La parte digital per noi è fondamentale».

Il ruolo dei social  - concorda Viviani - è uno dei grandi cambiamenti degli ultimi anni. Alla gente prima piaceva di più vedere l’atleta nel suo quotidiano non sportivo ma anche questo aspetti negli ultimi tempi è cambiato. I profili personali sono più guidati e indirizzati a veicolare quello che vuoi far vedere in chiave di sponsorizzazione o della prestazione sportiva. Prima si prendeva il telefono, si girava e pubblicava, adesso siamo più responsabilizzati».

«Oggi – gli fa eco Damiani - ci sono professionisti che seguono gli atleti sotto questo aspetto ed è un bene. Il lato negativo è che spesso può capitare che nella selezione degli atleti, oltre alla valutazione tecnica che resta primaria, si valuti anche il ritorno mediatico».

Ma qual è il rapporto tra il brand che sponsorizza una squadra con il suo team? «C’è grande affinità di valori tra l’azienda e il team – ha spiegato – spiega Giulia Garlando di Cofidis - l’individuo può emergere solo se c’è una squadra che lo supporta. Gli obiettivi individuali sono anche quelli dell’equipe. Noi – ha aggiunto – siamo una mosca bianca nel mondo dello sport perché abbiamo scelto di non essere solo sponsor ma proprietari della squadra. Gli atleti per noi sono colleghi perché il team fa comunicazione con noi. Sono solo un po’ più itineranti…»

Nel corso dell’incontro è intervenuto anche Luca Gialanella, caposervizio ciclismo della Gazzetta dello Sport: «Troppo spesso si parla del ciclismo come sport popolare in un’accezione negativa ma non è vero, è tale perché parla al cuore della gente. Nonostante questo oggi in Italia non abbiamo più una grande squadra. Abbiamo una generazione, donne comprese, fortissima ma i nostri corridori top sono tesserati per squadre estere. Perché questo Paese oggi non ha degli imprenditori, delle forze economiche, che possano mettere sul tavolo, i fondi necessari? In Italia dopo Liquigas e Mapei, il vuoto. Eppure Il ritorno promozionale è enorme».

Infine inevitabile ripercorrere il magico 2021 dello sport italiano: «Un anno incredibile- ha spiegato Viviani - abbiamo portato il ciclismo su un livello superiore e ora arriva la sfida più difficile, quella di confermarci». E sulla gara che è valsa l’oro Consonni ricorda: «Ho capito che avevamo vinto quando sul tabellone è apparsa la scritta che certificava il record del mondo, lì ci è stato chiaro che eravamo andati più forti di tutti e sì, siamo stati noi ad andare a mille, non gli altri a mollare…».

E al termine dell’incontro, un’emozionante sorpresa, l’incontro ravvicinato con l’oro olimpico conquistato da Consonni a Tokyo. Alla fine, la grande protagonista è stata lei, la medaglia. Stringerla tra le mani non è cosa che avviene tutti i giorni. Gli sguardi emozionati e ammirati di studenti e prof, ne ha dimostrato, ancora una volta, l’intatta magia.

Un articolo di

Luca Aprea

Luca Aprea

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